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 2010  dicembre 18 Sabato calendario

LAOS, DA ISOLA AD AUTOGRILL?


Nel piazzale della Yunnan Qingzhen Processing Trade a Kunming, alcuni operai caricano sul camion le ultime casse di tartufi cinesi. Raccolti nei boschi del­lo Yunnan, tra tre giorni al massimo passeran­no direttamente nelle cucine dei più rinoma­ti ristoranti di Bangkok, 1.856 chilometri più a sud. «Da qualche mese abbiamo cominciato a inviare le merci via terra e non più via aerea – dice Xu Yan, responsabile della spedizione. – In questo modo risparmiamo sui costi senza pe­nalizzare la qualità». Il camion della Yunnan Qingzhen è solo l’a­vanguardia della nuova invasione economica cinese che si appresta a conquistare i mercati del Sudest asiatico. Ancora alla fine degli anni Novanta, partendo da Kunming occorreva u­na settimana per raggiungere la capitale thai­landese. Già si parlava della superstrada ’R3’ Bangkok-Kunming, ma natura, orografia del terreno, e ancor più burocrazia e vecchi anta­gonismi ideologici, sembravano ostacoli in­sormontabili che non avrebbero mai permes­so la realizzazione di questo nastro d’asfalto. Al­meno in tempi brevi. Oggi, invece, è possibile percorrere l’intero per­corso in meno di 40 ore: lo sviluppo della Cina si misura anche da questa opera faraonica, co­stata 96 milioni di dollari e finanziata princi­palmente da Cina stessa, Thailandia e Banca di sviluppo asiatico (Bsa). «La R3 ha permesso di abbattere i costi di trasporto delle merci», os­serva Madaleine Varkay, responsabile della Di­visione finanza e commercio per la Regione del Mekong della Bsa. «Nel 2000 trasportare una tonnellata di merce da Bangkok a Kunming at­traverso il Laos, costava 563 dollari. Oggi siamo scesi a 280 dollari e nel 2015 prevediamo un ul­teriore ribasso a 210 dollari». Che si ridurranno a soli 107 dollari a tonnellata quando sarà com­pletata la variante R3E (E sta per est) che sfrut­terà 360 chilometri di navigazione lungo il Mekong dalla città portuale thailandese di Chiang San a quella cinese di Yunjinghong.

Assetata di nuove fonti di energia e nuove ri­sorse per alimentare un’economia che cresce a ritmo vertiginoso, Pechino ha finalmente co­ronato il sogno di avanzare a sud del Mekong. La R3 è l’arteria che permette al Moloch eco­nomico cinese di decongestionarsi, riempien­do i mercati dell’Asean di propri prodotti. Per questo non sta badando a spese per poten­ziarla. Nel progetto finale la R3 sarebbe solo un tratto dell’Autostrada asiatica AH-3 che con­giungerebbe la città russa di Ulan Ude a Singa­pore: un nastro di quasi 9.000 chilometri in gra­do di servire un potenziale bacino di 2 miliar­di di persone, il futuro centro nevralgico eco­nomico mondiale. Ma tutto questo ha un costo, sia in termini e­cologici che umani. Ci si accorge di ciò lungo la strada a quattro e sei corsie che si dirige ver­so il confine con il Laos, costantemente sorve­gliata da 168 telecamere. «L’apertura delle fron­tiere ha facilitato anche i traffici illegali di dro­ga e di animali», aveva spiegato in un’intervi­sta il capo delle truppe provinciali di confine, Gang Huawu. Solo nel 2008 il 67% dell’intera e­roina, il 92% dell’oppio e il 33% delle metanfe­tamine confiscate in Cina erano passate dallo Yunnan. La R3, attraversando la regione del Triangolo d’Oro, ha permesso un più veloce e facile scambio di merce lungo i permeabili con­fini dello Yunnan. Ma le sorprese non finisco­no: quando si arriva, dopo 10 ore di bus, a Mohan, a 736 chilometri da Kunming, si osserva inebetiti Boten, la città oltre il confine, in Laos. Le luci sfavillanti e multicolori dei negozi, dei casinò e del mastodontico Royal Jinlun Hotel, spen­gono l’idilliaco ricordo di questo che, una volta, era solo un villaggio di ca­panne e qualche casa in muratura.

Un cartello ci accoglie appena passato il confine: ’Welcome to Boten Golden City’, benvenuti a Boten città dorata. Ma non ci si sente affatto benvenuti e ciò che si vede non ha nulla di dorato: 21 chilometri quadrati di terri­torio laotiano dati in concessione per 30 anni dal governo alla Golden City Group, una ditta privata cinese, con l’opzione di estendere l’af­fitto per altri sessant’anni. «Boten diverrà il cen­tro nevralgico del Laos – afferma Nicki Sasou­vong, portavoce della Golden City Group. – Ab­biamo in progetto un campo da golf e un ae­roporto internazionale. Il nostro impegno è di attrarre un milione di turisti l’anno da tutto il mondo». Boten è ormai diventata un’enclave ci­nese in territorio laotiano: il kip è sdegnosa­mente rifiutato e si paga rigorosamente in yuan, gli ideogrammi hanno sostituito il laotiano, l’e­lettricità proviene dalla Cina, così come le linee telefoniche. Persino gli orologi sono re­golati sull’ora di Pechino. «Per favorire lo sviluppo in stile cinese, il governo ha permesso alla Golden City Group di trasferire tutti gli abitanti di etnia lao 20 chilometri più a sud», lamenta Noy Si­risavath, cameriera del Royal Jinlun Hotel. Il decentramento è stato un fal­limento: gli abitanti affermano di aver ricevuto appezzamenti di terreno me­no fertili e meno vasti di quelli che possedeva­no in precedenza.

Lo sviluppo turistico e economico trainato dal­la R3 sta sconvolgendo la vita di migliaia di per­sone non solo a Boten, ma anche all’interno del Laos. La superstrada, infatti, prima di raggiun­gere il confine con la Thailandia a Huay Xay, per­corre 228 chilometri all’interno del Paese indo­cinese. Quando vi transitammo per la prima vol­ta. era poco più d’una mulattiera. Servivano tre giorni per raggiungere il Mekong, sbatacchiati qua e là su un pullman arrugginito e stipato di gente. Oggi, invece, si può addirittura permet­tersi il lusso di stendere le gambe, leggere un li­bro o scribacchiare qualche frase sul diario. Si deve però fare in fretta, perché se le distanze so­no rimaste le stesse, il tempo si è comunque ac­corciato: il pullman con aria condizionata e la televisione che irradia a tutto volume The Le­gend and the Hero, un film basato su una po­polare leggenda cinese, impiega poco più di cin­que ore per percorrere l’intero tratto laotiano.

I villaggi hanno cambiato fisionomia e la R3 è penetrata come una cesoia nella foresta. Con essa sono arrivati anche nuovi coloni, quegli stessi cinesi che, dopo aver lavorato come ma­novalanza nella costruzione dell’arteria, han­no deciso di fermarsi, complice la mancanza di una legislazione che limiti l’immigrazione dal­la Cina. E qui hanno aperto negozi, ristoranti, locande, addirittura piccoli supermercati. Mi­gliaia di ettari di foresta sono stati tagliati per far posto a risaie e piantagioni di caucciù, di cui la Cina entro il 2020 si pensa consumerà il 40% della produzione mondiale. Ma ciò che preoccupa maggiormente è la diffusione e­sponenziale dell’Aids e la politica discrimina­toria del governo nei confronti delle minoran­ze etniche. Khankham Southavilay, coordina­trice regionale della ong Macfarlane Burnet In­stitute for Medical Research and Public Health afferma che lo sviluppo portato dalla R3 è coin­ciso con un innalzamento dei casi di Hiv nella popolazione: «Stiamo svolgendo un lavoro di informazione e di prevenzione – racconta – per fortuna siamo ancora agli inizi e quindi siamo abbastanza ottimisti».

La Norwegian Church Aid Actalliance è invece più preoccupata per la discriminazione etnica: «Il governo laotiano ha sfruttato l’occasione of­ferta dalla R3 per trasferire le minoranze etni­che all’interno, lasciando che lao e cinesi pren­dessero il loro posto nei villaggi in prossimità della carrozzabile», confida un collaboratore della ong, le cui preoccupazioni sono avallate da altri organismi umanitari. A Huay Xay il ponte da 33 milioni di dollari che nel 2011 congiungerà le due rive del Mekong entrando in territorio thailandese è quasi pronto e una volta che la R3 sarà collegata, senza bisogno di traghettare at­traverso il fiume, i tempi di percorrenza si con­trarranno di un’altra ora. A Chiang San ci si pre­para per gli ultimi 900 chilometri sino a Bangkok. È qui che, in un mercato del centro, compria­mo alcune mele: costano 20 centesimi l’una, cinque volte meno di quanto venivano pagate dieci anni fa. La provenienza? Yunnan.