Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2010  dicembre 20 Lunedì calendario

IL MITO DEL VOTO DAL BASSO DA ANCORA DI SALVEZZA A PSICODRAMMA POLITICO

Primarie: chi le vuole crude, chi le vuole cotte, chi non le ha mai volute, chi non le vuole più, ma potrebbe rivolerle, però cotte, oppure crude, e il giro ricomincia per la delizia degli iscritti e degli elettori del centrosinistra senza troppo distinguere, come invece avviene su questo impervio terreno, tra Pd e coalizione.
Sono ormai cinque anni, e a ripensarli in termini di primarie - pretese, negate, ritardate, digerite, svuotate, eccetera – si è colti da un senso di sfinitezza che rimbalzando in principio da Prodi a Veltroni per poi irradiarsi da Bersani a Vendola fino alle innumerevoli competizioni intestine a livello locale, ecco, questa esausta percezione prende la via di un solenne mal di capo. Al solo sentire la parola primarie: che pure, o forse proprio per questo furono vissute la prima volta come l´ultima grande speranza. Adesso invece non sono neanche più loro il problema. Trascolorano i ricordi lasciando alimentare nell´immaginario brandelli stranianti, pagliacceschi: la ragazza con il passamontagna del comandante Marcos, i seguaci e intrusi di Mastella ai seggi, il tesoretto che non s´è mai capito che fine ha fatto (come del resto gli indirizzi dei votanti del 2005), il regolamento pazzesco che ricordava "la patente a punti", come disse Ascanio Celestini. Troppo facile la chiave narrativa secondo cui da strumento di salvezza, le primarie si sono trasformate in un ordigno di distruzione.
Troppo comodo pensare che erano un modo per eleggere leader già decisi nelle segrete stanze. Troppo indulgente lo schema che le vorrebbe causa principale e dilaniante in periferia (Puglia, Campania, Calabria, Umbria, Roma, Firenze, Milano) e ora cataclisma terminale nel cuore del Pd. No: se proprio ci si deve abbandonare – e non è detto - a un´immagine alata, o demoniaca, il dispositivo che senza scampo le primarie hanno il potere di scatenare su un organismo complesso è più intimo e sottile: nec tecum, nec sine te vivere possum.
Come dire un´incertezza a tal punto crudele da rasentare la più dolorosa schizofrenia. Per cui, senza andare troppo indietro nel tempo, accade che a metà ottobre, mica due anni fa, Bersani e Vendola quatti quatti se ne vanno a mangiare i carciofi in un ristorantino sotto il Campidoglio; e poi, "scoperti" dai giornalisti, dicono: ecco, è fatta, siamo d´accordo, si faranno le primarie, evviva. Bene, passano appena due mesi e il patto dei carciofi va a farsi a benedire. Definitivamente, perché nel frattempo Bersani ha già cominciato a limitarne gli effetti, a ridimensionarne gli orizzonti, le primarie necessitano semmai di un´"aggiustata", sono un´opportunità teorica, non un obbligo pratico e così via, fino al sacrificio invocato l´altro giorno. Mentre Vendola è già partito sparato, non c´è luogo d´Italia che non lo veda reclamare le primarie come l´unica opzione possibile, un traguardo salvifico, una specie di palingenesi.
E il dramma è che hanno ragione tutti e due ed entrambi hanno torto. Nessuno infatti ha mai capito a che servono le primarie, e ancora di più quale sistema di regole debba disciplinarne lo svolgimento. Questo fa sì che esse non solo vivano di vita propria e immaginaria, ma che ad esse si affianchino altre forme d´integrazione o sostitutive, dalle "mezze primarie", che un po´ ricordano le mezze porzioni in trattoria, alle "doparie", che al contrario sarebbero un sistema di sapienziale buonsenso democratico elaborato da un volonteroso scienziato di nome Raffaele Calabretta.
E tuttavia, in mancanza di alternative, il modello ha finito per tracimare nella fantasia connotandosi a vuoto e alla rinfusa, ma pervicacemente, come psicodramma, dogma, accanimento, buco nero, totem, inganno, aria fresca, ricatto, tradimento, papocchio; adesso arriva De Magistris, no è Di Pietro, e allora Chiamparino, e Renzi, e Veltroni, e lo stesso Bersani, e magari Beppe Grillo, i nomi vanno, i soggetti si ritirano, a un certo punto viene addirittura fuori, per la penna di Peppino Caldarola, che le primarie "portano jella".
Si salvano nella memoria le esperienze ormai lontane e rarefatte di Prodi, di Veltroni e di Bersani. Ma a rileggere le cronache e i commenti di quest´ultimo anno viene il dubbio che si stia parlando di qualcos´altro, un pretesto che nasconde una realtà inconfessabile, un arcano della post-politica che trascende le singole volontà e forse anche le responsabilità di un gruppo dirigente o se se vuole di un´oligarchia. Il sospetto è che per come si sono messe le cose queste benedette primarie, prima che un marchingegno per farsi male, siano lo specchio incantato di un fallimento, il rilevatore fantastico di una crisi di legittimità, la prova provata che la democrazia è triste e stanca, irriconoscibile, e che per ricrearla, o riconoscerla, serve qualcosa che verrà.