Libero 19/12/2010, 19 dicembre 2010
DOSSIER BELPIETRO E FELTRI COMPROPRIETARI DI LIBERO
AMICIZIA, SCOOP E PROVOCAZIONI I TRENT’ANNI DELLA COPPIA D’ORO
Trent’anni fa, più o meno.
Maurizio Belpietro e Vittorio Feltri s’incontrano nella redazione di Bergamo Oggi. Del resto era impossibile passare fra le scrivanie senza vedersi: in quel quotidiano di provincia erano rimasti in due gatti, tutti i cronisti se n’erano andati a lavorare per una testata concorrente, Il Giornale di Bergamo. Feltri veniva dal Corriere della Sera, era già una grande firma. Belpietro era ancora praticante ma faceva lo stesso il capo delle pagine di economia.
Nel libro scritto con Stefano Lorenzetto (Il Vittorioso, Marsilio editore), Feltri racconta che Belpietro arrivava al giornale con una Fiat 126. «Una scatolina. Era tutto precisino, indossava i pulloverini con i colorini, quasi sempre grigio orfanotrofio. Ma era intelligente. E un po’ sospettoso. Mi guardava con un sogghigno. Pensai: ’sto qua mi sarà pure un po’ antipatico, però ci sa fare. Allora cominciai a fraternizzare e gli delegai la guida del giornale in mia assenza. Aveva 25 anni, un ragazzino. E così in estate riuscimmo a far fallire Il Giornale di Bergamo, gli tagliammo l’erba sotto i piedi». Il sodalizio inizia così, con un sicuro fallimento ribaltato in successo.
Bergamasco Feltri, bresciano Belpietro, trent’anni dopo sono entrambi nel Meridiano del giornalismo italiano pubblicato lo scorso anno da Mondadori. In pratica, nella Bibbia dei cronisti, sono gli unici due “non di sinistra”. Tra la provincia e la celebrazione di Segrate, tra Bergamo Oggi e il ritorno a Libero c’ è solo l’imbarazzo della scelta sugli aneddoti da raccontare.
Rieccoci agli anni Ottanta. Dopo il calcio nel deretano al Giornale di Bergamo, Feltri se ne riparte per il Corriere, direttore Piero Ostellino. Anche Belpietro approdainRcs,aGenteMoneyepoia
Capital. Un bel giorno a Vittorio chiedono di assumere la responsabilità dell’Europeo, ennesima gatta da pelare, altra redazione vuota: i giornalisti non vogliono l’Orobico, si mettono in sciopero, nemmeno lo fanno entrare in ufficio. E Feltri pensa di spartirsi la patata rovente con Belpietro, vicecaporedattore, poi caporedattore centrale.
Andò a finire come qualche anno prima: copie in vertiginoso aumento. Segue altra migrazione della coppia, definitivamente saldata. Stavolta ai due rifilano un bel rottame: L’Indipendente di Levi, tanto azzimato e pulitino da essere ridotto alla canna del gas. Fare l’impresa e ributtargli ossigeno nei polmoni sembra infattibile, un compito che solo un mentecatto si assumerebbe. Feltri se ne frega, ma si fa qualche scrupolo a coinvolgere Maurizio. Lasciare un posto prestigioso e sicuro per montare su una bagnarola non è consi-
gliabile. «Però Belpietro», racconta ancora il Vittorioso, «buttò il cuore oltre l’ostacolo: “Sono pronto a seguirti”. Gli feci presente tutti i rischi, com’era mio dovere. Fu molto deciso. E così c’imbarcammo nella folle avventura».
Beh, dai, cos’è successo mica c’è bisogno di riassumerlo. Fuori infuria Tangentopoli, dentro L’Indipendente si macinano titoli da antologia: «Sgominata un’altra giunta»; «De Mita perde la bicamerale ma gli rimane l’attico»; «Primo Greganti, secondo Occhetto». Alè. Il quotidiano decolla, mette in difficoltà persino quel mostro sacro del Giornale di Indro Montanelli.
Infine, succede quel che doveva succedere. Montanelli se ne va da Via Negri per fondare La Voce. Bisogna trovarne il successore, altra incudine pesantuccia da sbattere in testa a qualcuno che sia abbastanza duro di zucca da scornarcisi. Ecchicchiamerai? Vittorio Feltri e Maurizio Belpietro. Ci pensano
un po’ su, i lumbard. Non sono mica sicuri. Aneddoto di Belpietro: «Eravamo incerti. Decidemmo di estrarre a sorte. Abbiamo messo dei bigliettini in un barattolino dei trattro-pen che avevo sulla scrivania, abbiamo chiamato un redattore che passava di lì e gli abbiamo detto: “Pescane uno”. E così siamo andati». È l’inizio del ’94, il quotidiano di via Negri raddoppia le copie; La Voce di Montanelli, con i suoi Marco Travaglio al seguito, chiude.
In seguito, non son tutte rose e fiori. Ci sta che il bresciano e il bergamasco si frantumino un po’ le balle l’uno dell’altro. Le mogli, del resto, sono come il pesce: dopo tre giorni impestano il frigorifero. Figuriamoci poi se la moglie è un maschio e sono passati dieci anni. Belpietro se ne va al Tempo di Roma. E ci resta il tempo necessario a inimicarsi Scalfaro, che brigherà per farlo cacciare. Feltri resta al Giornale, per andarsene dopo un fugace rendez-vous con Belpietro -
non senza polemiche. Il bergamasco dirige Il Borghese, il bresciano assume la direzione del Giornale. La coppia si sfalda del tutto e dal 2000, con la nascita di Libero, entra in rognosa competizione. Due quotidiani di centrodestra, un testa a testa che voi lettori conoscete bene. Seguono battaglie appassionate, e pure frizioni e qualche scazzo di cui tacciamo perché teniamo al posto di lavoro (tanto li trovate sul web e nel libro di Feltri, quindi inutile ripetere). L’estate scorsa, il giro di giostra. Feltri torna al Giornale, Belpietro da Panorama entra in viale Majno. La sfida continua, s’incallisce.
Ma c’è il gran finale. Come nelle migliori telenovele, la coppia si rinsalda, l’amore vince sull’invidia e sull’odio. Ed eccoli qua, trent’anni e varie testate (in tutti i sensi) dopo di nuovo insieme, dove meno ce li si aspettava, a Libero. Insomma, presto su queste pagine. Ossignùr.
Francesco Borgonovo, Libero 19/12/2010
Due o tre cose che dovete sapere su di noi
In vista del ritorno di Vittorio Feltri pubblichiamo il primo editoriale scritto dal direttore su Libero del 18 luglio del 2000
Un miracolo si è già compiuto: Libero ha visto la luce dopo una gestazione sofferta, come quasi tutte le gestazioni. Adesso c’è bisogno di un secondo (decisivo) miracolo, e questo si può realizzare solo se voi, cari lettori, lo volete: il neonato quotidiano per crescere sano e vivere a lungo deve essere acquistato in un numero sufficiente di copie, diciamo 45-50 mila. Non sono un’esagerazione, ma neppure poche.
Di norma il pudore impedisce al direttore di parlare di queste cose concrete, volgari. Scusate se non mi adeguo al costume, ma preferisco sacrificare lo stile alla trasparenza e tenervi al corrente anche sulle vicende di casa nostra oltre che sui casi degli altri. Anzi, annuncio che periodicamente vi aggiornerò sullo stato di salute dell’impresa qualcuno si domanderà perché un nuovo giornale in tempi in cui si assiste alla moria di vecchie e recenti testate, e la crisi della stampa si evidenzia nel calo complessivo delle copie vendute.
Rispondo. Intanto è stimolante sfidare una divinità come il mercato, mai adorato tanto quanto ora e adorato con maggior trasporto proprio da coloro che lo combatterono per anni. Nonostante tutto, poi, siamo convinti che nel panorama ricco e variegato della carta scritta mancasse un organo nazionale sganciato dai cosiddetti poteri forti e anche da quelli deboli, sganciato dalle banche, dai gruppi finanziari e industriali e dagli apparati politici, cioè non influenzato da aziende e uomini che usano o potrebbero usare il giornale per scopi diversi da quello normale: rendere e ottenere favori onde concludere affari di varia natura anziché fornire notizie, servizi giornalistici, opinioni, inchieste e reportage in cambio esclusivamente di 1500 lirette.
Il nostro Libero non ha padroni (né padrini) se non noi stessi, artigiani dell’informazione, cani sciolti e senza collare, e alcuni amici che con noi condividono l’avventura nella speranza di non rimetterci troppo.
Di qui il nome Libero, un nome che esprime un dato di fatto. Intendiamoci, non abbiamo il monopolio della libertà, un bene per fortuna molto diffuso perfino tra i giornalisti, ma teniamo a sottolineare che ce ne siamo presi una bella fetta per svolgere meglio e più serenamente il nostro lavoro. Poiché la politica è afflitta, oggi come ieri, da un conformismo asfissiante e deprimente, desideriamo contribuire insieme con voi a svegliarla un po’. Volevo dire mutarla, ma mi sono trattenuto perché quando è cambiata è cambiata in peggio: ci accontenteremo di discuterla e criticarla, consapevoli di compilare un quotidiano e non il Vangelo. Commetteremo degli errori, come ne abbiamo commessi in passato. Stavolta tuttavia nessuno ci potrà accusare di aver sbagliato su commissione dell’editore giacché l’editore c’est moi. Libero è un quotidiano d’opinione, quindi deve averne almeno una e non ve la nascondiamo: il Polo non ci è mai andato a sangue, ma la sinistra ancor meno e quando si è trattato di votare, abbiamo scelto il primo turandoci il naso e non solo quello. E presumo continueremo a sceglierlo. Probabilmente cammineremo spesso nella stessa direzione del centrodestra, però non saremo compagni di viaggio comodi e non ci faremo condurre al guinzaglio da nessuno: chi è indipendente, lo è anche da Arcore.
Se capiterà di schierarci con Berlusconi, sarà una soddisfazione farlo senza riceverne lo stipendio.
BELPIETRO
Mesi fa avevo annunciato che entro l’anno ci sarebbero state delle novità per Libero. Qualche lettore immaginando che si trattasse dell’edizione del lunedì mi aveva chiesto conferma e io, non potendo rivelare cosa bollisse in pentola, avevo preso tempo. Ora posso svelare il segreto: no, la novità non è il settimo numero, ma il ritorno di Feltri, come l’Editore ha comunicato ieri. Vittorio se n’era andato nell’agosto dell’anno scorso per assumere la direzione de Il Giornale, con l’obiettivo di riportare in equilibrio i conti del quotidiano di via Negri. Una volta compiuta la missione, Feltri, un bergamasco che ama le sfide quasi quanto i gatti, aveva voglia di altro. E allora eccolo qui a far l’editore di Libero, insieme con me. Lui, appena gli sarà sciolto il bavaglio imposto dall’Ordine dei giornalisti, farà il direttore editoriale e, ovviamente, scriverà. Io continuerò a fare quel che faccio. Entrambi però saremo anche azionisti della nostra testata e, avendone ricevuto la gestione non solo giornalistica ma anche editoriale, saremo ancora più indipendenti. Insomma, dal 22 dicembre Libero sarà più forte. Alle sue firme Giampaolo Pansa, Mario Giordano, Filippo Facci, Giampiero Mughini, Antonio Socci e tante altre ancora si unirà quella straordinaria di Vittorio. Una formidabile squadra di penne anticonformiste, che non ha alcuna reverenza nei confronti della sinistra ma che non lesina critiche neppure nei confronti del centrodestra. Insieme penso riusciremo a fare di Libero un giornale più brillante ed efficace, sapendo di dover rispondere per le nostre scelte solo ed esclusivamente ai lettori.
In fondo, ogni giornalista in cuor suo prima o poi sogna di essere padrone di sé stesso, senza condizionamenti, neanche quelli deboli di editori che ti danno la più ampia autonomia. Ecco, noi a Libero stiamo per coronare quel sogno. Saremo padroni di noi stessi e se sbaglieremo lo faremo in proprio, senza bisogno che nessuno ci aiuti a farlo. E se qualcuno avrà da ridire a proposito dei nostri articoli, i
“mandanti” li dovrà cercare in redazione e non altrove. Così la finiranno di dire che siamo portavoce di qualcuno: la sola voce che portiamo è la nostra.
La notizia del ritorno di Feltri in veste di direttore editoriale ed editore ovviamente ha sorpreso tutti, ma superato lo stupore sono cominciati i dubbi. Chi comanderà tra Feltri e Belpietro? E soprattutto: quanto dureranno i due senza pestarsi i calli? Non so quanto interessino ai lettori i rapporti tra me e Vittorio, ma per fugare ogni ombra voglio raccontare alcune cose. Conosco Feltri più o meno da quanto conosco mia moglie, vale a dire quasi trent’anni. Lui era già caposervizio del Corriere della Sera, io praticante di un piccolo giornale di provincia. Il quotidiano si chiamava Bergamo Oggi e il suo direttore, per contrasti con l’editore, ebbe la brillante idea
di fondare un’altra testata, portandosi via tipografi e giornalisti. L’unico a non seguirlo fui io. In una redazione deserta rimasi ad aspettare per due giorni che l’editore si decidesse a nominare il nuovo direttore a alla fine arrivò Feltri. All’inizio credo di essergli stato cordialmente sulle balle, ma dopo un mese mi promosse suo vice, anche se in base al contratto non avrei potuto impartire ordini neppure all’usciere. Ma Vittorio è così, uno che salta le convenzioni e va al sodo. E la sostanza è che in quel piccolo giornale di provincia e con una redazione di ragazzi che prima d’allora non avevano mai fatto i cronisti ci divertimmo come matti.
Esperienza poi ripetuta in tante altre testate, dall’Europeo al Giornale. All’Indipendente, dove arrivammo un soffio prima che lo chiudessero, ci mettemmo a sfottere parlamentari e ministri della prima Repubblica. Convinti che ormai per il quotidiano di via Valcava non ci fosse più nulla da fare, alla sera ci chiudevamo nel mio ufficio sparando un titolo più irridente dell’altro, facendoci beffe di chiunque. Il giorno in cui Scalfaro venne nominato presidente della Repubblica, ricordo che pubblicammo in prima pagina il brano di un manuale di psicologia in cui il Campanaro era citato come un caso clinico, per i problemi di relazione con l’altro sesso. Ovviamente sotto il titolo: «Ecco chi è il nuovo capo dello Stato».
Poi, dopo un po’, ognuno di noi è andato per la propria strada. Io a dirigere il Tempo di Roma, Vittorio invece, lasciato il Giornale, a Libero. Non ci fu litigio, nessuna polemica: solo la voglia di fare altro. E ora, ora che sono passati un certo numero di anni, abbiamo voglia di ricominciare e di ritornare a divertirci. Non ci importa di chi sarà il numero uno o il numero due, ma solo di mettere insieme le forze. In fondo, a cantare fuori dal coro in questo Paese siamo pochi. Se uniamo la voce forse riusciremo a farci sentire di più e a sovrastare quella degli altri. In fondo, è quello che molti lettori di hanno chiesto e dunque, eccoli accontentati.
Maurizio Belpietro, Libero 19/12/2010