Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2010  dicembre 19 Domenica calendario

La mia notte in autostrada ostaggio del gelo - Il navigatore, influenzato da qualche spirito buono, aveva provato ad avvertirmi

La mia notte in autostrada ostaggio del gelo - Il navigatore, influenzato da qualche spirito buono, aveva provato ad avvertirmi. Era programmato per portar­mi in Alta Badia nelle Dolomi­ti, ma in mezzo al viaggio ha cambiato idea e voleva fare uscire ad Arezzo. Se avessi ob­bedito mi sarei risparmiato un inferno autostradale che è ben riassunto dai tempi: ven­ti ore per andare da Roma a Incisa Valdarno; sedici ore per percorrere gli ultimi tre chilometri. Un viaggio inizia­to sotto i migliori auspici e nel rispetto delle regole. Ser­vono le catene a bordo o gli pneumatici anti-neve? Io mi presento al casello di Roma con trazione integrale, gom­me termiche nuove e anche le catene. Tutto va liscio e mi convin­co che anche Autostrade stia facendo la sua parte quando vedo gli spargisale in azione, nel tratto umbro dell’A1. La prima neve vera arriva all’al­tezza di Valdichiana, ad Arez­zo la precipitazione si fa se­ria, ma il traffico scorre e le macchine non sono tante. Mancano solo gli spargisale. O almeno io non le vedo né vedo sale sulla strada. Mi pre­occupo e decido: uscirò al ca­sello Valdarno. Le auto inizia­no a rallentare. Slittano, alcu­ni non hanno le catene. Gli autisti dei tir azzardano sor­passi da destra, i bestioni da 10-12 ruote iniziano a scivola­re e quando si fermano, non riescono più a ripartire. Mi convinco ancora di più ad uscire, ma qualcuno decide di chiudere Valdarno ai veico­li che sono sull’A1. Non rima­ne che andare avanti fino al casello successivo, Incisa, ma a 3.100 metri prima dello svincolo inizia il blocco. So­no ancora le 16,30. L’atmosfera, tra i forzati del blocco, cambia velocemen­te. Motori accesi e musica da­gli abitacoli chiusi nella pri­ma mezz’ora, auto silenziose telefonini che trillano nelle successive due. Alle sette di sera scatta la solidarietà: tutti iniziano a uscire per chiede­re gli altri sventurati se sanno qualcosa, anche perché non si prende il segnale di Isora­dio. Per vie traverse arriva la spiegazione al nostro stop: ci sono dei camion che hanno fatto testacoda. Noi, ci rassi­curiamo: «A spostare un ca­mion ci vorranno due ore. Poi siamo nell’efficientissi­ma Toscana. O no?». Intanto la neve si ferma intorno ai 15 centimetri. Robetta, penso. Poi però piove acqua gelida e poi nevica di nuovo. L’auto­strada diventa una per fetta pista da fondo. Ai telefoni del­la polizia stradale le risposte sono standard: «Si è messo di traverso un tir». E quanto ci vuole? «Non possiamo fare previsioni». Il tono delle chia­mate non cambierà fino alle 8 della mattina successiva. Per fortuna le famiglie con bambini sono poche, gli ac­campati, almeno quelli del Valdarno, sembrano per la gran parte lavoratori. Rappre­sentanti, tecnici, trasportato­ri. Spuntano i computer por­tatili. Cosa dicono i siti? «Che la protezione civile ci sta por­tando coperte e bevande cal­de ». Mai viste. «Scrivono che qui c’è solo un rallentamen­to ». Sollevazione dei prigio­neri dell’Autosole. Inizia il fai da te. Si organizza lo scasso, con il permesso del padrone, di un auto che si è chiusa con la chiave dentro. Un elettrici­sta africano che lavora a Mo­dena tira fuori il vino e diven­ta subito molto popolare. Una signora napoletana rim­provera i primi automobilisti che invadono la corsia di emergenza. «E se a qualcuno viene un infarto? Dove passa l’ambulanza?». Giusto, dico io. Chiamiamo il 112 e il 113? Inutile, mi spiega. Non ri­spondono. La corsia d’emer­genza diventa ufficialmente una terza corsia. Un ragazzo, con due buste legate ai piedi mi chiede: quanto ci vuole per il primo Autogrill verso sud? «Più di cinque», dico io. «Venti», mi corregge un tra­sportatore. Lui non risponde e si avvia comunque. Altri ab­bandonano l’auto e vanno a caccia di un bar, ma verso nord. Tornano con delle bu­ste. Ma quanto ci vuole per ar­rivare alla stazione di servi­zio? «Una ventina di minuti». Rinuncio. Tanto, mi dico, non ci terranno fermi tutta la notte. Speranze da pivello dell’autostrada. I camionisti, che notoriamente la sanno lunga, poco dopo sembrano rispondere a un unico co­mando e spengono motori e luci. Dormono. Molti auto­mobilisti li imitano. L’Autoso­le si trasforma in un dormito­rio. Chi, come me, non ci rie­sce, inizia una gimcana tra i tir e le auto in uno spazio che ormai non assomiglia nem­meno a un’autostrada. Tra stop and go, percorrerò circa 170 metri all’ora fino al tra­guardo. Ad altri è andata an­che peggio. E dire che sareb­be bastato un po’ di sale nella zucca degli automobilisti po­co previdenti e, soprattutto, un po’ di sale sull’asfalto.