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 2010  dicembre 19 Domenica calendario

Tolstoj vs Dostoesvskij Sfida all’ultimo romanzo con colpo di scena - Lev Tolstoj sembra il per­sonaggio più riuscito del più micidiale tra i roman­zi di Fëdor Dostoevskij

Tolstoj vs Dostoesvskij Sfida all’ultimo romanzo con colpo di scena - Lev Tolstoj sembra il per­sonaggio più riuscito del più micidiale tra i roman­zi di Fëdor Dostoevskij. Mettiamola così: il conte Lev è la fusione di tutti e tre i fratelli Karamazov, con l’aggiunta del pa­dre, di Smerdjakov, e mettiamoci pure lo Stavrogin dei Demoni e ­per sublime contrasto - il Principe Myskin, ovvero L’idiota . Non cre­do sia un caso che Tolstoj, negli ulti­mi giorni della sua esistenza terre­na, trovasse piacere nella lettura, sempre rimandata, dei Fratelli Ka­ramazov: è lo spartito della sua vi­ta. Poi, è chiaro, si difendeva: «Ho letto Dostoevskij e mi ha colpito la sua sciattezza, artificiosità, falsità». Incorreggibile manigoldo: Dostoe­vskij, pur con mille riserve morali, nel Diario di uno scrittore aveva scritto che nessun romanzo euro­peo poteva eguagliare la perfezio­ne di Anna Karenina . Dostoevskij è un uomo tutto d’un pezzo, eviden­te. Proprio in una lettera a Tolstoj così ce lo descrive Strachov: «Io non posso considerare Dostoe­vskij né buono né felice. Era catti­vo, invidioso, vizioso. Per tutta la vi­ta fu preda di passioni che lo avreb­bero reso ridicolo e spregevole, se non fosse stato nello stesso tempo così intelligente e così perfido». Ma Tolstoj chi è? Elogia la famiglia e ne diagnostica la fine, condanna gli in­fedeli e ha stuoli di figli bastardi, spende congrue cifre al gioco ma si converte in benefattore dell’umani­tà, non crede nella cultura ed edifi­ca cumuli di scuole per contadini (poi rivelatesi inutili), impugna l’epica idea della non violenza (poi amplificata col megafono e il vesti­to di lino dal tolstojano Gandhi) e nelle sue tenute si comporta come un tiranno, traduce i Vangeli (to­gliendo ciò che non gli piaceva, ad esempio i miracoli) ma viene sco­municato dalla Chiesa ortodossa (scomunica che è valida tutt’ora), scrive i romanzi più grandi di ogni tempo e li sconfessa, dice che non valgono nulla. Dostoevskij scrive romanzi per capire i demoni che logorano l’uo­mo, Tolstoj scrive per scoprire chi è, ed è molto più che uno, nessuno e centomila, esistono tanti Tolstoj quante sono le frasi che ha scritto, nel suo corpo hanno vissuto e dila­gato milioni di mondi e di galassie, tutte le tragedie di Shakespeare e tutti i tragici greci, tutta la letteratu­ra già scritta e quella da scrivere. Nei torbidi racconti sepolti nel cas­setto, pubblicati postumi, ad esem­pio Le memorie di un pazzo e Dopo un ballo (quelli in cui, a sentire Lev Sestov, il più grande esegeta di Do­stoevskij e Tolstoj, è svelato il cuore nero e vero del conte Lev), è antici­pato Kafka, Beckett, la letteratura che bordeggia il nulla, il sedimenta­to dolore, il silenzio. «Tolstoj non ha rivali, nemmeno in Stendhal, Proust o Joyce, nell’egotismo arti­stico », scrive Lubomir Radoyce nel­la magnifica Nota su Lev Tolstoj che chiude l’edizione Longanesi delle Lettere , ma che purtroppo non troverete in giro, dacché è fuo­ri dal giro dal 1978, forse per festeg­giare i cento anni dalla morte dello Zar del Romanzo sarebbe buono e giusto rimetterla in circolo. Invece, un applauso va a Rizzoli, che nel pri­mo volume dei Romanzi fa cozzare l’aulico con il virile, cioè mette in­sieme l’ultimo romanzo di Tolstoj, Resurrezione , con i primi tre, Infan­zia , Giovinezza e Adolescenza (pp. XXII+810, euro 14). Su Resurrezione , troppo celebre perché vi aggioghi fumose parole, faccio parlare, tacitando Adriano Sofri (autore di una Prefazione pie­na di fuorviante senso civile - ma perché gli editori sentono il dovere di «marchiare» il classico che parla da sé con le parole che non dicono nulla del «solito noto»?), Igor Sibal­di (che ha compilato il necessario Album Tolstoj per i Meridiani Mon­dadori): «una Divina commedia russa - con le gerarchie dell’ammi­nistrazione giudiziaria a far le veci dei gironi danteschi. È un’opera fe­roce, non risparmia nessuno, dai giudici e generali e ministri fino ai più umili ingranaggi dello Stato: tut­ti sono complici di un inutile, rab­bioso inferno sconfinato che non ha consolazione né soluzione». Edi­torialmente rilevante, invece, la tra­duzione dei romanzi giovanili ( fuo­ri catalogo da un po’), in cui Tolstoj comincia la catabasi nella sua scon­finata anima achea ( su di essi, criti­camente, vale quanto scrive Dosto­evskij, che parlando di Anna Kare­nina sottolinea, senza malizia, «mi sembrava sempre come se lo aves­si già letto in qualche posto, e preci­samente in Infanzia e Adolescen­za »). Sono gli anni tra il 1852 e il 1857, quelli dell’«ardore selvag­gio » e della «testardaggine da bufa­lo » (così Ivan Turgenev descriven­do Tolstoj a un amico), dell’«auten­tica, giovane e potente natura rus­sa, luminosa, attraente» (così il cri­tico Druzinin recensendo i primi volumi di Lev). Anni febbrili, passa­ti in divisa sul fronte del Caucaso, che Tolstoj impiega, tra un colpo di sciabola e di moschetto, per diven­tare una star della letteratura ( lavo­rando, tra l’altro, violentemente, ai Racconti di Sebastopoli , che faran­no sussultare di sgomento lo Zar, e al selvaggio, bucolico I cosacchi ). Immediatamente, con Infanzia , il risultato è raggiunto. Il critico Cer­nysevskij scrive che «ciò che impor­ta a Tolstoj è il processo psichico di per sé, le sue forme, le sue leggi, la dialettica dell’anima». Per questo, Tolstoj è al di là di ogni giudizio, ogni cosa che scrive è grande, es­sendo un grande mentitore, anche la lista della spesa è un capolavoro. Ci convince, è persuasivo, vuole convertirci ben sapendo di indurci alla perversione, irretendo la no­stra anima da semplici diavoli. Do­stoevskij, scrivendo, mirava alle in­quietudini grandiose di San Paolo; Tolstoj scruta Omero, e ancor più indietro, a qualcosa di primigenio. Così, l’unico rivale sulla piazza ri­mane Dio: Tolstoj a un certo punto della sua vita finge di credere in Lui, ma sul letto di morte capisce di non averlo mai trovato (né, forse, di averlo mai voluto trovare: sem­mai avrà desiderato ucciderlo). Colpo di scena puramente dostoe­vskijano.