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 2010  dicembre 19 Domenica calendario

ESPLORATORI GENETICA E VITA ETERNA: LA SFIDA VIENE DAL FREDDO - A

qualcuno piace freddo. Anzi freddissimo, meglio «on the rocks». A cominciare da un Martini da urlo, servito in calici regolamentari non di cristallo ma di ghiaccio, al bar di ghiaccio dell’ Aurora Ice Museum, dalle parti di Fairbanks, Alaska. Da gustare in pelliccia e guanti di lana, pena il congelamento delle dita al terzo sorso. Consigliabile ingollarne almeno due o tre prima di infilarsi nel letto dell’ hotel a fianco, un matrimoniale king size, sponde, colonne e spalliera di puro ghiaccio. Seicento dollari a notte, sogni surgelati garantiti. Ambitissimo da sposini abbastanza roventi da essersi scambiati il «sì» nella contigua Ice Church, prete in giacca a vento, e affrontare la prima notte stretti stretti in un sacco a pelo, al settimo gelo.
E Gelo è la meta e il titolo del libro di Bill Streever, biologo e ambientalista con la passione del termometro sottozero. Tanto da vivere con il figlio e la compagna ad Anchorage, Alaska, dove, tempo permettendo, pratica con passione alpinismo, sci e nuoto subacqueo. E difatti già nella prima pagina di quelle Avventure nei luoghi più freddi del mondo, come recita il sottotitolo del volume pubblicato da Edt (pp. 312, 20) lo incontriamo in costume da bagno a Prudhoe Bay, dalla parti del Circolo Polare Artico, pronto a un tuffo estivo. Siamo a luglio, acqua calda, due gradi. A un amico rimasto astutamente a riva, Bill comunica le sue sensazioni in diretta: dopo un minuto le dita dei piedi sono intorpidite, dopo quattro il pizzicore sulle cosce si trasforma in dolore bruciante. Al quinto si convince a uscire. Ci vorranno due ore per far riprendere calore al corpo.
Bill forse è un po’ masochista, o forse è solo un gourmet dei ghiacci, un fan dell’ inverno a oltranza. Ma prima di tutto Streever è uno scienziato. E come tale si avventura fino alle estreme frontiere del freddo, a caccia dell’ ultima, algida, Thule. Sulle orme dei grandi esploratori, Vitus Bering, Ernest Shackleton, Robert Falcon Scott, ripercorre la storia delle grandi glaciazioni, studia gli influssi economici, politici e sociali del gelo, medita sulle reazioni del mondo animale e umano quando la colonnina del mercurio va giù, sempre più giù...
Con meticolosa puntualità, capitolo dopo capitolo, da luglio al giugno successivo, annota temperature e luoghi di un anno vissuto glacialmente, il letargo di orsi e bruchi, le migrazioni degli uccelli, le rane boreali che d’ inverno si fanno di ghiaccio e a primavera risorgono... Una meditazione su freddo e dintorni controcorrente in epoca di riscaldamento globale, una scelta di campo impopolare in una società che sembra aspirare a squagliarsi insieme con i ghiacci polari. D’ altra parte, è vero che il freddo non ha mai goduto di buona stampa. Nel crescendo dei tormenti dell’ Inferno, Dante sistema i gironi del ghiaccio riservati ai traditori, in fondo in fondo, dopo quelli del fuoco.
Immagini e metafore si sprecano. Freddo come la morte, la paura, l’ animo e il cuore di chi è insensibile. A sangue freddo uccidono i più perfidi, fredda è la guerra senza armi (ma quella «calda» non è peggio?) fredda la mente dei calcolatori... Per non parlare dei piedi. Freddi sono indice di cattiva circolazione, freddissimi rischiano i geloni.
Connotazioni negative che hanno contribuito alla cattiva fama di un fenomeno penalizzato anche da secoli di miseria, in cui neve e gelo erano i temuti killer di piccole fiammiferaie, di poveri, di anziani. Gli stessi che oggi vengono invece stroncati dalle ondate di torrido calore. Se un tempo non avevano i soldi per riscaldarsi, adesso non hanno quelli per raffreddarsi. L’ aria condizionata in gran parte del pianeta resta un privilegio di pochi Paesi, e più son ricchi più la fanno andare a manetta. In ufficio, in casa, in metropolitana, in treno, in aereo, in taxi... Il freddo artificiale piace, quello naturale è da fuggire. Gran parte dell’ umanità dell’ emisfero occidentale auspica ormai un’ estate perenne, con cieli sempre azzurri e caldo da spiaggia lietamente fasulli come in «Truman Show». Al primo cenno di nuvole, pioggia, vento, si alza inevitabile il coro dei lamenti. L’ autunno viene accolto con scongiuri, l’ inverno con sgomento. Persino i metereologi s’ adeguano: all’ avvicinarsi del temibile zero scatta l’ allarme. Qualche centimetro di neve e la Protezione civile si allerta, le città vanno in tilt, com’ è successo nei giorni scorsi, tv e media non parlano d’ altro. Chi può molla tutto e scappa a Sud, nelle isole beate del sole eterno, chi resta mugugna e alza il riscaldamento a livelli tropicali.
Bei tempi quando nevicava sul serio. I fiocchi che caddero su Berlino nel 1915 erano larghi tra i sette e i dieci centimetri. E quelli che sommersero il Montana nel gennaio del 1887 misuravano, testimoniano le cronache locali, quasi 40 centimetri, 20 di spessore. Per non parlare di come morì, nel 1776, il figlio di un funzionario laico della parrocchia di Bampton, nel Devon, Inghilterra. Trafitto da una lama di ghiaccio piombata su di lui dal campanile della chiesa. Sulla sua lapide si legge: «O Signore/ qui lui giace/ in una triste disgrazia/ ucciso da un ghiacciolo».
Dati ed eventi da incubo. Streever riferisce. E ammonisce: l’ adattamento al freddo non è eterno, potrebbe scomparire dopo qualche inverno trascorso in Florida. Generazioni cresciute imbottite e surriscaldate non hanno più i necessari anticorpi, così alla prima brina caterve di bambini, anziani e pure adulti, si barricano in casa, si ammalano, si trascinano da uno sternuto all’ altro. Quello che ieri era uno sporadico raffreddore oggi minaccia a ogni autunno di trasformarsi in temibile influenza, pandemia cosmica. Il freddo porta con sé germi letali. Invasione di ultracorpi da un algido cosmo.
Eppure, garantisce il biologo, preso a giuste dosi il freddo fa bene. Anzi benissimo. Rafforza il corpo, stimola i sensi e la mente. A proposito vale ricordare quel che ha scritto Douglas Mawson, esploratore antartico: «Durante le ore di cammino sugli impervi campi innevati, i pensieri scorrono, la mente è serena e rilassata». Non per niente i Paesi con la migliore qualità di vita sono tutti al Nord. Il freddo conserva, è motore di buona parte dell’ economia, aiuta persino a dimagrire. Secondo recenti ricerche tenere il riscaldamento di casa un po’ più basso, tre-quattro gradi in meno, aiuterebbe il metabolismo a bruciare di più. «Il freddo è come la malaria, se non ti uccide ti aiuta a perdere peso», assicura Streever.
Il freddo è morte e rinascita. Per marmotte, procioni e scoiattoli è l’ occasione di lunghi sonni comatosi, per i lemming, piccoli roditori artici, di allegre orge sotto la neve, quando infrattati in tunnel sotterranei si accoppiano furiosamente e riempiono le gallerie di cuccioli. Per gli umani il freddo è salvifico nella criochirurgia, prolifico per la fecondazione assistita. Ovuli e sperma conservati in azoto liquido a -195° danno speranza a coppie sterili e innescano dibattiti d’ ordine morale. In teoria - ricorda Streever - si potrebbero congelare ovuli e sperma a tempo indeterminato, farli unire in eterno, anche dopo la morte dei loro potenziali genitori.
Immersi nell’ azoto liquido, sempre a -195°, corpi ibernati sognano un’ altra illusione di vita. Il primo a sfidare la morte con il ghiaccio è stato James Bedford. Stroncato da un cancro nel 1967, subito dopo esser stato dichiarato morto, secondo le sue volontà, una squadra di tre uomini gli ha pompato glicerina nelle vene, lo ha raffreddato con ghiaccio secco, quindi immerso in azoto liquido. Esempio imitato da altri irriducibili dell’ al di qua. Attualmente, riferisce il biologo, sono circa 70 i «pazienti», così vengono definiti, conservati in azoto liquido da varie compagnie del ghiaccio che promettono di accudirti dietro compenso, 150 mila dollari. Non modico, ma per l’ immortalità si può fare. Pagamento anticipato, s’ intende. Alcuni di questi corpi in attesa di risveglio sono interi, di altri, meno facoltosi, sono conservate solo le teste, troncate dal resto, da innestare, quando la scienza avrà trovato il rimedio per curare il male che li ha uccisi, su altri corpi, «presumibilmente ancora caldi ma dal cranio vuoto di un donatore straordinariamente generoso», chiosa ironico Streever. Un’ immagine macabra, che evoca il Frankenstein di Mary Shelley, creatura ibrida, pezzi di cadavere assemblati e rianimati. Nella prima versione del romanzo il mostro viene dal freddo, appare su una slitta su un desolato paesaggio artico. Un genio del cinema come Francis Ford Coppola fa iniziare il suo Dracula su un mare di ghiacci, su cui arriva la nave che porta il vampiro. E nei disegni di Doré Il vecchio marinaio di Coleridge congela la sua leggenda tra le colonne di ghiaccio dell’ Antartide.
D’ altra parte, Arthur C. Clark, scrittore di scienza e fantascienza, sosteneva il successo dell’ ibernazione al 92 per cento, mentre il criobiologo Arthur Rowe avverte: «Ritenere che l’ ibernazione possa riportare in vita qualcuno che è stato congelato è come credere di poter ritrasformare gli hamburger in mucca». Amen.
Ai confini della metafisica si spinge anche la ricerca dello zero assoluto. Lord Kelvin nel 1848, anno dei grandi moti rivoluzionari europei, lo fissa a -459° Fahrenheit, ovvero -275° Celsius. Temperatura a cui il movimento molecolare rallenterebbe fino a cessare del tutto. Irraggiungibile per ora, sarebbe la morte della materia.
Molto meno c’ è voluto per sterminare eserciti, cambiare il corso della storia. La neve, ricorda Bill, ha fermato in India la marcia verso Est di Alessandro Magno, ha bloccato l’ invasione saracena della Francia del XII secolo. Neve e gelo hanno trasformato i 12mila soldati del Continental Army di George Washington in «un esercito di scheletri», hanno sbaragliato l’ esercito di Napoleone con un dicembre a -37°, hanno fatto morire assiderati sessantamila soldati italiani e austriaci sul fronte della Prima guerra mondiale. Nell’ ottobre del 1941 Hitler tentò di invadere la Russia ma non fece i conti con l’ arma segreta del Paese: il gelo. Il ghiaccio rese inutilizzabili le mine tedesche, i carri armati s’ impantanavano e i militari, a -45°, aspettavano invano i vestiti invernali. Si calcola che siano stati 250mila i morti per congelamento e ipotermia.
I russi, abituati al gelo e attrezzati, se la cavarono. E durante la guerra di Corea, il congelamento tra i soldati afroamericani risultò più frequente che fra i bianchi. I neri avevano una probabilità quattro volte maggiore di subire lesioni causate dal freddo rispetto ai bianchi. D’ altra parte, a riprova che la consuetudine con il clima può risultare determinante, gli inuit e i pescatori norvegesi hanno una circolazione sanguigna periferica maggiore rispetto agli europei. Leggendaria la resistenza al freddo delle tuffatrici giapponesi «ama». La loro tolleranza alle bassissime temperature dei mari in cui si immergono per molte ore, una volta a seno nudo, oggi con la muta, per cercare perle e conchiglie, è oltre ogni canone comune.
Ma, come nei gialli, il brivido vero Streever lo assesta alla fine. Visto come va il clima, sostiene, quell’ Era glaciale di recente ripercorsa in tre film da una bella serie d’ animazione, sta arrivando al suo realissimo e temibilissimo compimento proprio adesso. Un futuro di ghiaccio sembra in agguato. Paesaggi marmorei, lattiginosi, di visionario biancore, come nei quadri di Bruegel o di Caspar Friedrich. Come in quel Paese dei ghiacci in cui Andersen ambienta una delle sue fiabe più misteriose e crudeli, quella della Regina delle nevi che sfida un bambino rapito a comporre un puzzle terribile: scrivere con frammenti di ghiaccio la parola «Eternità». Promessa mortale di una vita senza fine, senza calore, senza emozioni. L’ illusione onnipotente di tenere il mondo sotto controllo che oggi, nell’ inverno globale del nostro scontento, in troppi si ostinano a perseguire.
Giuseppina Manin