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 2010  dicembre 22 Mercoledì calendario

VITA DI CAVOUR - PUNTATA 50 - LE RONDE DI PIO IX

Se avevano capito il trucco, perché non regolare quelle manifestazioni… Magari proibirle? Gizzi ci provò, c’erano state oltre tutto altre feste per l’anniversario dell’elezione. Emanò una Notificazione, la fece attaccare ai muri in forma di manifesto, vi si leggeva «non aver potuto la Santità Sua non iscorgere senza grave dolore che alcuni spiriti agitati giovar si vorrebbero dello spirito presente, per esporre e far prevalere dottrine totalmente contrarie alle sue massime, ed imporne del tutto opposte all’indole tranquilla e pacifica e al sublime carattere di chi è Vicario di Gesù Cristo, ministro di un Dio di pace e padre di tutti i cattolici a qualsiasi parte del mondo appartengano e per eccitare nelle popolazioni con lo scritto e con la voce, desiderî e speranze di riforme, oltre i limiti stabiliti».

Siamo nel giugno 1847? Esattamente. Tra i consultori prescelti c’era Minghetti, per Bologna. Minghetti l’anno prima aveva detto al papa: «Vostra Santità determini chiaramente ciò che intende di fare, con quali mezzi, entro quali limiti, il paese attenderà con calma l’opera sua» . Però il paese, cioè i circoli, non attendevano affatto con calma. E il papa non aveva coraggio, faceva concessioni che non condivideva. Il passo successivo fu la Guardia Civica.

Che cosa significa? Noi oggi diremmo: le ronde. Esisteva una polizia di stato, naturalmente, e da tempo operavano, con una notevole ferocia, anche guardie private, organizzate prima in Centurioni, poi in Volontari. Centurioni e Volontari erano milizia di destra, sanfedisti, papalini o papaloni, sempre dalla parte del ricco contro il povero, o del governo contro gli scalmanati. La Guardia Civica, nelle parole di chi la chiedeva, sarebbe stato invece un presidio democratico, difensore dell’ordine pubblico e prima di tutto dei cittadini, eccetera eccetera. Era la Guardia Nazionale francese dell’89, quella di Lafayette. Il papa ne aveva orrore. «La Guardia Civica farebbe ridere di fuori e piangere di dentro» aveva scritto a marzo. A luglio, pressato dai giornali, dalle manifestazioni, dai circoli, concesse. I circoli erano ormai «una minoranza dalle idee chiare, energica, decisa» che aveva finito «per creare un governo di fatto dentro un governo di diritto, ridotto presto all’impotenza» (Martina). Quando Gizzi, che aveva già provato a dimettersi, gli presentò l’editto per la Guardia Civica, Pio IX vide che era limitata a Roma. Acconsentì all’ultimo che fosse estesa anche alle altre città. Gizzi firmò e si dimise. Radetzky, pochi giorni dopo, occupò Ferrara.

La Guardia era così pericolosa? Quattordici battaglioni armati solo a Roma. Uno per ogni rione. E s’era saputo che i gregoriani avevano preparato un moto per il 17 luglio. Metternich si sentiva forte per via della politica francese, sempre più amica di Vienna. E poi il papa si stava facendo prender troppo la mano. Radetzky era certo che sarebbe scoppiata la guerra, ed ebbe il permesso di intervenire.

Poteva? Mah. I trattati davano all’Austria il permesso di tener soldati a Ferrara nella place . Che cos’era la place ? La città o solo la sua cittadella? Per ora la truppa austriaca era stata nella cittadella, più un paio di caserme concesse perché stavano stretti. Adesso arrivarono un migliaio di soldati. Un grave errore.

Perché? L’obiettivo di Mazzini, di mandar fuori dai gangheri l’Austria, sembrava raggiunto. Mazzini scrisse infatti una lettera a Pio IX: «Siate "credente". Aborrite dall’esser re, politico, uomo di Stato… unificate l’Italia» e un patriota gettò poi lo scritto nella carrozza del papa che passava. Pio IX dovette protestare con Vienna, cioè farsi in qualche modo antiaustriaco. La propaganda ne aveva già fatto un mito italiano. Figurarsi adesso. Perché - m’immagino - tutte queste concessioni avevano giovato molto alla popolarità di Pio IX. Enormemente. In tutta Europa si stampavano biografie del nuovo pontefice. Gli economisti riuniti a Bruxelles - cattolici e protestanti - votarono un plauso «al più grande uomo del secolo». Si diceva che gli ebrei fossero pronti a riconoscere in lui il nuovo Messia. La gente tornava in chiesa. C’erano poi i propagandisti in servizio permanente effettivo. Per esempio, Massimo d’Azeglio. Incontri con tutti. La mattina da Gizzi, poi in giro per le osterie, discussioni con i circoli, litigate con Ciceruacchio. Era divenuto la quarta celebrità romana dopo il papa, lo stesso Ciceruacchio e la ballerina Fanny Cerrito. La lettera in cui aveva raccontato il suo incontro con Pio IX aveva fatto il giro d’Italia. In ottobre aveva scritto: «Un tale uomo ha fatto più per l’Italia in due mesi che non hanno fatto in venti anni tutti gli Italiani insieme. E dico, che il diffidare della sua promessa, sarebbe ancor più stoltezza che ingratitudine» . Adesso pubblicava opuscoli su opuscoli in lode di Mastai. Nel giugno ’47, la Proposta d’un programma per l’opinione nazionale italiana annunciava l’obiettivo dell’indipendenza nazionale: l’occasione sembra lontana, ma gli italiani aspetteranno «tranquilli e operosi» , decisi intanto a «migliorare le cose loro» e rendersi degni della Provvidenza. All’Europa non chiediamo «né una goccia del suo sangue, né un obolo dei suoi tesori, ma l’appoggio della sua parola e le sue simpatie» . «Se i Sovrani italiani non vogliono che i loro sudditi divengano liberali esaltati, debbono farsi essi medesimi liberali moderati» . Il Masi aveva qualificato Massimo di «moderato esagerato». Senza contare le prediche del padre Ventura.