Pietro Ichino, Giuseppe Berta, Massimo Mucchetti, Il Sole 24 Ore 19/12/2010, 19 dicembre 2010
MARCHIONNE VA RIBGRAZIATO
«Dobbiamo essere grati a Marchionne almeno su un punto: l’aver avviato una riflessione sui difetti gravi del nostro sistema di relazioni industriali che contribuiscono a chiudere l’Italia agli investimenti stranieri». Pietro Ichino, senatore Pd e giuslavorista, vede con favore la "scossa" al sistema provocata dalle mosse del Lingotto e si auspica che il punto di arrivo porti benefici all’intero paese. «La Fiom – prosegue – sbaglia nel presentare le deroghe al contratto nazionale come un attacco ai diritti fondamentali dei lavoratori. I diritti fondamentali vengono sanciti dalla Costituzione e dalle leggi, non certo dal contratto di lavoro nazionale, che varia da settore a settore». «Anche Confindustria, aggiunge, credo sia rimasta troppo attaccata al modello centralistico della contrattazione collettiva. Uno dei nodi da sciogliere, per Ichino, è quello della rappresentanza. «Le regole – spiega – non ci sono e il problema nasce proprio dall’assenza di regolamentazione in una materia così delicata. È proprio questa situazione di anomia a generare il potere di veto di cui godono nel nostro sistema le coalizioni sindacali minoritarie». Dunque, chiediamo, fa bene Fiat a pensare di dare rappresentanza solo ai sindacati firmatari dei contratti ? «Quello che Fiat intende fare – chiarisce Ichino – è quanto previsto dalla legge vigente, ma la mia proposta è diversa. Il disegno di legge che ho presentato con altri 54 senatori prevede una norma semplice che attribuisce i diritti sindacali in azienda, in proporzione ai voti conseguiti, ai sindacati che nelle elezioni triennali delle rappresentanze superano una soglia minima di riferimento. La coalizione maggioritaria in azienda, inoltre, potrà stipulare contratti aziendali, compresa la clausola di tregua, con effetti vincolanti nei confronti di tutti i lavoratori». Pietro Ichino - SPACCARE TUTTO NON SERVE - «L’ingresso della globalizzazione nelle relazioni industriali ha rappresentato uno shock salutare. Il fenomeno Marchionne in sé è positivo. Lui però non ha attuato alcuna strategia di comunicazione per Fabbrica Italia». Giuseppe Berta, docente di storia contemporanea alla Bocconi di Milano, è stato responsabile dell’Archivio Storico Fiat ed è autore di numerose pubblicazioni dedicate all’industrialismo novecentesco. «Non è possibile - riflette - andare avanti con un sistema di relazioni ossificato e a liturgie che appartengono a un mondo che non c’è più. La sua carica innovativa è una sfida per l’intera società italiana, chiusa e anchilosata». La situazione è incartata. Poteva andare diversamente? «Sì. Marchionne è rimasto solo. È diventato l’amerikano con la cappa. La vecchia Fiat avrebbe condotto una campagna stampa, organizzato convegni, convinto l’opinione pubblica e blandito i sindacati. Marchionne ha sottovalutato la vischiosità e le complessità italiane». In particolare Marchionne avrebbe dovuto ridestare l’ormai sopito interesse dei sindacati per l’organizzazione del lavoro. «Perché il world class manufacturing - spiega - cambia la fabbrica. Il sindacato, su questo, è rimasto sordo. Marchionne non l’ha sfidato su questo terreno». Per Berta il sindacato non è qualcosa da abrogare, ma da riformare. E il "marchionnismo" potrebbe contribuire a farlo, senza spaccare tutto. «Qualcuno - dice - dovrebbe lanciare una proposta per ricomporre una situazione ormai disarticolata. Lo potrebbe fare il sindaco di Torino, Sergio Chiamparino. È un riformista apprezzato dai sindacati. Ha una modernità di pensiero che coglie la forza innovatrice di Marchionne. E ha un buon rapporto personale con lui». Giuseppe Berta - IL PIANO ITALIA ESISTE? «Che cosa propone la Fiat ai lavoratori italiani che da sempre la finanziano con il Tfr? Un programma di 20 miliardi di investimenti in 5 anni. Finalmente, diciamo tutti. Splendido. Ma in concreto? Nemmeno i ministri dello Sviluppo economico e del Welfare, sanno andare oltre i comunicati stampa della Fiat. L’ignoranza induce a filosofeggiare». Sulla vertenza Fiat è tranchant il giudizio di Massimo Mucchetti, che invita a guardare e ad imparare dall’esperienza americana di Chrysler che essendo fallita «non aveva alternative migliori» del piano Fiat: «La Uaw (il sindacato) ha concesso tagli dei salari e del personale, congelato i crediti sanitari in azioni Chrysler, per 5 anni non farà scioperi. In cambio ha avuto la conservazione di molte fabbriche, un nuovo management, la garanzia che i soldi dei governi saranno spesi per gli stabilimenti americani e canadesi, e la possibilità di vendere a suo tempo le azioni Chrysler. Il seggio nel board serve alla Uaw per sorvegliare che i patti vengano rispettati». Per il vicedirettore del Corriere della Sera «le rigidità della Fiom sono spesso un errore, come quelle di molti Cdr nei giornali», ma «attribuire la crisi della Fiat Auto alla Fiom va bene in un comizio, non tra persone che sanno leggere e scrivere». Mucchetti domanda: «Se l’Alfa non produce le 300 mila vetture promesse è colpa dei duri o dei modelli antelucani?». Quanto a Marchionne, secondo Mucchetti «alzare tutte le volte l’asticella fa sospettare che la partita italiana sia solo funzionale a far vedere una faccia feroce a Wall Street in vista del collocamento Chrysler del prossimo autunno. Ma poi?». Massimo Mucchetti