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 2010  dicembre 19 Domenica calendario

LA CHIESA NON FA POLITICA MA SUI VALORI DEI CATTOLICI OGNI NEGOZIATO È IMPOSSIBILE" - CITTÀ DEL VATICANO

Eminenza, con la reazione fredda del quotidiano della Conferenza episcopale Avvenire alla nascita del Terzo polo non c´è il rischio di uno spostamento a destra dei vescovi italiani?
«Non c´è alcuno spostamento, perché la Chiesa non è un´agenzia politica chiamata a prendere parte alla battaglia dei partiti. Il suo compito è quello di annunciare la salvezza di Cristo e quindi di elevare la coscienza morale e spirituale della società, rendendo Dio presente nello spazio pubblico. Solo da coscienze maggiormente avvertite della nobiltà e della gratuità che esige l´arte della politica, sarà possibile sperare trasformazioni profonde e non semplici cambiamenti».
Il cardinale Angelo Bagnasco, 67 anni, capo dei vescovi italiani, è come sempre in viaggio fra Roma, dove presiede la Conferenza episcopale italiana, e Genova, sua arcidiocesi, città in cui ha lavorato fin dai primi Anni sessanta e che segue con particolare attenzione.
La stessa attenzione che Bagnasco riserva alle vicende che competono non solo al suo ufficio religioso, ma anche al rapporto fra i vescovi e il mondo della politica. Nessuno degli eventi chiave della settimana è sfuggito al suo occhio attento di pastore d´anime (molti a Genova ricordano ancora gli anni in cui "don Angelo" guidava i giovani scout), e di uomo al vertice del potere ecclesiastico. Lo si capisce dalla completezza con cui risponde, nell´intervista concessa a Repubblica, a tutte le domande. Senza sottrarsi a quelle più scomode.
Lei ha detto, dopo il voto sulla mozione di sfiducia, che è importante garantire la governabilità. Ma la Chiesa italiana si sente obbligata a difendere Berlusconi?
«La governabilità è quello che tutti chiedono per affrontare i nodi irrisolti. La mia preoccupazione e quella dei vescovi è che il nostro Paese da troppo tempo è inceppato nei suoi meccanismi decisionali. A noi certo non competono suggerimenti tecnico-politici, ma un invito pressante a cambiare registro, a fare tutti un passo in avanti verso soluzioni utili e il più possibile condivise. Il rischio è che, diversamente, il Paese inceppato finisca per disarticolarsi con una parte che resta agganciata all´Europa e l´altra che se ne distacca definitivamente. Non può lasciarci indifferente questo epilogo: significherebbe spaccare l´Italia».
C´è però anche chi, nella base cattolica, tra i fedeli, manifesta dubbi, e accusa la Chiesa di essere schiacciata sul governo…
«La Chiesa è ben cosciente che i cattolici sono presenti in tutti gli schieramenti politici, dunque nella maggioranza e nell´opposizione. A tutti indistintamente fa presente una serie di valori non divisivi, ma unitivi perché costituiscono - al di là delle legittime differenze - il terreno dell´unità politica dei cattolici. Su molte cose in politica ci sono buoni compromessi, ma ci sono valori che non sono soggetti a mediazioni perché non sono parcellizzabili. L´elenco è noto e cioè la vita, la famiglia, la libertà di educazione e ancor prima quella religiosa. La Chiesa non cerca l´interesse di una parte della società ma è attenta al bene comune. Il suo sguardo, me lo lasci dire, va ben oltre le contingenze di un momento».
Ma lei non ha l´impressione che oggi per lo Stato ci sia il rischio di rinchiudersi nel Palazzo, finendo per estraniarsi dalle esigenze dei cittadini?
«Questa crisi non è semplicemente politica, ma culturale, anzi spirituale. Occorre ricostruire l´ethos profondo del popolo che è la "spina dorsale" senza la quale lo Stato non sta in piedi. L´anima della nostra gente, che nasce dal Vangelo, è stata "terremotata" dal relativismo e dal consumismo».
Eminenza, il Natale si avvicina mentre l´Italia affronta un difficile momento anche economico e sociale. Che cosa ha da dire la Chiesa?
«Già da qualche anno, prima che scoppiasse la crisi economica, l´aumento della distribuzione dei pacchi-viveri nelle parrocchie mi aveva impressionato. La situazione da allora non è migliorata».
Di "cultura del dono" parla espressamente l´enciclica "Caritas in veritate". A Natale si fanno bellissimi regali impacchettati, ma il dono non ha forse anche un altro tipo di significato?
«Dimenticare che la gratuità, e dunque la fiducia reciproca e la collaborazione senza interessi personali, sono coefficienti decisivi del buon andamento economico, è stato purtroppo una sventura, pagata come sempre dai più deboli. Il dono è un mettersi in gioco che caratterizza tutti: dall´imprenditore all´operaio perché sempre di più, ad esempio, il lavoro sia un´impresa sociale».
Siamo anche alla fine dell´anno, e il 2010 non è stato facile per la Chiesa, soprattutto per le accuse sullo scandalo della pedofilia. Il Papa ha usato spesso parole molto chiare e dure. Ma come uscire definitivamente da questo caso?
«La strada è tracciata ed è quella della riforma. Non la riforma delle strutture, ma delle persone, cioè dei cuori. La Chiesa è chiamata anzitutto ad avvicinarsi alle ferite psicologiche, morali e spirituali delle vittime coinvolte. Non sarà mai abbastanza per chi ha sofferto così nel profondo. I preti che si sono macchiati di questo peccato che è pure un reato, oltre a rendere conto del proprio comportamento nei riguardi della giustizia umana e di quella ecclesiastica, vanno anche aiutati a ritrovare l´equilibrio di sé stessi. E´ stato obiettivamente uno scandalo fino a qualche mese fa non immaginabile, ma è possibile uscirne».
Un bilancio dell´anno per la Chiesa?
«E´ difficile tracciarlo. Ciò che muove la Chiesa è annunciare il Vangelo e testimoniarlo con la vita. Nonostante polemiche ricorrenti, non cerca posizioni di rendita o privilegi di sorta. Il fatto che ogni anno domandi a tutti, credenti e non credenti, di destinare l´8 per mille delle tasse per le sue necessità, attesta che non ha alcuna garanzia. D´altra parte, il servizio delle parrocchie, la passione educativa di tanti religiosi nelle scuole, la cura dentro centri sanitari, la presenza in situazioni a rischio (droga, alcool, gioco d´azzardo, usura…) dice che la Chiesa riceve, ma offre ancor di più agli italiani. Mi accorgo, quando si trasferisce un parroco o si accorpa una parrocchia, che a mobilitarsi spesso non sono solo i praticanti, ma anche quelli che stanno a distanza. Segno che la presenza della Chiesa sul territorio è apprezzata, attesa, difesa».