Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2010  dicembre 21 Martedì calendario

COREA DEL NORD LA SCOMMESSA DI PECHINO

Se tutto il mondo seguiva ieri con il fiato sospeso le dure manovre militari della Sud Corea contro il bellicoso Nord, temendo l’improvviso scoppio di una guerra, in Cina c’era di più. Tra gli uomini di potere cinesi c’era il nervosismo, l’apprensione, l’ansia dell’equilibrista sulla corda, di chi sa che a destra e a sinistra c’è il baratro, indietro non si torna e l’unica via di salvezza è andare avanti. La scommessa e la speranza era tutta che davanti alle avanzate della fanteria sudcoreana, Pyongyang sarebbe restata impassibile e non avrebbe reagito.

Per Seul infatti le manovre di ieri erano praticamente una scelta senza alternative. Il governo del presidente Lee Myung-bak doveva dare un segnale di forza alla sua popolazione spaventata per il bombardamento nordcoreano il mese scorso contro l’isola di Yeonpyeong. Il governo del Sud è infatti sull’orlo di una crisi politica e il presidente potrebbe essere travolto da un’ondata di proteste per non essere riuscito a tenere a bada Pyongyang.

Se le manovre sudcoreane sono comprensibili quindi proprio per gli equilibri interni di Seul, la posizione di Pechino è estremamente delicata. Esponenti del governo e la stampa ripetevano ieri che uno scontro in Corea sarebbe «una tragedia nazionale», perché va a cambiare radicalmente lo status quo dell’intera regione, senza però che una nuova architettura sia pronta e senza che ci sia un minimo accordo sul futuro della penisola coreana tra tutti i protagonisti «esterni» della vicenda, Cina, Usa, Giappone e Russia.

Eppure al di là di tutta la tensione la giornata apriva anche uno spiraglio di speranza. L’agenzia ufficiale nordcoreana, la Kcna, dava la parola ai generali del Nord i quali dicevano che non vale la pena di reagire alle provocazioni del Sud. Un gesto di teatro, inaffidabile vista la tradizionale imprevedibilità di Pyongyang ma almeno un minimo segnale di speranza.

Speranze maggiori venivano poi dalle dichiarazioni di Pyongyang all’emissario speciale americano Bill Richardson in Nord Corea. A lui i nordcoreani avevano dichiarato di essere disposti alla ripresa dei controlli dell’agenzia internazionale sull’energia atomica, l’Aiea, sui loro programmi nucleari. Questi sono due, uno al plutonio, uno all’uranio. I colloqui si erano interrotti perché Pyongyang ammetteva di avere solo il programma al plutonio e non quello all’uranio. Nelle ultime settimane però Pyongyang ha ammesso di avere anche quello all’uranio e lo ha mostrato al pubblico internazionale.

Oggi quindi il silenzio di Pyongyang davanti alle manovre del Sud e le dichiarazioni a Richardson potrebbero segnare l’inizio di una fase di raffreddamento della tensione e aprire più concretamente alla speranza di una ripresa dei colloqui a sei, interrotti ormai da circa due anni.

Ma oggi siamo ben lungi dall’avere certezze sulle intenzioni e le azioni di Pyongyang.

Di chiaro c’è ben poco. C’è il fatto che Pechino ha un «certo» potere di leva su Pyongyang, ma la stessa Cina non è certa di quanto possa tirare con Pyongyang la corda senza spezzarla. Se la corda con il Nord Corea si spezza l’imprevedibile opzione militare potrebbe essere l’ultima carta da giocare.

È evidente poi che un’opzione militare metterebbe sotto il tiro di migliaia di cannoni del Nord una zona della Sud Corea, dove abita metà della popolazione. Nella migliore delle ipotesi anche una rapidissima distruzione del Nord provocherebbe molte migliaia di morti e migliaia di miliardi di danni al Sud.

Di certo c’è che nessuno al mondo vuole pagare il conto di prendersi cura dei 22 milioni di nordcoreani improvvisamente privi del loro regime

In tutto questo c’è il grande rischio cinese. Se effettivamente tra qualche tempo il Nord accetterà di smantellare tutti i suoi programmi nucleari, la linea di attenta e prudente mediazione cinese sarà trionfatrice. Allora Hu Jintao, a Washington a metà di gennaio per il vertice con il presidente Barack Obama, potrà consegnare al collega americano un segno importante e concreto di fiducia per la costruzione futura del rapporto bilaterale.

Su questo conta Pechino, che sta organizzando per quei giorni anche una conferenza a Washington sul trasferimento delle tecnologie, cosa essenziale per il suo prossimo sviluppo economico. La conferenza è preparata da Zheng Bijian, il più stretto consigliere di Hu, e Hu aprirà i lavori.

Se viceversa la mediazione cinese fallisse, il rapporto con gli Usa, il Giappone e il Sud Corea potrebbe scivolare ulteriormente, dopo la catena di errori e passi falsi dei mesi scorsi.

Questa la vera tragedia nazionale e internazionale che incombe intorno alla Corea. Se si rompesse il rapporto tra Usa e Cina, il massimo debitore e il massimo creditore in questo mondo in crisi economica, gli equilibri mondiali in economia prima ancora che in sicurezza, sarebbero domani molto più precari.