Cristiano Gatti , il Giornale 19/12/2010, pagina 1, 19 dicembre 2010
Ma morire di freddo per i clochard è libertà - Come tutte le calamità naturali, anche il grande freddo falcia le sue vittime
Ma morire di freddo per i clochard è libertà - Come tutte le calamità naturali, anche il grande freddo falcia le sue vittime. Però dobbiamo riconoscerlo: che a falciare sia un’alluvione o un terremoto, è in qualche modo comprensibile. Molto meno comprensibile e accettabile che nel 2010 ci siano esseri umani morti di freddo. E neppure nel mezzo della steppa siberiana: no, nel pieno centro delle nostre opulente città, inghirlandate a festa per il nostro grosso grasso Natale occidentale. L’altra notte,un’altra vittima a Milano. Un immigrato di 47 anni trovato stecchito nel parcheggio di un supermercato. È solo l’ultimo della lista: nei giorni scorsi, un caso analogo sempre a Milano, uno a Viterbo, due a Roma. Il gelo non è una guerra, ma in proporzione fa più danni. Tutti ci si guarda in faccia e ci si chiede: ma com’è possibile che persone adulte si addormentino a meno cinque o meno otto e crepino assiderate? Poi l’immancabile spiegazione: era un barbone. Cosa vuoi mai, era un barbone. Eppure, in un rigurgito di compassione, qualche senso di colpa ce lo concediamo ancora: sarà pure un barbone, ma perché lasciarlo morire di freddo nel parcheggio di un supermercato, o sotto i portici del centro, o sui vagoni abbandonati delle stazioni? Il caso di Milano sembra il più eclatante: la Milano generosa e operosa, la Milano ricca e lussuosa, questa Milano lascia morire di freddo gli esseri umani. Ha ancora il cuore in mano, questa Milano? Sembra incredibile, ma l’insensibilità e il cinismo vengono scomodati solo per abitudine. Per strumentalizzazione politica. Per fare bella figura in salotto. La verità vera è che nelle nostre città, in quasi tutte le nostre città, morire di freddo è francamente molto difficile. Milano sa che cos’è l’inverno. Senza aprire suite negli alberghi a cinque stelle, senza esagerare nella generosità, comunque si prepara. Qualcosa s’inventa. Faremmo un enorme torto al volontariato, se davvero pensassimo che Milano lasci morire di freddo gli esseri umani, nel cuore dell’evoluta civiltà moderna. Può piacere a qualcuno dire così, ma non funziona così. Anche il più disperato degli ultimi sa che un posto e un pasto caldi comunque ci sono. Il problema è che il barbone troppe volte non vuole. Per tanti motivi. C’è chi è clandestino e teme d’essere espulso (non è così),c’è chi si addormenta talmente ubriaco da non rendersi neppure conto se sia l’inverno padano o l’estate africana, e poi c’è chi non rinuncerebbe per nessun motivo alla sua scelta radicale di libertà. Un cartone, una coperta, un cielo di stelle: non serve altro, e buonanotte a tutti quanti. Certo per il clandestino che teme la denuncia e per l’ubriaco incapace d’intendere e volere si può fare molto. Il fondatore dei City Angels milanesi, Mario Furlan, propone per queste categorie il “ricovero coatto”, a fin di bene. Poi però aggiunge: «Se qualcuno esprime chiaramente la volontà di restare al freddo, dev’essere libero di farlo ». E siamo nel campo più imperscrutabile, per molti versi più romantico, della faccenda. Ci siamo scippati anche un sostantivo francese, per dare ancora più poesia a queste storie di vita: clochard. Quello che per tutti era un barbone, cioè un mezzo rifiuto umano, con questa ritinteggiata franco- bohemienne diventa un personaggio pieno di fascino e di mistero. Quasi invidiato. Lui sì che è davvero libero. Lui sì che davvero ha trovato il coraggio di fuggire da tutto, per vivere di niente. Quest’uomo particolare, un po’ naufrago di chissà quali naufragi, un po’ reduce di chissà quali guerre, sceglie di stare ai margini, fuori, lontano, e non c’è verso di farlo rientrare nei ranghi, neppure part-time, neppure in certe condizioni climatiche, sopra i 35 e sotto gli 0 gradi, come a noi sembrerebbe logico e opportuno. La scelta è totale, assoluta, definitiva. Abbandonare il cartone sotto i portici di Piazza Affari, per passare qualche notte dentro uno stanzone della Protezione civile o dentro il ricovero di un prete generoso è qualcosa che suona malissimo. Sa di opzione ipocrita, di cedimento esistenziale, di libertà dimezzata. Forse, ha persino il sapore amaro di una sconfitta. Qualcuno, allora, non si pone neppure il problema. La sua casa, il suo mondo, è quella casa senza muri e senza limiti che lascia passare qualche spiffero. Certe notti, pure troppi. Il grande freddo esagera e si porta via tutto. La cronaca registra, la società s’interroga. Il barbone chiude gli occhi e si perde nel sonno, vagando in quel cielo di stelle sognato da sempre, nella sua strana vita senza soffitto.