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 2010  dicembre 21 Martedì calendario

Bielorussia, l’ultimo kolkhoz dell’Unione Sovietica - Al principio degli Anni Novanta Sergei Kromshenko era un piccolo imprenditore

Bielorussia, l’ultimo kolkhoz dell’Unione Sovietica - Al principio degli Anni Novanta Sergei Kromshenko era un piccolo imprenditore. Possedeva una ditta di trasporti e girava l’Europa con il suo Tir, fino in Francia, in Italia. Da sei anni però è stato reintegrato nel nocciolo duro dell’economia bielorussa: il kolkhoz. Pronunciare questo semplice nome riporta ai tempi dell’Unione Sovietica, ai piani quinquennali, alle imprese agricole collettive che permettevano di vivacchiare senza preoccuparsi troppo della qualità del lavoro. La Bielorussia è rimasta là. E con la rielezione per la quarta volta di Alexandr Lukashenko, un ex direttore di kolkhoz, rischia di rimanerci ancora a lungo. Kromshenko, oggi, è direttore aggiunto del kolkhoz di Petrovicie, trenta chilometri a Est di Minsk. Una piccola distanza, ma un altro mondo, lontano dalle vetrine della capitale. Circa 230 persone lavorano nella fattoria, per un salario medio equivalente a 200 dollari. Il grano prodotto viene venduto a Minsk, il latte a Mogilev. Kromshenko è all’inizio diffidente, di fronte al giornalista straniero. Poi si lascia andare. «Tutto è in pessimo stato, qui. Era così già prima che arrivassi io. Il prezzo del carburante e dei pezzi di ricambio per i mezzi è troppo alto. Ma soprattutto la mentalità del kolkhoz non è cambiata da trent’anni. Si può riassumere: “Non è roba mia e quindi me ne frego”». Gli obbiettivi dell’azienda sono fissati dall’amministrazione locale. Altrimenti, niente premi di produzione. Ma tutti quanti se ne fanno beffe. In Bielorussia il settore privato rappresenta appena il 25 per cento del Pil. E moltissime grandi aziende sono di fatto amministrate indirettamente da alti funzionari statali. «Tutti i grossi business appartengono a qualcuno che conta in alto - spiega il politologo Andrei Liakhush -: è una forma di capitalismo burocratico nel quale i funzionari sono soltanto interessati alla preservazione del regime». La vampirizzazione dell’economia da parte della burocrazia statale è confermata da un diplomatico europeo: «L’amministrazione presidenziale gestisce uno Stato nello Stato. Controlla aziende, hotel, ristoranti. Tutto ciò è assolutamente sottovalutato dagli analisti che annunciano sempre una crisi imminente». In realtà i settori protetti dell’economia vanno bene, ma sono le imprese private, quelle senza agganci nell’entourage del presidente, a patirne le conseguenze. Viktor Komiarshuk, per esempio, ha fondato un’agenzia di assicurazioni poco dopo il crollo dell’Unione Sovietica, una delle prime in Bielorussia. La società era in pieno boom fino all’arrivo al potere di Lukashenko, nel 1994, anno fatale. All’inizio degli anni 2000, il governo ha deciso di mettere le mani sul settore assicurativo. Oggi le società private rappresentano soltanto il 14 per cento del ramo, contro il 70 nel 2000. «Abbiamo assistito alla nazionalizzazione delle assicurazioni, specialmente quelle automobilistiche - racconta Komiarshuk, che è anche vicepresidente dell’Unione degli imprenditori -. Questa riforma economica estremamente idiota non ha dato alcun risultato positivo». Una delle ragioni per le quali il regime regge è l’attenzione che ha il governo per il «contratto sociale», come viene definito a Minsk. Le pensioni sono pagate senza un minuto di ritardo, le scuole e le cure mediche statali restano di buona qualità. All’inizio di dicembre, il presidente Lukashenko ha introdotto i trasporti gratuiti per gli studenti. Qui lo Stato controlla tutto, specialmente i prezzi: pane, latticini, frutta e legumi, la carne, la benzina, i biglietti di treni e autobus. E la vodka. «Il nostro sistema è dirigista, molto poco efficiente - nota l’economista Leonid Zlotnikov -. E’ stata creata una società florida soltanto in apparenza, ma la crescita di cui si è vantato il regime per tutti gli anni 2000 non è mai esistita. Le statistiche sono state truccate, i numeri sono stati moltiplicati artificialmente». Invece di investire nella modernizzazione delle strutture industriali, il regime ha usato i soldi per le spese sociali assistenziali e sostenere le imprese pubbliche alla deriva. Uno degli esempi più famosi è la fabbrica di orologi a Minsk, che la società svizzera Frank Muller ha recentemente rilevato per il 52 per cento. Ma sulla salute dell’azienda è praticamente impossibile verificare qualcosa. Lo stock di orologi invenduti, secondo Zlotnikov, era pari nel 2008 a 28 mesi di vendite, impressionante. E oggi? Secondo la direzione dell’impresa bisogna chiedere al ministero dell’Industria. Per il ministero bisogna rivolgersi all’amministrazione presidenziale, che rinvia a sua volta al ministero. Alla fine la direzione fa sapere che non giudica il momento opportuno per l’intervista: «Capisca, ci sono le elezioni presidenziali...». Copyright Le Monde