VINCENZO NIGRO, la Repubblica 21/12/2010, 21 dicembre 2010
IN CARCERE IL REGISTA PANAHI E NIENTE PIÙ FILM PER 20 ANNI
«Sono vittima di un´ingiustizia, ma continuo ad amare il mio Paese: volete condannarmi per un film che non avete visto…». Quando in novembre Jafar Panahi ha pronunciato queste parole sapeva bene che sarebbe finita come è stato deciso ieri: il regista, uno dei simboli del nuovo cinema iraniano nel mondo, è stato condannato. Ma la condanna è qualcosa a cui credere è difficile: non soltanto 6 anni di carcere «per la partecipazione a raduni e propaganda contro il governo», ma per 20 anni gli è stato proibito di realizzare film, scrivere sceneggiature, viaggiare all´estero, rilasciare interviste a giornali locali o stranieri. Vent´anni di morte civile e professionale per un regista che oggi ha 50 anni.
Nella campagna elettorale del 2009, Panahi aveva sostenuto apertamente il candidato dell´opposizione Mir Hossein Moussavi; il regime lo aveva fermato una prima volta in luglio, al cimitero di Teheran, dove era accorso assieme a decine di iraniani per commemorare Neda Agha Soltan, la ragazza uccisa durante gli scontri e la cui storia ha percorso Internet e il mondo intero con le immagini registrate da un telefonino. Dopo un´escalation della magistratura nei suoi confronti, il 3 marzo scorso un gruppo di agenti della polizia politica iraniana fece irruzione in casa del regista mentre lavorava con Mohammad Rasoulof, anche lui condannato nello stesso processo.
Nel 2000, al festival di Venezia, Panahi ha vinto il Leone d´oro con Il cerchio; a Berlino nel 2006 ha vinto l´Orso d´argento con Offside, una storia dedicata alle donne iraniane, protagoniste un gruppo di ragazze che sfida il regime degli ayatollah indossando abiti maschili per andare allo stadio a seguire una partita di calcio. Entrato nel cinema come sceneggiatore di Kiarostami, Panahi apparentemente è stato sempre lontano dalla politica, immerso fino in fondo nel suo cinema, «ma in Iran c´è un prezzo da pagare per poter lavorare in modo indipendente». Panahi non ha mai rivendicato un´opposizione aperta, politica, al sistema iraniano: «Mi accusate di voler incoraggiare manifestazioni contro il regime, ma durante la mia carriera ho ripetuto più volte che sono un cineasta impegnato socialmente, non politicamente. I miei film sono drammi sociali, non dichiarazioni politiche». E invece i film di Panahi come quelli degli altri registi banditi a Teheran sono politica: se fosse stato in libertà, oggi Panahi si sarebbe preparato a filmare i cittadini di Teheran che da ieri si trovano a combattere con l´abolizione dei sussidi governativi. Il costo della benzina è quadruplicato, il pane è raddoppiato, e i registi vengono condannati.