Lettere a Sergio Romano, Corriere della Sera 18/12/2010, 18 dicembre 2010
LA COMPRAVENDITA DEI VOTI E I RISCHI DEL PAN-LEGALISMO
Leggendo il suo articolo sul voto di fiducia accordato al governo, sono rimasto francamente allibito. Mi riferisco in particolare alla prima parte in cui lei giudica inutile «disquisire con acrimonia» sul come Berlusconi ha ottenuto il voto di alcuni deputati. Prima di tutto la parola acrimonia è assolutamente fuori luogo, davanti a pesanti sospetti di compravendita di voti è dovere di ogni cittadino onesto esprimere il proprio sdegno e i propri sospetti. Secondariamente davanti a una situazione del genere, di sfascio morale e politico, dovrebbe essere proprio la voce dei cittadini o degli storici come lei a levarsi più in alto. Non credo che i padri della patria o i tanti ragazzi che perirono nella Resistenza abbiano profuso tutto ciò che avevano per un’Italia del genere in cui un uomo, grazie al suo potere economico, può giostrare a proprio piacimento la vita politica di un’intera nazione. Qui non è questione di destra, sinistra o centro ma di chi ha la schiena diritta e dei valori di onestà e chi non li possiede.
Michele Camerin
astrodomini@gmail. com
Caro Camerin, se ha avuto l’impressione che la parola «acrimonia» esprimesse un certo fastidio per la discussione sui parlamentari «comprati e venduti» , lei ha colto nel segno. Cercherò di spiegargliene la ragione. In tutti i parlamenti esistono due esigenze contraddittorie. I partiti vorrebbero che le persone elette nelle loro liste o nel loro nome restassero allineate e fedeli sino alla fine della legislatura. Ma tutti vorremmo che i deputati e i senatori fossero liberi, responsabili di fronte alla propria coscienza e capaci di interpretare i programmi del loro partito alla luce della evoluzione politica ed economica del Paese. Fra i costituenti del 1948 vi erano certamente leader politici che contavano sull’obbedienza dei loro seguaci. Ma quando fu necessario scegliere fra l’obbedienza e l’autonomia, scelsero quest’ultima e scrissero nella Costituzione che «ogni membro del Parlamento rappresenta la nazione ed esercita le sue funzioni senza vincolo di mandato» . Questo articolo ha permesso a Gianfranco Fini di assumere posizioni critiche all’interno del partito con cui era stato eletto e a una trentina di amici di seguirlo dopo la costituzione di un nuova forza politica. Perché, in linea di principio, lo stesso articolo non dovrebbe consentire ad alcune di queste persone di fare successivamente, in altre circostanze, la scelta opposta? Il voto di sfiducia è molto più di una qualsiasi manifestazione di dissenso. Significa l’apertura di una crisi, con effetti che nessuno, al momento del voto, è in grado di prevedere. Immagino la sua risposta. Lei potrebbe osservare che il passaggio di campo, in questo caso, sarebbe stato contrattato e adeguatamente ricompensato. Può darsi. Ma non conosco democrazia, a cominciare da quella degli Stati Uniti, in cui il deputato non cerchi di servirsi del proprio voto, nei momenti decisivi, per ottenere ciò che gli sembra utile e opportuno. Lei potrebbe replicare che in questo caso vi sarebbero stati addirittura compensi in denaro, vale a dire il livello più basso nella scala delle contrattazioni politiche. Rispondo che occorrerebbe almeno aspettare la certezza di una sentenza, ma aggiungo subito che dietro queste indagini giudiziarie vedo rafforzarsi la convinzione che i problemi della politica possano essere risolti nelle aule di giustizia. Esiste ormai una forma di «pan-legalismo» che attribuisce ai procuratori e ai giudici il compito di «censori della democrazia» . È questa la ragione per cui credo che la discussione sui parlamentari comprati non dovrebbe piacere nemmeno ai partiti d’opposizione.
Sergio Romano