La Stampa 22/12/2010, pagina 44, 22 dicembre 2010
I giovani come equilibristi Non tagliamogli la corda - Caro Direttore, le parole di Luca Cafagna, lo studente universitario di 26 anni che ad Annozero ha litigato col ministro La Russa, nell’intervista sul suo giornale (18/12) hanno rivelato una terribile realtà
I giovani come equilibristi Non tagliamogli la corda - Caro Direttore, le parole di Luca Cafagna, lo studente universitario di 26 anni che ad Annozero ha litigato col ministro La Russa, nell’intervista sul suo giornale (18/12) hanno rivelato una terribile realtà. In un paese dove non c’è più una classe politica reale anche tutto quello che gli sta attorno «non è». Infatti Cafagna ci tiene a specificare cosa la sua generazione non è. Non è però in grado di dire esattamente quello che è. A parte autodefinirsi «bamboccioni» che si appoggiano alla famiglia perché non possono appoggiarsi al welfare dello Stato. Ed ecco viene fuori il vero problema, non solo di questa generazione, ma della nostra società. Nessuno in Italia riesce a stare in piedi con le proprie gambe ma deve necessariamente trovare qualcuno al quale appoggiarsi. Lo fanno le forze politiche, lo fanno i cittadini di qualsiasi età. Lei che ha vissuto in America per molto tempo sa che appoggiarsi in quel paese non è concesso. O si riesce a stare in piedi da soli o si cade. Una società crudele certo ma forse più realista della nostra. Cafagna ha 26 anni. Alla sua età Barack Obama faceva già politica attiva. Se aveva rabbia la univa alla sua passione. Anziché andare a bruciare auto, quello che sarebbe stato il futuro presidente Americano, iniziava a far bruciare quel combustibile positivo che si chiama entusiasmo. Cosi anche un signore che lo aveva preceduto, Bill Clinton, cresciuto in una famiglia disastrata dell’Arkansas, pura spazzatura bianca come la chiamano brutalmente gli anglossassoni, anziché appoggiarsi alla rabbia e alla violenza si costruì le proprie fondamenta individuali per rimanere in piedi da solo. Per questo quando Cafagna dice «non abbiamo partiti di riferimento» , «non abbiamo governi amici» o «quelli della mia età non sono rappresentati da nessuno» rivela in modo chiarissimo la debolezza della sua generazione e la sua debolezza individuale. Una debolezza che considera avere 26 anni come averne 12. A 26 anni si può, si deve, se si vuole avere il diritto di arrabbiarsi, autorappresentarsi, essere il proprio punto di riferimento e non aspettare un partito al quale riferirsi o un vago «governo amico» al quale appoggiarsi. A 26 si può, se si vuole, essere soggetti aggressivamente positivi e propositivi, non solo soggetti aggressivi punto e basta. Certo una società deve poter contare sul sostegno, il welfare, dello stato che la rappresenta ma deve anche essere costituita da individui capaci di costruirsi autonomamente gli strumenti per stare in piedi da soli. Il welfare è la rete di salvataggio, non può essere anche la fune tesa, la nostra vita individuale, sulla quale ognuno di noi deve avere il coraggio di camminare da solo e liberamente. Vorrei suggerire a Cafagna e a tutti quelli della sua generazione di provare, prima di decomprimere la propria, giustificata, legittima rabbia, a mescolarla con un po’ di passione ed entusiasmo individuale. Potrebbero scoprire un sapore diverso e molto più eccitante di quello della benzina delle molotov o del gas dei fumogeni. Infine una riflessione sull’ultima risposta di Cafagna. Una risposta che mi ha provocato molta angoscia. Un riposta che, nonostante Cafagna rifiuti paragoni con le generazioni del passato, riporta alla memoria proprio chi in passato affidò alla violenza il proprio futuro giustificandola con assurdi motivi e improbabili cause . «La domanda sul se ci saranno ancora violenze la giro al governo: ci sarà ancora la compravendita dei voti o verrà aperto un dialogo». In questa risposta inconsistente, che già auto assolve la propria futura, desiderata e inevitabile violenza, c’è il seme di un futuro oscuro e inaccettabile, identico ad un passato del quale l’Italia di oggi porta ancora i traumi e le cicatrici. Nessuno può comprare il voto di un uomo o di una donna di 26 anni che crede fermamente in quello che dice e che fa. Per questo Cafagna e la sua generazione costruiscano il loro strumento politico il più presto possibile perché un giorno siano loro a sedersi in Parlamento imponendo le loro idee, rifiutando che il loro voto venga comprato o scambiato, obbligando l’Italia tutta alle regole di un dialogo civile, contemporaneo e maturo. Se però non hanno voglia o gli fa fatica camminare in equilibrio sulla fune della maturità civile siano almeno coerenti con i propri desideri. Alla domanda «Sarà guerriglia come la volta scorsa?» rispondano semplicemente e onestamente con un tragico «sì». FRANCESCO BONAMI Francesco Bonami, critico d’arte che vive negli Stati Uniti, ha la passione per la provocazione e per le tesi forti, ama scuotere l’interlocutore. E di scosse l’Italia ha bisogno, ma non quella della violenza che troppe volte in questi giorni viene evocata, giustificata e sdoganata. La lettera di Bonami ha il pregio di riportarci all’alternativa possibile, che è quella dell’impegno e non della distruttività. Oltre all’Obama che, dopo un periodo di droghe e di smarrimento, sceglie di laurearsi e di diventare attivo socialmente nella comunità nera di Chicago, varrebbe la pena ricordare le parole che il presidente ha rivolto ai ragazzi all’inaugurazione dell’anno scolastico 2009: «Le circostanze della vostra vita, ciò che siete oggi, non devono determinare ciò che sarete alla fine. Nessuno ha scritto il destino per voi. Siete voi a decidere il futuro che avrete». È questo il punto cruciale: non arrendersi, avere passione, coltivare un sogno ed essere artefici del proprio destino nonostante tutto quello che ci circonda. Ma una cosa dobbiamo aggiungere e noi giornali la dobbiamo ripetere a gran voce: ai ragazzi che si affacciano al mondo del lavoro e dello studio oggi non possiamo chiedere elasticità e flessibilità che si tradurranno solo nella precarietà. La politica e la società devono garantire gli strumenti perché possano realizzare sogni e vocazioni: investendo sulla formazione e la ricerca, abbattendo le barriere e le burocrazie per le nuove iniziative, costruendo meccanismi di finanziamenti veloci e possibili. Ai ragazzi dobbiamo dire: datevi da fare e cercate di farcela da soli, ma non possiamo tagliare la corda su cui cercano di stare in equilibrio. MARIO CALABRESI