Elvira Serra, Corriere della Sera 19/12/2010, 19 dicembre 2010
NON CREDO ALLE DONNE SUL PODIO - C’
incontriamo a Bologna, nel giorno della sua sconfitta. «Ho ceduto all’ iPhone...», spiega seduta sul letto del Carlton, dimora fissa quando prova con l’ Orchestra Mozart di Abbado. «Mamma, riesci a portarlo entro venti minuti a casa di Paolo che sta venendo qua? No? Va bene, anzi, è pure meglio», si organizza per telefono. Lorenza Borrani è argento vivo, a dispetto dell’ espressione ispirata e persa che la trasfigura quando suona. Leader (si dice così nei Paesi anglosassoni) della Chamber Orchestra of Europe, primo violino (insieme con Giuliano Carmignola e Raphael Christ) della Mozart, fondatrice di Spira Mirabilis (un progetto che riunisce giovani musicisti internazionali per studiare repertorio sinfonico e cameristico rinunciando alla figura del direttore). Tra una trasferta e l’ altra nelle capitali europee riesce anche a insegnare nella Scuola di musica di Fiesole, dove si è formata. Ventisette anni, ariete ascendente cancro («Smorza un po’ l’ irruenza»), tifosa fiorentina per necessità («Abitavo accanto allo stadio: o l’ amavo o l’ odiavo. Però sono ferma a Batistuta e Baggio»). Nessun parente musicista. «Babbo» Antonello progetta macchine per l’ ipertermia. Mamma Paola è casalinga. Vanni, il fratello maggiore, è speciale: «Ha avuto un trauma cerebrale durante il parto. Ha 33 anni, ma deve essere sempre seguito». Lorenza non lo dice, ma la musica e Vanni sono legati a filo doppio. «Il violino è arrivato per motivi di ordine pratico. Da piccola trascorrevo parecchi pomeriggi a casa di Sara, tuttora la mia migliore amica, in modo che mamma potesse occuparsi meglio di mio fratello. La madre di Sara, Annemiek, suonava il flauto e si era accorta che ascoltandola mi illuminavo. Così suggerì ai miei genitori di portarmi alla Scuola di musica di Fiesole, l’ unica che permette l’ ingresso ai bambini, perché al Conservatorio ci si entra a undici-dodici anni. Cominciai con coro a quattro anni, violino a cinque. Feci l’ audizione con Piero Farulli, il fondatore, già solista del Quartetto italiano, alto, grosso, ai miei occhi un gigante. Superate le prove di ritmica e canto mi chiese quale strumento volessi studiare. Risposi la tromba, pensando agli elefanti di Robin Hood che facevano Pa-pààà nel cartone animato. Farulli scosse il capo: "Ma non hai i polmoni sviluppati!". Questa immagine non molto chiara dei miei polmoni mi fece sentire inadeguata. Replicai con la prima cosa che mi venne in mente: il violino. Lui non poteva sperare di meglio, era il maestro». È andata avanti con balzi da centometrista. In quinta elementare a Padova l’ esame di solfeggio, pianoforte complementare e quinto di violino. A diciassette anni il diploma al Conservatorio di Firenze, con lode. Poi la maturità scientifica con 100 centesimi. «Dai 12 ai 19 anni non ho dormito più di tre ore per notte, e i miei genitori con me. Mamma mi portava prima il caffè, poi la camomilla. Gli insegnanti russi non capivano il mio attaccamento al liceo, ma per me non era chiaro di voler fare la musicista». La chiarezza è arrivata con tanti incontri, da Pavel Vernikov a Matis Vaitsner a Mstislav Rostropovich. E con la chiarezza, una consapevolezza conquistata sul campo: diventare il primo violino, il punto di riferimento per l’ orchestra dopo il direttore, l’ unico che il maestro saluta all’ inizio e al termine di un concerto, quello che dà il La ai musicisti. «A dire il vero, è il primo oboe a dare il La al primo violino, servendosi della macchinetta per l’ intonazione, così esce un La perfetto, a 442 hertz per la Mozart, a 441 per la Chamber. Le orchestre tedesche vanno a 443, perché le sale da concerto sono diventate più grandi e così il suono può arrivare più in fondo. Perché il La? È la corda vuota che hanno tutti gli strumenti ad arco. Nella Chamber do il La anzitutto ai contrabbassi, poi ai violoncelli, quindi alle viole e ai violini». Il ruolo richiede una caratteristica indispensabile. «Non puoi occupare quello spazio, il primo leggio esterno nella sezione dei violini, da dove tutta l’ orchestra ti può vedere, se non saresti altrettanto felice di suonare stando dietro. La fila deve sentire il tuo rispetto. Nessuno di quelli che fremono è pronto per diventare "spalla". Il violino è il più sociale degli strumenti: un solista che non ha mai suonato la sinfonia Jupiter di Mozart per me si è perso qualcosa». Il leader media tra il direttore e l’ orchestra, la sua gestualità riflette quella di chi sta sul podio. «Se vanno troppo veloci muovo all’ indietro la schiena per farli rallentare. Se la fila suona male è colpa mia, se lo fa bene un pochino è anche merito mio». La «spalla» mette anche le arcate, cioè scrive sullo spartito se le note vanno suonate muovendo l’ archetto dall’ alto verso il basso o viceversa. «La situazione ideale è quando il direttore porta la sua arcata, ma succede sempre meno. I tagli alla cultura significano anche questo: meno prove e più concerti, non sempre a vantaggio del risultato». Da donna, non ha miti femminili sul podio. «Il mio mito è Federica Pellegrini, ma quella è un’ altra cosa. Non credo nelle donne direttore d’ orchestra, forse perché non ne ho ancora vista una che mi abbia convinta». E non risparmia una battuta amara su quella che viene chiamata «podiomielite»: «È la moda dei musicisti che a un certo punto vogliono dirigere. A me mancano i vecchi direttori, diplomati in composizione e direzione e magari anche in tre strumenti, ma che hanno studiato per stare sul podio. Daniel Harding, per esempio, non è certo simpatico. Ma ha una idea molto chiara in testa e riesce a comunicarla». Proviamo ad associare i «suoi» direttori a delle frasi che gli appartengono. «Maazel diceva: "Quante cose avrei da insegnare a questo Beethoven"! È piuttosto rivelatoria... Abbado ci ripete in continuazione: "I limiti non esistono". Io ci sto riflettendo e invece secondo me esistono. Senza, non potresti renderti conto di averli superati. E oltrepassarli non significa che non ci siano più. A lui riconosco il "miracolo Abbado": alle prove parla pochissimo, ma in concerto riesce a farti suonare esattamente come vuole. Nikolaus Harnoncourt è grandissimo. Sua la frase: "La bellezza si trova al confine con la catastrofe". Vuol dire che devi sempre rischiare». Ammette che suonare «può colmare una mancanza come crearla, consolare come frustrare. Ma la musica è quella cosa che l’ uomo ha fatto molto bene a inventare perché può migliorare la vita di chiunque le permetta di farlo, musicista o non. Io ora posso dire di saper ascoltare la musica e questo mi dà la possibilità di sentirmi a casa ovunque mi trovi». Quando ha visto al cinema Il concerto di Mihailenau sua madre l’ ha rimproverata, ma lei non ha potuto che inorridire vedendo la debolissima Anne-Marie Jacquet nel ruolo di solista. «Se fai l’ attore ti prepari! Se devi girare una scena a cavallo come minimo prendi dieci lezioni, o no? Ecco, non la potevo guardare mentre teneva quel violino in mano, in modo così innaturale. Mamma mi ha dato della limitata...». Lorenza Borrani viaggia sempre con un romanzo nella valigia (ora ha con sé Conoscere una donna di Amos Oz), un fumetto (non si separa mai da Dovrei o non dovrei, Charlie Brown?) e un manuale di lingua straniera (è il tempo del tedesco con il metodo interattivo Assimil, sogna di comprare casa a Berlino). In ogni trasferta cerca di misurare la quotidianità, anche solo scegliendo lo stesso ristorante. «A Bologna vado sempre da Tony, a Lisbona in un piccolissimo locale a conduzione familiare dove fanno il miglior arroz de marisco, a Parigi in una creperia del quartiere latino, a Francoforte in un giapponese. È bello crearsi delle abitudini». Con «Ferdy», il violino Ferdinando Galliano del 1762 offerto dalla Fondazione Pro Canale di Milano, ci parla. Nella custodia c’ è una sequenza di foto in bianco e nero. I protagonisti sono lei e il fratello Vanni, molto piccoli. Lei lo tormenta fino a toglierli gli occhiali e poi ride trionfante, coprendosi la bocca con la minuscola mano. «Se ho il "giramento", vedere queste immagini mi riporta alla realtà».
Elvira Serra