Gianni Trovati, Il Sole 24 Ore 20/12/2010, 20 dicembre 2010
MARCIA A PICCOLI PASSI VERSO IL FEDERALISMO
La trattativa per strappare alle regioni il parere positivo sul decreto che le riguarda è stata durissima, piena di rinvii e bracci di ferro, ed è costata uno sconto da 2 miliardi sui tagli 2011 e una mezza promessa di limatura da 3,3 miliardi su quelli per il 2012. Un passo avanti importante, che apre un nuovo problema: il tavolo con i comuni è incagliato, ed è fin troppo facile prevedere che anche i sindaci avanzino pretese analoghe per concedere il sì al loro decreto.
Il federalismo fiscale funziona così: la macchina è complessa e delicata, il movimento di ogni leva sposta anche le altre, e fra bilanci da armonizzare, imposte da creare, patrimoni da trasferire e standard da individuare il lavoro è enorme. A cinque mesi dalla scadenza della delega, che dà tempo al governo fino al 21 maggio per attuare il ridisegno complessivo di fisco e competenze territoriali previsto dai 29 articoli della legge 42 del 2009, la grande riforma si presenta all’appuntamento con la crisi politica con tre decreti approvati in via definitiva, cinque impegnati nella navigazione parlamentare, mentre secondo il monitoraggio della bicamerale altri due aspetti indicati dalla legge delega devono ancora trovare la loro definizione normativa. Una tabella di marcia che non offre troppe certezze, perché il cuore della riforma si trova ora nelle mani della commissione bicamerale, territorio diventato assai meno confortevole dopo la prova di forza parlamentare della settimana scorsa. Futuro e libertà da mercoledì scorso è all’opposizione, e in commissione schiera l’economista Mario Baldassarri, da sempre freddino sulla riforma disegnata dalla legge delega; ora l’asse forza-leghista conta 15 voti sicuri, cioè l’esatta metà della commissione, ma in bicamerale il pari si traduce in una bocciatura dei provvedimenti. Una situazione, a dire il vero, che non scoraggia il ministro della Semplificazione Roberto Calderoli, il quale sottolinea che «sul federalismo abbiamo sempre lavorato con l’opposizione».
Il bollino dell’approvazione definitiva sigilla tre provvedimenti, che però rappresentano in genere solo l’antipasto di un’attuazione che ha bisogno di molti altri passaggi. A Roma Capitale il Dlgs 156 del 2010 disegna il nuovo ordinamento di Roma Capitale, che andrà attuato con il nuovo Statuto della città e che troverà la piena applicazione solo all’interno di un contesto caratterizzato dalle Città metropolitane. Senza questo passaggio, la struttura rappresentata da sindaco, giunta, consiglio e municipi offre poche novità rispetto all’assetto attuale. Ampio il lavoro ancora da svolgere per l’individuazione dei fabbisogni standard di comuni e province, su cui il decreto legislativo già approvato (e pubblicato venerdì in «Gazzetta Ufficiale») offre solo il «la»: ora i comuni e le province dovranno rispondere ai questionari con i dati chiave della loro gestione, che dovranno essere elaborati dalla società degli studi di settore e dall’Ifel, la fondazione dell’Anci per la finanza locale, con l’aiuto di Ragioneria generale e Istat. Le scelte politiche determinanti, chiamate a fissare i livelli di finanziamento garantiti nel nuovo sistema, verranno dopo. Stessa musica per il federalismo demaniale: «per l’effettiva attuazione» del provvedimento che assegna a regioni ed enti locali una quota del patrimonio statale, la bicamerale conta nella sua relazione ancora 18 provvedimenti indispensabili.
Ma il nocciolo reale della riforma è nei provvedimenti che hanno ottenuto solo il primo via libera dal governo, e che per arrivare in «Gazzetta Ufficiale» devono ricevere il parere degli enti interessati, l’ok delle commissioni e la seconda lettura in consiglio dei ministri. Lo scoglio del parere è stato superato, a caro prezzo, dal decreto su fisco regionale e provinciale e costi standard, mentre per il federalismo municipale, che si porta dietro anche la cedolare secca sugli affitti, la commissione parlamentare si è appena concessa i tempi supplementari. Il parlamento avrà tempo fino al 28 gennaio, ma manca ancora il parere dei comuni, che attendono la fissazione dell’aliquota di riferimento per l’imposta municipale. L’ok dei sindaci non è vincolante, nel senso che il decreto può procedere anche senza, ma scrivere il federalismo senza l’assenso degli enti locali non sembra la strada politica più adeguata. Anche il decreto sui premi per i virtuosi e le sanzioni per chi rovina i conti è stato accolto freddamente dagli amministratori locali: «È incostituzionale», ha tagliato corto il presidente dei governatori, Vasco Errani, annunciando battaglia.
Per completare il mosaico mancano poi all’appello le Città metropolitane, che però attendono l’approvazione dei nuovi ordinamenti locali nella Carta delle autonomie, e gli obiettivi di servizio delle amministrazioni. Per arrivare all’obbligo di pubblicazione dei bilanci su Internet, invece, potrebbe essere sufficiente correggere il decreto sull’armonizzazione dei conti.