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 2010  dicembre 22 Mercoledì calendario

TUTTI ASSOLTI

Tutti assolti. Nell’estate del 2005 Gianluigi Gabetti e Franzo Grande Stevens non hanno ingannato il mercato diffondendo notizie false sulla Fiat. “Il fatto non sussiste”, recita la sentenza emessa ieri dal tribunale di Torino al termine di un processo che ha visto sul banco degli imputati due tra i professionisti più noti della finanza nazionale, entrambi da tre decenni e più ascoltatissimi consulenti della famiglia Agnelli. Assolto anche Virgilio Marrone, ex amministratore delegato di Ifi, che all’epoca dei fatti era la holding quotata della famiglia torinese. Il pm Giancarlo Avenati Bassi aveva invece chiesto la condanna a 2 anni e 6 mesi di carcere per Grande Stevens, 2 anni per Gabetti e un anno e 6 mesi per Marrone.
SECONDO I GIUDICI,
quindi, era del tutto regolare la complessa operazione finanziaria che cinque anni fa consentì agli Agnelli di mantenere il controllo della Fiat allora in grave crisi e prossima a finire nelle mani delle banche creditrici. Un’operazione di cui Gabetti e Grande Stevens hanno sempre ribadito non solo la corettezza ma anche la necessità. In caso contrario, hanno detto in più occasioni, una grande azienda, patrimonio del Paese, rischiava di finire in mano a una cordata di scalatori che avrebbe potuto rivenderla dopo averla divisa in più parti. Il verdetto della corte presieduta da Giuseppe Casalbore arriva più di tre anni dopo un provvedimento della Consob che sulla stessa vicenda, aveva invece condannato i tre amministratori di casa Agnelli. Grande Stevens si è visto recapitare una sanzione di 2 milioni di euro, 1,2 milioni per Gabetti e 500 mila euro per Marrone. Dalla denuncia della Consob era poi nato il procedimento penale che ipotizzava la violazione dell’articolo 185 del Testo unico della finanza, quello che punisce la diffusione di notizie false che provochino un’alterazione del prezzo delle azioni (manipolazione del mercato).
La vicenda al centro del processo si svolge tra aprile e settembre del 2005, quando la Fiat annaspava tra debiti e perdite. Marchionne si era insediato al comando solo un anno prima e il risanamento dei conti era iniziato da pochi mesi. Peggio: sugli Agnelli incombeva la conversione di un prestito obbligazionario da 3 miliardi stipulato dalla Fiat nel 2002 con un gruppo di sette banche finanziatrici (Unicredit, Intesa, Capitalia e Sanpaolo le principali). In base agli accordi quelle obbligazioni potevano essere trasformate in titoli della casa automobilistica alla scadenza del 15 settembre 2005.
Risultato: gli istituti di credito, una volta esercitato il diritto di conversione, sarebbero diventati il principale azionista della Fiat con una quota del 28 per cento circa mentre gli Agnelli si sarebbero diluiti al 22 per cento.
PER EVITARE il ribaltone, Gabetti e Grande Stevens architettarono una complessa operazione finanziaria che va sotto il nome di equity swap. Ed è proprio sulla mancata comunicazione al mercato dell’equity swap stipulato da una società degli Agnelli già ad aprile 2005 che è nato il procedimento amministrativo della Consob e poi quello penale della procura di Torino.
Tutto ruota attorno al comunicato pubblicato il 24 agosto 2005 da Ifil, la holding degli Agnelli che all’epoca possedeva il 30 per cento di Fiat. Su richiesta della Consob, messa in allarme dai continui rialzi delle azioni dell’azienda torinese, Ifil rispose di “non aver intrapreso nè studiato alcuna iniziativa in relazione alla scadenza del prestito convertendo”. Aggiungendo che Ifil confermava “l’intenzione di rimanese azionista di riferimento di Fiat”. Secondo l’accusa questo comunicato diceva il falso, e quindi ingannava gli investitori, perchè ometteva di di spiegare che già quattro mesi prima gli Agnelli si erano mossi in vista della scadenza del prestito.
LA DIFESA ha invece argomentato che il comunicato era “minimalista ma non falso”. Si diceva infatti che sarebbe stata mantenuta la quota di controllo, anche se non si specificava il modo in cui si sarebbe raggiunto l’obiettivo. Inoltre, l’equity swap era stato materialmente stipulato da Exor, all’epoca una finanziaria lussemburghese degli Agnelli, e non da Ifil che aveva invece emesso il comunicato incriminato. Va detto, peraltro, che le comunicazioni tra Ifil e Exor non dovevano essere granchè complicate, visto che le due società, oltre a far parte dello stesso gruppo, avevano anche il medesimo presidente, cioè Gabetti in persona.
Dopo soli 20 giorni da quel comunicato, Exor ha esercitato l’equity swap rilevando 90 milioni di titoli Fiat rastrerellati nei mesi precedenti dalla banca d’affari americana Merril Lynch. Gli stessi titoli sono stati subito girati a Ifil. E così il cerchio si è chiuso. Exor, cioè gli Agnelli, hanno realizzato 74 milioni di plusvalenze. Mentre Ifil, forte di quei titoli, è rimasta al 30 per cento di Fiat, una quota superiore a quella delle banche. Se però il mercato avesse appreso per tempo dell’esistenza delll’equity swap, e quindi che il controllo di Fiat era destinato a restare agli Agnelli, le quotazioni della casa automobilistica avrebbero smesso mesi prima di correre al rialzo. Da qui l’accusa di manipolazione del mercato. Che però non ha retto al vaglio del processo. Vittorio Malagutti • CUSTODE DI SEGRETI E AFFARI PRIVATI
E’ stato chiamato “l’avvocato dell’Avvocato”. Franzo Grande Stevens è da molti decenni il grande consigliere legale degli Agnelli. Nato ad Avola, laureato in Legge a Napoli, si trasferisce a Torino dove diventa uno dei professionisti più vicini a Gianni Agnelli. Non c’è stata grande scelta del gruppo Fiat che non abbia visto entrare in azione, sul piano legale e giuridico, “l’avvocato dell’Avvocato”, che diventa vicepresidente della Fiat. Intanto Franzo Grande Stevens segue anche le vicende societarie dei grandi gruppi industriali italiani, collezionando cariche. Presidente della Toro Assicurazioni, della Ciga Hotels, della Fondazione San Paolo (di cui diceva: “Bisogna sempre servire la Compagnia, mai servirsi della stessa”). Membro dei consigli d’amministrazione di Ifil e di Rcs-Corriere della sera. Ma anche presidente della Cassa nazionale forense, dell’Ordine degli avvocati.
È stato anche presidente della squadra di calcio della Famiglia, la Juventus: dall’agosto 2003, succedendo a Vittorio Caissotti di Chiusano, fino al 2006, sostituito da Giovanni Cobolli Gigli. Quando scoppia il grande scandalo di Calciopoli, tocca allo studio Stevens reagire con una memoria che accusa Luciano Moggi di aver mantenuto comportamenti discutibili, “travalicando le funzioni a lui assegnate”. Moggi risponde con il veleno: “Tutto quello che io facevo era esclusivamente nell’interesse della Juventus. La nostra forza erano le sinergie. La Juventus era un modello frutto del lavoro di tutti in piena armonia. Per questo spiace molto essere individuato e indicato come una specie di cane sciolto che assumeva iniziative personali dannose per la società”.
È uno dei pochi uomini che rappresenta il gruppo Agnelli, fin quasi a identificarsi con esso. Tanto che quando Margherita, la figlia dell’Avvocato, decide di dichiarare la sua guerra per l’eredità, ritenendo di essere stata tenuta all’oscuro di una parte del tesoro di famiglia, cita in tribunale proprio Franzo Grande Stevens, insieme a Gianluigi Gabetti e Siegfried Maron, considerati i gestori del patrimonio del padre. (Gia. Bar.)