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 2011  gennaio 05 Mercoledì calendario

INTERVISTA A BARBARA BERLUSCONI

Seta fucsia per i divani, tappeti fiorati ai pavimenti e tessuti carichi di rose alle pareti, drappi rigati di rosa, bianco e pisello per le tende, moquette verde più dei prati e delle siepi perfettamente sagomate che diradano verso il Lago Maggiore e si godono dalle grandi porte finestre di Villa Correnti, a Lesa.
La residenza ottocentesca acquistata da Silvio Berlusconi nel 2008 ha, per la sua famiglia, un valore anche simbolico: il premier ci festeggiò il 72esimo compleanno, l’ultimo al quale ha partecipato la moglie Veronica. Non è mai stata utilizzata come set per un servizio fotografico, né mai aperta alla stampa. Apparteneva a Cesare Correnti, senatore del Regno d’Italia e agitatore delle Cinque giornate di Milano. Gli ultimi proprietari, prima del premier, sono stati i Garavoglia, eredi della Campari. Sono stati loro ad arredare i tre piani e le trenta camere ciascuna con un colore diverso: gradazioni di rosso, giallo limone fuso con il celeste, un arcobaleno di pastelli che mette allegria, come una gigantesca stanza da tè del cappellaio matto.
Ma Barbara Berlusconi, che pure se si è prestata sportivamente (con la complicità dei figli Alessandro e Edoardo e l’aiuto del compagno Giorgio Valaguzza) a fare la protagonista pop di questa favola fotografica firmata Miles Aldridge, non è Alice nel Paese delle meraviglie. E non dimentica che la nostra ultima intervista –quella, uscita nel 2009 degli scandali, dove ricordava al Cavaliere che «un uomo politico non può permettersi la distinzione tra vita privata e vita pubblica» – fece un bel polverone.
«Non sarà venuto per farmi litigare con mio padre?».

Veramente, vorremmo solo darle l’opportunità di dire la sua in un momento complicato per l’Italia, e di passaggio per la sua vita.
«Accetto volentieri, ma voglio fare una premessa: anche se a volte mi è capitato di non essere in sintonia con il pensiero e le azioni politiche di Silvio Berlusconi, non per questo sono una cattiva figlia, e non per questo amo meno mio padre. Ho per lui, e per i suoi molteplici successi, grande ammirazione, ma mi riservo di avere un approccio intellettualmente critico alla vita. Diversamente, sarei una persona da poco, e non avrei saputo sfruttare al meglio le tante opportunità che mio padre e la mia famiglia mi hanno dato. Poter distinguere la politica dalla vita privata è un privilegio che ho come figlia e che Berlusconi ha come padre, ma non come politico. Di questo resto convinta».
Che rapporto ha oggi con suo padre?
«Molto naturale, affettuoso. Per disposizione caratteriale mi sento simile a lui. Certo, il rapporto con i genitori non si gioca sempre sulle stesse corde. Sono la primogenita del suo secondo matrimonio e un po’ il fardello l’ho sentito. Ma non mi sento la “pecora nera” solo perché non mi allineo sulle convinzioni dei miei genitori».
Ma discutete mai?
«Certamente. In alcuni casi, non trovarsi in sintonia su certi principi e valori può causare un dispiacere o addirittura delle tensioni, ma attraverso la discussione critica i rapporti solidi possono anche rafforzarsi. Tutto questo lo trovo sano e naturale: sottolinea la sincerità dei rapporti e il desiderio di confronto, che se accolto in modo intelligente può essere costruttivo. Mi interrogherei, casomai, se capitasse il contrario. Come mi interrogo quando vedo atteggiamenti più accondiscendenti, che non credo aiutino. Anzi, portano danni maggiori».
So che di recente ad Arcore ha partecipato a un pranzo con suo padre e il sindaco di Firenze, Matteo Renzi, del Pd. Che impressione le ha fatto?
«Mi è sembrata una persona che vuole davvero cambiare le cose. Da lui mi sentirei rappresentata. Credo che ad avvicinarci non siano le idee politiche ma la stessa cultura generazionale. Noi giovani abbiamo bisogno di persone che sappiano creare una rottura e che non siano contaminate in modo eccessivo da un sistema di politica degenerativa. Certo, tra il sindaco Renzi e il Pdl di mio padre le ricette di governo sono diverse, ma c’è stato grande rispetto. Una cosa rara nella politica di oggi».
Che politici vorrebbe?
«Donne e uomini che sappiano concentrarsi sui reali bisogni e problemi di questo Paese, che sembra non sapersi ancora rinnovare, nelle istituzioni, nella cultura e nel lavoro. Credo che quando mio padre pensa a un post Berlusconi, dopo vent’anni di politica attiva, intenda persone come Renzi. O come il ministro Alfano».
Ma il rinnovamento è solo una questione anagrafica?
«La classe dirigente soffoca il desiderio di cambiamento perché è troppo legata al potere. L’età anagrafica è un falso problema: è l’età politica che conta, e quella lascia tracce anche peggiori di qualche ruga. L’astensionismo rischia di aprire una questione democratica e civile se nuove leve e nuove iniziative non emergeranno con chiarezza».
A proposito di ricambio generazionale: sarà lei il prossimo presidente del Milan?
«L’unico presidente è Silvio Berlusconi. Mi sembra prematuro pensare a una sostituzione. Entro nel Milan perché vorrei capire sul campo alcune dinamiche in una realtà d’impresa molto complessa. E poi c’è la tutela dell’interesse della mia famiglia, che continua ad appassionarsi in modo diretto alla squadra».
Sembra che Adriano Galliani, l’amministratore delegato, l’abbia accolta serenamente. Che tipo è?
«Un perno insostituibile nel Milan. E, per me, una risorsa da cui imparare. Penso sia uno dei dirigenti sportivi più capaci, ha alle spalle un’esperienza trentennale e una storia di manager di successo: non dimentichiamoci che lui è l’uomo dei tralicci delle nostre Tv commerciali».
Allora lei che ruolo avrà?
«In tutte le cose, anche in quelle che funzionano, credo sia importante un punto di vista che possa proporre novità costruttive e migliorative in una realtà certamente solida, ma ancora molto tradizionale. Al Milan non deve mancare questo input, che spero di portare un po’ alla volta».
Eppure sembrava che i Berlusconi si volessero disfare del Milan. Si era parlato di vendita.
«Non abbiamo pensato di fare un passo indietro. Però c’è stata una corretta valutazione dei costi e degli sprechi. Guadagnare con il calcio in Italia è ancora un’utopia, ma si può essere più certi di impiegare il denaro massimizzandone le potenzialità».
Il 20 febbraio 2011 sono 25 anni di proprietà Milan della famiglia Berlusconi. Ma per lei che cos’è il Milan?
«Per me il Milan è l’avatar di mio padre. Lui ha con la squadra un legame sentimentale molto forte, perché rappresenta in modo immediato il successo che è stato in grado di conseguire in tutti i settori in cui ha operato. Per me è un’opportunità di crescita professionale perché, pur essendo tifosa, so tenere i nervi saldi. Infatti mi concentrerò soprattutto sull’aspetto gestionale».
Che fine ha fatto la sua passione per l’editoria?
«Il mio interesse non è venuto meno. Ma ho deciso di seguire un percorso che in questo momento mi consenta di proseguire anche negli studi».
Si è laureata pochi mesi fa e già vuole tornare sui libri?
«Per me studiare è una passione, ma non solo. Faccio parte di una generazione per la quale professionalità significa alta specializzazione. Non sono più i tempi dell’università della vita. Studiare significa completarsi e acquisire nuove competenze. Io non posso permettermi il lusso di rimanere indietro».
Berlusconi è stato paragonato a una pop star. Lei che ne pensa?
«Mi sembra un paragone appropriato, perché lui riesce ad arrivare alla pancia e al cuore delle persone che parlano la sua lingua. Estrae il sentimento come una pop star, ha una spontaneità impressionante: sa sentire con l’altro. Ed è un conquistatore: anche i suoi detrattori alla fine ne sono un po’ ammaliati».
Conosce il suo segreto?
«La disponibilità ad ascoltare. Lui ha orecchie per il suo braccio destro e per il ragazzo che sistema il garage. Osserva le persone in modo trasversale e non mette a disagio nessuno».
Si può dire che il peggior nemico di Berlusconi è Silvio Berlusconi?
«Sì. Ma è vero anche il contrario: il miglior amico di Berlusconi è Silvo Berlusconi».
Per il premier è stato l’anno degli scandali a luci rosse. E per lei?
«Sono vicende che mi hanno amareggiato. E faccio fatica a rispondere serenamente. Vorrei che una lettrice provasse a mettersi nei miei panni. È ovvio che non sono d’accordo con un certo tipo di condotta, ma devo anche credere alle verità di mio padre. Per quanto riguarda la mia vita, più che a dodici mesi preferisco pensare alla fine di un mio percorso importante, verso una vita sempre più intensa. È iniziato con la nascita di Edoardo, il mio secondo figlio. Poi c’è stato lo stabilizzarsi del percorso imprenditoriale iniziato con la galleria Black Box, che è diventata un punto di riferimento per l’arte contemporanea a Milano e in Italia. Infine la discussione della tesi di laurea e, ora, l’affacciarsi nel Milan».
Sua madre, la signora Veronica Lario, quest’estate leggeva in vacanza a Formentera Sii bella e stai zitta, di Michela Marzano. Un saggio sulla condizione femminile nell’Italia di Berlusconi, un’analisi amara che parla di regressione delle donne. Che ne pensa?
«Che è un’analisi vera. Una donna non può che essere infastidita dalle immagini della realtà circostante, che sottolinea come il ruolo femminile sia costantemente relegato a quello di belle oche. Però non credo che l’Italia abbia fatto passi indietro, preferisco pensare a un ritardo cronico. Se nel Paese c’è stato un cambiamento, questo non ha coinvolto le donne e la condizione femminile. Un punto fondamentale che non viene preso nella dovuta considerazione, malgrado tutti gli indicatori economici, dalla disoccupazione al reddito discriminatorio, fotografino una condizione di disagio. Tutta colpa del governo? Una risposta un po’ semplicistica».
Ne azzardi un’altra.
«Non darei la colpa neanche a pubblicità, televisioni e giornali. Questi sono mezzi che, per avere un riscontro positivo, devono riflettere le esigenze dei consumatori. Se la società lancia il messaggio che la donna è una bambola, questi soggetti amplificano e danno risonanza al malcostume. Lo dico laicamente: cercherei la responsabilità nel cedimento dell’istituto della famiglia».
Si spieghi meglio.
«Una donna casalinga non viene considerata, in primis, tra le mura domestiche. E questa donna, svuotata di autorevolezza, fatica il doppio a trasmettere etica e moralità ai propri figli. Su questo i maschi italiani dovrebbero riflettere».
Che cosa le piace in una donna?
«Amo le donne profonde, sincere e coerenti. Quelle che senza perdere la femminilità sanno lavorare su se stesse per ottenere il massimo dal loro potenziale. Apprezzo le combattenti, non importa se si chiamano Lady Gaga o Michelle Obama».
Invece, che cosa non le piace?
«Mi irritano le “piacione”, quelle che reclamano la costante attenzione degli uomini e per ottenerla sono pronte a svilirsi. Più di tutto, però, detesto le snob, giro alla larga dalle presunte aristochic, che fingono di essere acculturate e sofisticate mentre nella realtà sono spesso superficiali e senza un vero lavoro. Si permettono di giudicare senza conoscere, mancano di rispetto a persone che ritengono più modeste. Senza accorgersi che magari queste valgono più di loro. In alcuni ambienti ne incontro parecchie, sarà per questo che ho poche amiche selezionate».
C’è altro?
«La presunta superiorità. Chi pontifica e si mette su un piedistallo. Le ragazze nate bene, convinte che questo basti a renderle donne migliori, sono condannate a rimanere prigioniere di un ambiente ristretto e soffocante, privo di stimoli e di opportunità di crescita».
Che tipo di donna si sente?
«I condizionamenti mi vanno stretti. Mi ritengo una persona sincera, e non ho paura di questo. Difficilmente scendo a compromessi. Cerco di diventare una donna libera, capace di valutare criticamente la realtà che mi circonda, e di essere realizzata sia nella vita privata che in quella sociale».
Vanitosa?
«Molto. Ma ho lavorato su di me per formare una persona e non un personaggio. Però mi piace non prendermi troppo sul serio. La donna ironica ha una marcia in più».
Il ministro per le Pari opportunità, Mara Carfagna, parla di maschilismo politico nei suoi confronti, riflesso di un Paese che tratta male le donne.
«La cosa più grave è che Mara Carfagna trovi il coraggio di lagnarsi. A volte bisogna avere il pudore di tacere. Se si sente discriminata lei, che dai Telegatti è diventata ministro, la cosa assume dimensioni ancora più grottesche».
Ma è Silvio Berlusconi che ha portato le showgirl in Parlamento. Ha messo lui in lista, a tutti i livelli, belle figliole che con la politica avevano poco a che fare.
«Non dimentichiamoci neanche che sono gli italiani che le hanno votate. La democrazia propone delle scelte, poi si chiede il consenso. E non mi pare che Berlusconi abbia un problema di consenso. Certo, non voglio eludere così il problema, credo che siano state fatte valutazioni superficiali, e che queste abbiano sminuito la classe politica nel suo complesso. Vedere certe signorine girare in auto blu non fa bene all’immagine del Paese, perché davvero si fatica a coglierne i meriti».
Cinque ministri donna: non ne salva nessuna?
«Generalizzare è sbagliato, perché ci sono persone che hanno anche cercato di fare bene. Da ex studente credo che la riforma Gelmini abbia ricevuto critiche eccessive. Per salvare il diritto allo studio bisogna prima azzerare sprechi e privilegi introducendo un doloroso criterio meritocratico. La riforma sarà migliorabile, ma per cambiare le cose a volte è necessario essere impopolari».
Che donna è per il suo compagno?
«Mi do un buon voto. Sfido Giorgio a dire che non sono una donna attenta e presente per i figli e per lui. Tra noi c’è un legame forte».
A 26 anni già due figli, e un lavoro impegnativo: non crede di aver bruciato le tappe?
«No. Per carattere, e per condizione, sento il peso della responsabilità. Fin da bambina, mi sono sempre imposta di essere più adulta, forse anche per essere all’altezza dei miei privilegi. Piuttosto, non so come possa esserci così poca maturità da parte di così tanti presunti adulti. Sono molte le donne che hanno uno stile di vita e un approccio sentimentale infantile».
Innamorata?
«Sì. Tra me e Giorgio non ci sono dei non detti. E non ci facciamo mai mancare il sostegno reciproco».
Come sta crescendo i suoi figli?
«Sono al centro della mia attenzione. Certo, non sono a casa tutto il giorno e ho tanti aiuti, tra cui mia madre, che è un grande sostegno. Ma i figli li cresco io. E vorrei strozzare mio fratello Luigi quando mi prende in giro dicendomi che sono la persona più impegnata del mondo, o che accampo scuse perché ho i bambini. È un peccato che non sia apprezzata la donna che decide di dare importanza alla sua vita familiare. Sono io ad alzarmi per Edoardo e Alessandro la notte, io la sera a preparare le loro cose per il giorno dopo, io a fare la colazione, io a portarli dal medico».
Cucina?
«Male, ma lo faccio con amore. Ammetto che il risultato non è considerevole, però non sono una di quelle che non sanno nemmeno accendere un fornello».
Sua madre non vive più a pochi metri da lei: ha dovuto lasciare Villa Belvedere. Le pesa?
«Mi dispiace molto. E pesa anche ai miei figli, che erano abituati ad averla più presente. Certo è a Monza, vicino, ma non è la stessa cosa, e mi mette angoscia saperla in albergo. Anche mio padre, che prima, durante i fine settimana, era solitamente a casa, ora lo vediamo meno. Questo succedersi di eventi, dovuto al divorzio dei miei, ha portato un grande dispiacere a tutta la famiglia».
Ma perché sua madre ha scelto un hotel, invece di prendersi una casa? Viene da dire che, se volesse, non avrebbe problemi.
«Lei non è fatta così. È una donna sensibile, non riuscirebbe a vivere in una casa di passaggio. Sarebbe peggio che stare in albergo, perché quella è palesemente una soluzione provvisoria. Senza contare che è uscita da Villa Belvedere da un giorno all’altro».
Come sta?
«Malgrado tutto la vedo serena, forte delle sue scelte».
Si dice che molti dei contrasti legali nella separazione tra i suoi sia da attribuire al futuro suo, di Eleonora e Luigi. È così?
«No. Non siamo mai stati oggetto di discussioni legate al patrimonio o a ruoli in azienda. Non abbiamo mai preso parte alle vicende personali dei miei, che rimangono un loro fatto privato».
Come finirà, per Berlusconi, questa stagione politica?
«Non ho la sfera di cristallo. Penso solo che quelle che mio padre chiama pubblicamente “debolezze” abbiano inciso sulla sua vita privata, ma anche sulla vita politica. Il mio dispiacere a volte diventa più forte perché non credo che Silvio Berlusconi premier meriti certi trattamenti. Ha fatto molto e bene per il Paese, si è speso con passione, con orgoglio, e ha conquistato importanti obiettivi. Ma molto si sarebbe potuto evitare se non avesse trascurato l’idea che tutti siamo vulnerabili. E che certi comportamenti possono rendere le cose inutilmente più fragili. Sarebbe ingiusto se della sua straordinaria vita politica si ricordasse solo questa stagione».