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 2010  dicembre 19 Domenica calendario

CACCIA AI SEGRETI DELLE STELLE NELLE GALLERIE DEL GRAN SASSO - L’

ingresso è già da film di 007. Uno svincolo che si apre in un tunnel autostradale. Una via parallela. Poi, improvvisamente nella roccia, un minimondo sotterraneo, popolato da scienziati in tuta bianca e mascherina, che formicolano amorevoli intorno a strutture mai viste sulla terra. Una sfera di acciaio di 14 metri di diametro. Un parallelepipedo metallico alto come una casa. È l’ Lngs (Laboratori Nazionali del Gran Sasso): il centro di ricerca sotterraneo più grande e importante al mondo. Per gli studiosi che qui interrogano l’ infinitamente piccolo, per capire l’ infinitamente grande, attualmente 950 in arrivo da 29 Paesi diversi, è semplicemente «la Galleria». È nato durante gli scavi del traforo del Gran Sasso da un’ intuizione geniale avuta da Antonino Zichichi nel ’ 79, all’ epoca presidente dell’ Istituto nazionale di fisica nucleare: costruire lì, 1400 metri sotto la roccia, un laboratorio di 180.000 metri cubi. Tre sale, ciascuna di 100 metri di lunghezza, 20 di larghezza e 18 di altezza. Protette dalla coltre di pietra, dalla radiazione cosmica, le particelle altrimenti difficili da osservare, qui possono essere studiate comodamente. E in questo momento sono 15 gli esperimenti in corso ai quali lavorano dal Nobel Carlo Rubbia a studiosi di tutto il mondo, compreso Zichichi. Ma non è solo un luogo della scienza quello visitabile gratuitamente nei weekend da grandi e piccini (prenotandosi al www.lngs.infn.it). Ma un luogo dell’ anima. Dove ragazzi di ogni lingua e colore lavorano fianco a fianco con l’ unico obiettivo della conoscenza. Un mondo a parte dove nessuno dei pregiudizi che infuocano i rapporti fra le persone all’ esterno riesce a penetrare. Non è un caso che a dirigere i laboratori sia una donna: Lucia Votano. Che dopo una vita trascorsa a indagare i segreti dell’ Universo si trova qui a fronteggiare la sfida più difficile: dare un futuro alla fisica italiana dal prestigioso passato. «Noi formiamo giovani fisici preparatissimi con borse di studi e dottorati e, alla fine, quando potremmo godere dei frutti di un investimento costato allo Stato 500 mila euro ciascuno, li dobbiamo veder partire perché non possiamo garantire loro neanche un contratto a termine». Il blocco del turn-over dei dipendenti pubblici qui sottrae linfa vitale alla scienza italiana. L’ assenza di possibilità di programmazione delle risorse e i tagli fanno il resto. Trattando alla stregua di un qualunque ufficio pubblico una struttura che il mondo ci invidia. «Nessuno di noi vorrebbe mai andare via da qui», conferma Ana, ricercatrice brasiliana dagli occhioni profondi e il sorriso che incanta. «Qui ciò che hai imparato soltanto sui libri lo vedi materializzarsi sotto i tuoi occhi. È un’ emozione grandissima». George Korba, ingegnere elettronico ungherese, annuisce intenerito. A lui la sfida del pensiero che si fa formula matematica interessa meno. «Sono un pratico. Mi piace trovare soluzioni a tutti i problemi che si possono creare negli esperimenti. Ma qui è bello anche per la vita che fai. Ci sono sempre molti giovani che arrivano e vanno». Nel piccolo mondo avveniristico della Galleria nascono amicizie che a volte si ritrovano, magari dopo anni, in altri laboratori. E nascono anche amori. Una dottoranda dell’ Aquila ha conosciuto un ricercatore greco, si sono sposati e sono andati a vivere negli Usa. Una laureanda dell’ università di Milano ha sposato un tecnico di laboratorio tedesco e con lui è andata a vivere in Germania. Matthias Junker, dipendente del laboratorio da vent’ anni, spiega perché: «Lì, in Germania, ti favoriscono per avere la tua professionalità. Hanno trovato un posto per tutti e due nella stessa città e hanno anche pagato l’ asilo per i loro bambini». Lui però, tedesco che ha sposato una donna italiana, sta bene qui. C’ era già quando cadde il muro di Berlino. E ricorda lo smarrimento degli scienziati sovietici che erano al lavoro sull’ Lvd, l’ esperimento di Zichichi cofinanziato dall’ Urss. «Tutti i punti di riferimento vennero improvvisamente a mancare. I materiali non arrivavano più. E l’ esperimento che doveva ancora essere costruito rischiava di non partire». L’ ottica è sempre scientifica e comunque diversa qui nei laboratori dove la temperatura è di 6-7 gradi costanti e l’ umidità del 99 per cento. Qui, dove i problemi assillanti sono come è nato l’ Universo, come funzionano le stelle e che cos’ è la materia oscura, ci si prende cura degli esperimenti come amorose fidanzate. Matthias, arrivato all’ Lngs dopo esperimenti fatti all’ università costruendo con amici un mini acceleratore di particelle, mostra orgoglioso lo sviluppo degli studi di allora. Certo meno impressionante di megastrutture come Borexino, Icarus o Opera. Location perfette per film di fantascienza. Icarus è costituito da due serbatoi lunghi 17 metri, contenenti ciascuno 300 tonnellate di Argon liquido a meno 186 gradi che consente di misurare gli eventi che provengono dal fascio di neutrini arrivati qui dal Cern di Ginevra: un miliardo di miliardi di neutrini ogni giorno compiono 730 chilometri sotto la roccia e arrivano praticamente tutti a destinazione. Ce ne sono diversi di esperimenti sul comportamento di queste particelle. Si è scoperto così che alcuni nel percorso cambiano le proprie caratteristiche. Borexino, la mega sfera di acciaio su cui sono montati fotomoltiplicatori, contenente 1200 tonnellate di liquido scintillatore, è un rivelatore di fotoni, le emissioni luminose prodotte dai neutrini in arrivo. Apparecchiatura, come tutte le altre, realizzata dagli stessi responsabili dell’ esperimento. Oleg Smirnov, che dirige Borexino, lo sottolinea: «L’ esperimento ha sempre bisogno di molti anni. Si inizia progettando la struttura. Oltreché trovando i fondi. Poi parte l’ osservazione che può durare a lungo. E non è detto che alla fine si trovi ciò che si era ipotizzato all’ inizio». Qui è accaduto. Oltre a far capire meglio cosa avviene al centro del sole si è scoperto, a sorpresa, che ci sono neutrini emessi anche dalla terra. Sono tutte apparecchiature sensibilissime che hanno lasciato con il fiato sospeso i ricercatori la notte del terremoto. Molti hanno cercato di rientrare subito dopo la grande scossa, vincendo la paura di rimanere intrappolati, per controllare se qualcosa fosse stato danneggiato. Ma grazie alla sapiente opera di progettazione tutto era integro. L’ unica ferita il terremoto l’ ha aperta nell’ animo dei ricercatori. La racconta Ana: «Siamo rimasti molto dispiaciuti che dopo il terremoto si è creato un sospetto. Un pettegolezzo. Una paura diffusa che a scatenare la scossa potesse essere stato un errore compiuto all’ interno dei laboratori. Ma non è vero». Un giornale locale lo ha anche scritto. La direttrice lo dice con un misto di sarcasmo e disprezzo nel volto: «Certo che non ho smentito. Scientificamente era una stupidaggine enorme. I neutrini non interagiscono con la materia, se non debolissimamente, da qui la difficoltà dei nostri esperimenti. E dire che ci dedichiamo così tanto all’ educazione alla scienza sul territorio». Si fanno visite guidate, laboratori didattici, e campus estivi scientifici per i bambini. Ma nessuna amarezza riesce a scalfire l’ atmosfera di entusiasmo che si respira qui sotto. Roberta Antolini, astronoma, ex ricercatrice e ora portavoce del laboratorio la sintetizza così: «Pensare che per studiare le stelle, invece di raggiungere la vetta più alta, tu debba nasconderti dentro una montagna. Cosa ci può essere di più fascinoso»?.
Virginia Piccolillo