Giorgio Dell’Arti, La Stampa 20/12/2010, 20 dicembre 2010
VITA DI CAVOUR - PUNTATA 48 - ASTUZIE MAZZINIANE
Quanti erano questi amnistiati? Quattrocento fatti uscire dalle carceri (tra questi Felice Orsini) e quattrocento fatti rientrare dall’ esilio. Prima del perdono (era un perdono, come aveva preteso Metternich: che non si cancellasse, cioè, la colpa), dovevano abiurare per iscritto le loro idee precedenti, fatto non da poco - e per esempio Mamiani si rifiutò di firmare -, ma a cui in quel momento di delirio nessuno fece caso. Come mai gli amnistiati furono un problema? A Mazzini la faccenda non piaceva per niente. «A me poco importa che si stia un po’ meglio o un po’ peggio in un frammento d’Italia», «L’entusiasmo pel Papa è nauseante», «A me pare che gl’italiani diventin matti», «Legheremo i cani con le salsicce» , eccetera. Tuttavia, dal punto di vista politico, la situazione presentava possibilità interessanti. Mazzini scrisse a Giuseppe Lamberti, un reggiano che gli faceva da capo a Parigi: «La tattica da tenersi è questa: senza urtare o tradire ostilità, spingere la speranza sul papa all’estremo, dar causa all’Austria di quanto ei non fa, introdurre cautamente quanto più carattere possibile nazionale si può nelle dimostrazioni d’entusiasmo, far sì che l’Austria impaurisca più sempre, mandi note, esiga, tanto che il papa, indietreggiando, si ponga in chiaro la sua impotenza e si preparino gli animi ad una reazione violenta contro l’Austria e quindi nazionale». È una lettera del 29 settembre 1846. Minghetti spiega che i mazziniani dovevano approfittare di ogni occasione fornita dal pontefice per far feste, canti, dimostrazioni. Che l’esercito si sentisse isolato, non esitare a servirsi dei risentimenti personali. Montanelli: «La tattica era di prendere queste riforme come acconti, lodarle più che non meritassero, tenere come virtualmente concesso ciò che non era nelle intenzioni del concedente, ingegnarsi insomma a strappare quanta più libertà si poteva». Martina racconta la nota di un delatore «a un suddito austriaco»: «Le presenti richieste fatte al S. Padre… per l’istituzione della guardia civica essere state inoltrate per ordine de’ comitati rivoluzionari di Parigi e di Londra, istigati da lord Palmerston, il quale ha preso l’assunto di far cambiare politica al gabinetto piemontese» . Il cardinale De Angelis scrisse al cardinale Amat: «Risulta che le manifestazioni furono solo tardive, a un mese di distanza dall’amnistia. Esse furono organizzate spesso da anticlericali ben noti, che a tale scopo distribuirono abbondanti mance fra il basso popolo, e non mancarono di screditare il governo» . In sostanza, che cosa significa questo lungo resoconto sui maneggi mazziniani? A Roma esistevano circoli politicoculturali, qualcosa che potrebbe essere assimilato ai club parigini dell’89. Il Circolo dei commercianti, il Circolo romano (Caetani, Lante), il Circolo popolare. Il Circolo popolare faceva capo a Ciceruacchio, un futuro garibaldino che aveva fatto i soldi portando il vino a Roma dai Castelli, e che s’era messo a far politica da quando era stato eletto Pio IX. Mazziniani, capipopolo, circoli governavano la folla. Si trattava di mettere il muso quando il papa esitava troppo. E di impazzire di gioia quando qualcosa veniva concessa, fingendo che fosse più di quanto era stato effettivamente dato e dichiarando che si trattava comunque solo di anticipi, ben altro dovendosi aspettare da un Pontefice come quello. Come si fa a mettere il muso in politica? Per esempio, il 4 novembre 1846, recandosi il Papa a San Carlo al Corso, la folla - invece delle solite grida d’entusiasmo - fece passare la carrozza del pontefice restando zitta. Il papa, dopo la nomina di Gizzi e l’amnistia, non aveva fatto più niente e i capi-popolo - Ciceruacchio in testa - ordinarono di far sentire la delusione. A Pio IX la cosa «spiacque altissimamente» (Costanza Corboli Bussi). Tre giorni dopo, vigilia della presa di possesso della Basilica Vaticana, ecco apparire un manifesto in cui si annunciava, tra l’altro, la decisione di costruire ferrovie. L’8 novembre, folla di nuovo entusiasta, benchè il papa avesse fatto sapere che quella concessione era l’ultima…
Era l’ultima? No, si andò avanti così fino alla fine. S’era anche diffusa nel mondo l’opinione che il nuovo papa avesse portato la pace universale in terra. Una deputazione inglese, che a regola avrebbe dovuto essere ostile, venne a ringraziare Pio IX per l’aiuto offerto agli irlandesi affamati dalla carestia. Si vide girare per Roma Chékib Effendi, ambasciatore turco a Vienna, che portava sul petto una grossa medaglia con la faccia del papa e voleva a tutti i costi omaggiare il Pontefice e fu effettivamente ricevuto. Clamoroso, dato che tra Santa Sede e Impero Ottomano non c’erano neanche rapporti diplomatici. Poi, il 15 marzo, dopo molti pensamenti, arrivò il permesso di stampar giornali, che non parlassero male né direttamente né indirettamente degli atti del governo. La censura continuava a esistere, ma la possibilità di far giornali metteva lo Stato pontificio all’avanguardia in Italia.