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 2010  dicembre 19 Domenica calendario

«CHIACCHIERE, CAFFÈ E RICANDIDATURE COSÌ PORTO NUOVI DEPUTATI AL CAV»

«CHIACCHIERE, CAFFÈ E RICANDIDATURE COSÌ PORTO NUOVI DEPUTATI AL CAV» È l’evangelista del Cav. Francesco Pionati da Avellino, classe 1958. L’acchiappapeones che Silvio Berlusconi ha sguinzagliato a rosicchiare i partiti avversari in vista del voto di fiducia del 14 dicembre, in quello stesso Transatlantico dove da giornalista ha cucinato pastoni per anni come inviato del Tg1 prima di scendere in campo con Pier Ferdinando Casini, da cui si è separato nel 2008. Di nuovi acquisti l’ex Udc oggi leader di Alleanza di centro ne ha portato a casa solo uno: Maurizio Grassano. Anzi, mezzo, perché l’ormai ex Libdem continua a insistere che lui non sta nell’Adc, ma nel gruppo misto. Pionati, invece, rivendica non solo la sua conversione, ma la regia di quasi tutto il mercato delle vacche targato PdL: «C’ho parlato io con Razzi, Cesario e Scilipoti, ma non c’è stata nessuna compravendita» giura. E dice di aver fatto proseliti solo con il verbo di dio Silvio. E con la promessa di uno scranno si- curo al prossimo giro. Pionati, il buttadentro del Berlusca. «Rivendico questo ruolo con orgoglio». Il cacciatore di teste del Cavaliere. «Sarà per il carisma che ho fin da ragazzo. Entro facilmente in confidenza con la gente, che con me si apre senza freni. Non sarà un caso se tutti quelli passati al PdL si trovano nella parte di Emiciclo vicino a me, che sto al confine con la sinistra». Come fa ad adescare i peones? «Lì è tutto un sali e scendi, piglia il caffè, vai in galleria Colonna, esci a pranzo, parla, riparla...». Cosa promette? Soldi, poltrone, lavoro ai figli... «Seee, magari! Io ho i conti correnti allo stremo per colpa del mio partito, che non ha finanziamenti pubblici. I direttori di banca mi inseguono». Ma paga zio Silvio. «È impensabile che ci sia una compravendita. Dopo quello che si è scatenato quando Razzi ha detto che gli hanno estinto il mutuo, pur avendo chiarito subito dopo che era una battuta, chi s’azzarda a comprare una persona al pensiero che dopo una settimana va da un magistrato e spiffera tutto?». Qualcosa prometterà alle sue prede per convincerle a fare il salto della quaglia... «La ricandidatura. Tutti quelli che furono candidati da Veltroni, che oggi ha funzioni solo decorative nel Pd, come ci tornano alla Camera? Lo stesso dicasi per l’Udc, che è sovrastimata nei numeri». Quante pecore ha portato lei all’ovile del premier? «Come pecora totale c’è l’amico Grassano». Totale mica tanto: lui continua a dire che non è entrato nell’Adc. «Lo fa per non mettere in croce Tanoni e la Melchiorre: la loro componente si scioglie se lui se ne va. Sta dando loro il tempo di rimpiazzarlo. Ma è già incastonato nell’Adc. E poi sono stato io a parlare con Razzi, Scilipoti e Cesario. Il mio obiettivo è portare Calearo alla guida del partito. Dobbiamo essere la tenaglia: lui al Nord io al Sud. Ci sono molto vicino. Il mio lavoro è fare pubbliche relazioni» È stato lei a proporsi come pr o il Cav a ingaggiarla? «È stato lui a volermi». Perché proprio Pionati? «Perché io ho azzeccato tutte le mosse politiche da due anni a questa parte». Non sarà un po’ troppo modesto? «Uscii dall’Udc due anni fa dicendo a Berlusconi: guarda che Casini non torna. E gli suggerii di costruire una forza alternativa all’Udc nel centrodestra, erodendo l’Udc. Lui era entusiasta del progetto, ma è stato scoraggiato dalle colombe che lo hanno sempre spinto a riprendere i rapporti con Pier. Ma lui non tornerà mai. Da quando si è imparentato con la famiglia Caltagirone, ha perso la trebisonda. Si crede di essere il Napoleone d’Italia». Anche lei non scherza. «È un dato di fatto che noi nell’Adc potremmo sostituire l’Udc nel centrodestra». Sarà, però lei di scudocrociati non ne ha portato a casa nemmeno uno. «Io ho aperto la strada, ma se il presidente non investe su di noi...». Si sente sottostimato dal Cav? «Se avesse dato a noi il potere che ha dato all’Udc nelle giunte locali, uff...!». Perché continua a dire «noi» se nell’Adc c’è solo lei? «È stata mia la scelta di non incamerare deputati. Sto lavorando sul territorio per preparare Berlusconi alle elezioni. Ma noi stiamo crescendo. Alle Regionali abbiamo avuto cinquemila voti in più rispetto a Rutelli, che ha sei deputati». Per questo rosica quando lo vede nei talk-show? «Esattamente. Ho chiamato Vespa tante volte, ho scritto anche una lettera alla Vigilanza Rai». Non è che invidia Rutelli perché è più bello di lei? «Considerato quanto piaccio io alle donne, non ho nulla da invidiare a Rutelli. Anzi, credo di essere più bello di lui. Sicuramente mi trucco meno». Riuscirà o no a portare a casa qualche udiccino? «Certo, ma prima Berlusconi deve tagliare le unghie all’Udc cacciandola dalle giunte e darci più visibilità. Lui ha una grande opportunità, costruire un vero centrodestra senza bombe a orologeria, a prova di traditori. L’Adc è pronta a fare la sua parte». In cambio di un posto al governo? «Io non gli ho chiesto niente. È stato Berlusconi a dire che, se la legislatura fosse andata avanti, mi avrebbe valorizzato al governo». Che ministero le piacerebbe? «Le Comunicazioni sarebbero la mia collocazione naturale. Ma io non ho adottato il sistema di Giovanardi o di Rotondi». Vale a dire? «Non ho badato alla mia posizione personale. Ho sacrificato la mia ambizione in nome del progetto che sto portando avanti». E che progetto ha l’Adc? «Catalizzare voti e uomini su Berlusconi. Il nome del mio partito lo scelse Niccolò Ghedini in una riunione a Palazzo Grazioli». Quanti voti ha? «In tre regioni abbiamo preso 127mila voti: lo 0,5% nazionale totalizzato a marzo solo in quelle tre». Quante sedi ha l’Adc? «Adesso siamo in undici regioni». Quando decise di scendere in campo? «Già nel 2001 l’Udc mi propose una candidatura alla Camera, offrendomi un collegio sicuro a Foggia. Ma io rifiutai perché ritenevo che il mio percorso in Rai fosse incompleto, ero solo caporedattore. Nella legislatura successiva divenni vicedirettore». Per questo nel 2006 accettò di candidarsi? «Sì. Avrei dovuto fare il direttore, ma per me è sempre stato un incubo. Guardi Minzolini: è un superburocrate, non può fare un passo che gli saltano addosso i sindacati, la Vigilanza, il Cda Rai». Ma perché scese in campo con l’Udc? «Perché sono di origini democristiane. Mio padre è stato sindaco Dc nella mia città, Avellino». Lei faceva da personal trainer a Cesa per caricarlo quando doveva andare in tv. «Sì, perché lui è un uomo-macchina, non aveva esperienza mediatica. Lo facevo volentieri perché Cesa è una persona buonissima. Ha solo un difetto: è troppo arrendevole con Casini. Lorenzo la pensa come me sul centrodestra. Fosse per lui, l’Udc sarebbe tornata da un pezzo con Berlusconi». Ma se Cesa la cacciò dal partito quando la beccò a pranzo col Berlusca assieme alla sua segretaria... «Lui sapeva benissimo che sono amico di Silvio da oltre quindici anni e che lo vedo periodicamente. La segretaria di Cesa, Stefania Gigante, che ora è passata con me, mi aveva espresso il desiderio di conoscere il presidente del Consiglio. Quindi un giorno la portai a pranzo con Berlusconi, e Lorenzo s’imbestialì perché pensava che volessi sottrargli risorse. Ma poi ci chiarimmo». Tutti erano certi che lei scendesse in campo con FI. «Ma io sono sceso in campo con Berlusconi. Lui non ha bisogno dell’ennesimo pinco pallo che entra nel PdL, ma di chi dal di fuori va raggranellando in giro quel di più che può essere decisivo in certe circostanze. Gli serve uno che va a scavare nelle sacche di contestazione organizzata dal nemico». Quindi aveva ragione chi riteneva che lei fosse il cavallo di Troia del Cav nell’Udc. «Mannò. Sa quante volte si sono parlati Berlusconi e Cesa in mia presenza anche dopo lo strappo con Casini? L’Udc è piena di filoberlusconiani». Quando entrò nell’Udc sapeva già che di lì a due anni se ne sarebbe andato? «Nooo, assolutamente». Non si sente un traditore? «Io non ho mai tradito nessuno». Il suo rapporto con l’Udc ha iniziato a deteriorarsi quando Casini arruolò De Mita alle Politiche 2008. «Sicuramente». Ma De Mita non è stato suo testimone di nozze? «Non solo. Ciriaco è stato il più grande amico di mio padre. È stato lui a volerlo sindaco di Avellino». E poi? «A un certo punto De Mita è cambiato. In Campania ha costruito un sistema clientelare pauroso con Bassolino. E quando il vento è cambiato è andato da Caldoro e gli ha detto. “Io sto qua, basta che mi sistemi due nipoti”. Uno lo ha fatto vicepresidente della giunta regionale e l’altro, sindaco di Nusco. Le punte di diamante dell’Udc oggi sono De Mita e Cirino Pomicino. Casini fa archeologia politica». Vero che fu De Mita a raccomandarla in Rai? «Io ero demitiano, non ho difficoltà a dirlo». Aveva mai fatto politica prima? «Sono sempre stato eletto a furor di popolo rappresentante al consiglio d’istituto al liceo classico Pietro Colletta di Avellino, lo stesso in cui ha studiato Maccanico. Già allora ero un trascinatore». Come iniziò la sua carriera in Rai? «Vinsi una borsa di studio nel 1983. A 18 anni ero già pubblicista e ad Avellino dirigevo un settimanale, il Paese, e una tv locale, Tele Nostra». Passò al primo colpo l’esame da professionista? «Non solo, arrivai primo e vinsi il premio Marcello Lucini: una penna d’argento che mi fu consegnata da Gianni Letta, allora direttore del Tempo». In Rai di lei si dice: era bravo ma sempre in cerca di un santone. «La Rai è tutto un sistema di potere, dove la differenza è tra chi raccomanda deficienti e chi persone per bene». Lei è un raccomandato per bene? «Io sono il giornalista Rai che ha resistito di più. Non ho mai avuto problemi né con il centrodestra né con il centrosinistra». Per forza, fiutava l’aria politica e si riposizionava. Così dicono di lei. Tipico della Rai. «Io sono stato sempre con la Dc». La Rai era più lottizzata allora o adesso? «Uguale. Ma ai miei tempi il sistema politico era più variegato, oggi il bipolarismo ha reso più feroce la lottizzazione». Le sembra giusto che la tv di Stato debba essere l’ufficio di collocamento dei partiti? «No, per questo va privatizzata». Totalmente? «Io lascerei una sola rete pubblica». Qual è il direttore con cui si è trovato meglio? «Rossella e Mimun». Quello con cui litigava di più? «Vespa. Lui è un grande professionista, un gigante, ma sul piano umano non ci prendevamo proprio». Qualche suo ex collega Rai racconta che Vespa la tirava giù dal letto con urla titaniche al telefono perché alle 11.30 era ancora a casa, anche se doveva fare il pastone per il tg delle 13.30. «Ma non è che dormivo. Io ho sempre avuto fiuto e velocità. È inutile andare nel Transatlantico della Camera alle nove di mattina. Il giornalista che si alza all’alba è pericoloso». Pionati, il re del pastone. Qual era la sua ricetta? «Io conferivo un taglio politico al servizio, pur dando voce a tutti». In Rai insinuano che lei i pastoni li facesse da casa. «Se avessi lavorato in radio l’avrei fatto tranquillamente. Ma a casa come facevo, mettevo il cartellone con lo sfondo dell’Emiciclo in salotto?». Così dicono. «Quandomai». Suscitò parecchie polemiche il suo superattico di dieci vani a Monteverde acquistato dall’Inpdai nel 2001 a 260mila euro. «Io appartengo a una delle trentamila famiglie romane che pagavano l’affitto con l’equo canone e che comprarono la casa quando ci fu l’offerta d’acquisto dall’ente pubblico. Lo prevedeva la legge. Quelle erano bazzecole rispetto a quello che succederà con la svendita dei beni degli enti locali che provocherà il federalismo, vedrete». Da piccolo lei sognava di fare il giornalista, il politico o il cuoco? «Il pastone mi riesce bene, ma quando mi avvicino ai fornelli sono un disastro. Ho sempre avuto la passione per la politica». Quindi è vero che lei ha usato la professione per approdare in Parlamento. «Sicuramente la tv dà visibilità. Ho un indice di popolarità superiore a quello di Casini e di Bersani». Addirittura. «Lo dicono i sondaggi: sono conosciuto dal 60% degli italiani e apprezzato dal 33%. Ma se avessi voluto sfruttare la professione per fare politica, avrei fatto il conduttore». Che tipo era lei da bimbo? «Molto estroverso. Mio padre teneva un diario, che io ritrovai dopo la sua morte, in cui sottolineava le differenze tra me e mio fratello Carlo, e raccontava che lo chiamavano le maestre per dirgli: “Questo a uno le dà e a un altro le promette”. Scrisse che mia madre una volta venne all’asilo a prendermi perché pensava che volessi tornare a casa. Io, invece, le dissi: “No, mamma, grazie. Però, se per cortesia mi vai a comprare pane e formaggio”...». La sua prima cotta? «Alle elementari, per la mamma del mio vicino di banco. Poi, alle medie mi innamorai di una mia compagna, Giulietta Acone, figlia di un preside amico di mio padre». Un amore ricambiato? «Macché, non mi pensava proprio». La sua prima volta? «Fu con una ragazza di Roma che conobbi in campeggio. Avevo 17 anni». Quando conobbe sua moglie? «Al liceo. Daniela era compagna di classe di una mia cugina. All’inizio non l’avevo presa in considerazione. Poi mia cugina organizzò una festa di carnevale a casa sua e lì scoppiò la scintilla. A 20-21 anni ci fu una serie di fidanzamenti paralleli tra noi ex compagni di classe. Lo facemmo un po’ per scherzo». E finiste con l’anello al dito. «Tutti infinocchiati». Chi ci provò per primo tra lei e sua moglie? «Mia moglie. Noi uomini siamo delle vittime. Se andiamo con altre donne è per non essere schiacciati completamente». Lei si reputa un uomo fedele? «Insomma... Sostanzialmente sì, ma è pure un rapporto che dura da trent’anni... Abbiamo tre figlie che sono la gioia della mia vita. La sera litigano perché vogliono sempre dormire con me. Ormai si sono appropriate del lettone». E sua moglie? «Lei, che si alza la mattina presto, dorme ormai da tempo in una sua stanza». Sua moglie è iscritta al suo partito? «Mi sostiene. Lei è un’ex Pci. Già da ragazzo si vedeva che ero fedele a Berlusconi, perché convertii una comunista al centrodestra. Senza nemmeno conoscerlo, cominciai già a fare proseliti». Ha intenzione di fondere l’Adc nel PdL? «Assolutamente sì. Ma dopo le elezioni. Intanto faremo l’apparentamento, se si va al voto in primavera. Poi, lui sicuramente qualcosa farà». Cioè? «La sua vera scommessa è rifare la Democrazia cristiana, raccogliendo intorno a sé tutti i moderati. A quel punto noi confluiremo nel suo nuovo partito». Chi sarà il successore del Cav? «Per ora non esiste. Ma sarà lui a sceglierlo. Mi fanno ridere Fini e Casini che rinfacciano sempre il fattore anagrafico a Berlusconi, quando politicamente hanno il doppio della sua età. Sono in Parlamento da ventott’anni!». Ma perché ce l’ha tanto con Casini? «Perché ha puntato fin dall’inizio a distruggere Berlusconi». Non perché se si rimette con il Cav per lei è finita? «Non ho problemi. Torno in Rai a fare il direttore».