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 2010  dicembre 18 Sabato calendario

750 MILIARDI PER SALVARE L’EURO

Il primo passo dei Paesi dell’Unione europea verso un fondo permanente salva-stati potrebbe non essere sufficiente per garantire la stabilità della moneta unica. Non si sa ancora l’ammontare del nuovo salvagente anti-crisi che prenderà il posto dell’attuale paniere da 750 miliardi (quota Fmi compresa) ma già alcuni commentatori internazionali esprimono dubbi sulla reale capacità di centrale l’obiettivo. Lo fa il Wall Street Journal. A fare da controcanto ci pensa un’altra corazzata dell’informazione finanziaria, il Financial Times, ma i dubbi istigati dal giornale newyorkese ispirano le orde degli speculatori che scommettono sul fallimento di qualche paese di Eurolandia. E non a caso. L’agenzia Moody’s ha tagliato ieri il rating dell’Irlanda, portandolo da “AA2” a “BAA1”. L’outlookènegativoedunqueDublino rischia un ulteriore downgrade.
Uno dei nodi da sciogliere è l’importo del nuovo fondo, visto che sugli Eurobond l’Europa è ancora divisa (Berlusconi li benedice ma sostiene che sono prematuri mentre Sarkozy si associa alla Merkel nel bocciarli). Se da un lato si nota l’ostilità di alcuni leader eu-
ropei nell’aumentare il tetto, dall’altro viene giudicato totalmente insufficiente. Ampliare il già importante fondo che scadrà nel 2013 vorrebbe dire ammettere che Spagna e Italia potrebberodavveroavernebisognoesarebbe gioco facile per gli speculatori mettere sotto tiro i debiti pubblici dei due paesi. Non facendolo però Bruxelles rischia di trovarsi in seria difficoltà nel momento del bisogno. «Tra le tante cose che abbiamo imparato da questa crisi
c’è che i governi e i mercati finanziari faticano a capirsi», scrive Lorenzo Bini Smaghi sul Financial Times. «I governi non capiscono perché i mercati perdono la fiducia nelle capacità delle finanze pubbliche in modo così rapido e la recuperano così lentamente, e solo dopo un lungo periodo di consolidamento fiscale», sottolinea.
Per i mercati, dice Bini Smaghi, è naturale pensare che nel caso in cui un Paese non sia più in grado di sostenere il proprio debito pubblico debba dare forfait e ristrutturarlo. Così i costi verrebbero diluiti senza pesare sulla leva fiscale, cosa che comprometterebbe la crescita. Le conseguenze per un paese sarebbero comunque devastanti: dalla fuga dei capitali alla pace sociale, alla credibilità politica.
L’Italia, con il pesante fardello del debito pubblico, è tra i paesi che potrebbe aver bisogno del sostegno di Bruxelles. Ma secondo gli analisti della Ue Roma è perfettamente in grado di restare in piedi da sola. Il problema è semmai come potremmo reagire nel caso di default dei Paesi europei in bilico. Tolte le conseguenze indirette, l’Italia rischia di perdere sia i soldi che ha messo nel fondo salva-stati sia quelli “investiti” nella Bce. Se tutto va bene si portano a casa gli interessi. In caso di crac di Grecia, Irlanda e Portogallo perderemmo il capitale investito o lo rivedremmo a babbo morto. Il pacchetto di aiuti in mano all’Ecofin è attualmente di 500 miliardi (tolto l’Fmi) mentre la disponibilità della Bce, prima dell’aumento di capitale, per l’acquisto dei titoli sovrani a rischio si aggira sui 60 miliardi. Ipotizzando un totale utilizzo dei fondi, la quota a rischio riconducibile all’Italia potrebbe non essere lontana dai 70 miliardi. Una valutazione a spanne ma che potrebbe essere vicina dalla realtà. Naturalmente il default di uno dei Paesi a rischio creerebbe una ricaduta pesantissima e per i nostri conti e quei 70 miliardi ipotizzati sarebbero solo l’antipasto.