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 2010  dicembre 20 Lunedì calendario

I TITOLI DI STATO PERDONO TERRENO


Anche i titoli di stato hanno smesso di essere un porto sicuro. La crisi dei debiti sovrani, che ha colpito negli ultimi mesi l’Europa, ha smentito una convinzione diffusa tra i risparmiatori, rimescolando le carte tra le varie asset class disponibili. Così, con i tassi destinati a restare a lungo poco sopra lo zero, non resta che prendersi qualche rischio anche in campo obbligazionario se si vuole puntare a un rendimento dignitoso.

Rendimenti in ripresa, ma ancora contenuti. Le tensioni irlandesi hanno rilanciato nelle ultime settimane i rendimenti dei titoli di stato italiani: il possessore di un Bot a sei mesi ottiene un rendimento netto annuo intorno all’1,2%, mentre quello a dodici mesi consente di spuntare poco più dell’1,7%. In sostanza, occorre tenere i risparmi bloccati almeno un anno per pareggiare l’inflazione e preservare quindi il loro valore in termini reali. Per puntare a rendimenti superiori al 2%, invece, è indispensabile acquistare i Btp, puntando quindi su un’ottica di investimento pluriennale, con la possibilità di arrivare fino al 4% acquistando un Btp a dieci anni. Con tutto quello che ne segue: infatti, a fronte di una cedola fissa periodica, l’investitore di lungo termine si fa carico dei rischi connessi alla fluttuazione di valore, generato come in qualsiasi attività finanziaria dall’incrocio tra domanda e offerta. Quindi, chi avesse necessità di liquidare l’investimento prima della scadenza, potrebbe dover fare i conti con un valore di mercato inferiore al prezzo di acquisto.

Restando sul fronte del rischio, a metà strada tra i Bot e i Btp si collocano i Cct, titoli di stato a tasso variabile con scadenza a sette anni e con rendimento legato a quello dei Bot (con l’aggiunta di un premio). Dall’estate sul mercato è stata introdotta la variante dei CcTeu, il cui rendimento è legato all’Euribor, il tasso con cui le grandi banche europee si scambiando denaro. Un indicatore tendenzialmente più stabile (in quanto calcolato su base continentale) rispetto al Bot (solo italiano), teoricamente più capace di resistere a eventuali nuovi attacchi speculativi. Man mano che si svolgono nuove aste (la prossima è in programma il 30 dicembre), i possessori di vecchi CcT possono convertire i titoli nei nuovi CcTeu. La convenienza nel passaggio non è comunque scontata: se ad esempio l’Italia finisse nel mirino della speculazione finanziaria, il Tesoro sarebbe costretto ad alzare i rendimenti dei Bot per trovare investitori interessati e questo aiuterebbe i rendimenti dei vecchi CcT, mente le tensioni di casa nostra avrebbero un impatto ben più limitato sul benchmark europeo. Il discorso cambierebbe se vi fosse una vera e propria insolvenza dello stato italiano, ipotesi comunque improbabile allo stato delle cose.

Le alternative «esotiche». Per puntare a rendimenti maggiori occorre assumersi qualche rischio in più. Per esempio acquistando i Treasury trentennali, che rendono intorno al 4%: i titoli di stato americani sono considerati i più sicuri del mondo, ma occorre mettere in conto il rischio cambio, oltre alla lunga scadenza. Superano il 4,5%, con denominazione in euro, i titoli decennali del Portogallo, mentre quelli irlandesi superano l’8%. In entrambi i casi si tratta di paesi a forte rischio di attacchi speculativi.

Le emissioni corporate fanno meno paura. In un contesto di generale preoccupazione per i debiti degli stati, gli investitori riscoprono le potenzialità delle emissioni societarie. Negli ultimi mesi i corporate corporate ad alto merito (quelli cioè emessi dalle aziende ritenute più affidabili) hanno fatto il pieno di sottoscrizioni. Secondo una stima di Exane Derivates, questa categoria dovrebbe segnare nell’intero 2010 almeno 200 miliardi di collocamento, un risultato destinato a ripetersi il prossimo anno. Quanto ai bond ad alto rendimento, quest’anno arriveremo ad almeno 35 miliardi, dopo che nel 2009 non ci sono state praticamente emissioni di questo tipo. In linea di massima un’azienda è meno robusta di uno stato, ma è pur vero che la maggior parte delle società quotate negli ultimi trimestri è tornata a fare utili come nella stagione pre-crisi. Così, un bond emesso da una blue chip che rende il 4 o il 5% annuo può essere considerato una buona opportunità d’acquisto, senza che si corrano rischi eccessivi.

Per i più intrepidi resta l’alternativa dei perpetual bond, che non hanno scadenze predefinite. Un fattore di maggiore incertezza, in cambio di un tasso di interesse fisso più elevato, che in alcuni casi possono arrivare fino all’8% annuo e oltre. Un extra-rendimento in cambio della rinuncia a fissare a priori la scadenza dell’investimento. Tra i contro di questi investimenti, il lotto minimo dell’investimento (di solito 50 mila euro) e la minore liquidità rispetto ad altre obbligazioni, che rende più volatili le loro quotazioni.