Lauretta Colonnelli, Corriere della Sera 18/12/2010, 18 dicembre 2010
ECHAURREN. DA «PORCI CON LE ALI» A ROMA, GRANDE CIPOLLA
«The big onion», la grande cipolla: è Roma vista da Pablo Echaurren. «Camminiamo su strati di generazioni, calpestiamo le loro polveri e alla fine diventeremo anche noi uno strato di polvere», dice l’ artista, che alla città ha dedicato la prima sala della mostra «Crhomo Sapiens», inaugurata ieri presso la Fondazione Roma Museo. E mentre parla di «the big onion» ha tutta l’ aria di non pensare che l’ edificio storico dove è ospitata la rassegna delle sue opere oltre duecento si chiama proprio Palazzo Cipolla. Coincidenze significative? L’ esposizione, inaugurata ieri dal pittore insieme a Emmanuele Emanuele, presidente della Fondazione e appassionato estimatore dell’ artista da quando scoprì un suo dipinto in una galleria di piazza Navona, è di quelle da non perdere. Abbagliante fin dalla prima sala, dove i nove monumentali acrilici sembrano illuminare lo spazio come altrettanti lampadari, per la festa dei colori e l’ irruenza dei segni. «La Grande Cipolla» è anche il Colosseo, come recita il titolo del quadro che raffigura l’ anfiteatro flavio in una girandola di verdi psichedelici. Nel «Cielo sopra Roma» l’ aquila aureolata domina un popolo di oscuri piccioni. L’ «Alba mammifera» sorge su un tripudio di cupole. «I vertici azzurri di Roma» creano una foresta di obelischi. Sono le opere più recenti di Echaurren e sono esposte accanto a un mosaico in marmo bianco, grigio scuro e oro, intitolato «Umbilicus Urbis», che mostra un girotondo di teschi ed è stato sistemato sul pavimento al centro della sala incorniciato da una pedana nera. Intorno, racchiuse nelle teche di vetro, otto piccole sculture celebrano ironicamente secoli di storia: la lupa con i teschi di Romolo e Remo tra le zampe e una tibia tra i denti; lo scheletrino col cuore di opale rosso che regge uno specchio rivolto verso lo spettatore per ricordargli che dovrà morire e al tempo stesso invitarlo a godersi la vita; la colonna di teschi sovrapposti intitolata «I sette decollati»; e poi dei gioielli molto ironici, come gli orecchini-orecchie con ai lobi altri orecchini estraibili a forma di mosca. C’ è già, in questa prima sala, un condensato dell’ arte di Echaurren: colta e sovversiva, deflagrante e poetica, ironica e fantastica. C’ è anche quell’ «horror vacui» che da quarant’ anni lo costringe a riempire di segni ogni millimetro quadrato di superficie, per essere certo di restare vivo creando senza sosta, perché «la consapevolezza della morte ci condanna alla vita», come recita il quadro che chiude la mostra. È il più recente, datato 2010, ed è appeso accanto al più «vecchio», risalente al 2007. Anche qui vale la pena citare il titolo: «Il masso delle formiche a forma di cetaceo pietrificato raggiunge la rupe del cigno fossile», racconto sconclusionato che Echaurren sviluppa in un foglio di cartone di appena trenta centimetri per quaranta, suddiviso a sua volta in 132 riquadri fittamente disegnati con paesaggi rocciosi e il ciclo della luna, che sorge e tramonta sul mondo, a sottolineare la circolarità del tempo, un’ altra delle ossessioni dell’ artista. Fu uno di questi disegni a quadratini, stampato sulla copertina del libro icona del Settentasette, «Porci con le ali», a renderlo famoso. Il percorso a ritroso della rassegna, curato da Nicoletta Zanella, presenta le varie fasi della sua carriera. Dalle magnifiche sculture maiolicate ispirate a Faenza, ai collage fatti con frammenti di pubblicazioni futuriste, dalle illustrazioni delle favole di Esopo ai libri, dai dipinti in cui si celebra il basso elettrico a quelli dove si canta la Natura come esplosione di spore.
Lauretta Colonnelli