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 2010  dicembre 18 Sabato calendario

LO STOP DELLA MERKEL CHE NON SERVE ALLA UE

Sospettata già da mesi di anteporre i suoi interessi elettorali alla salvezza dell’euro, Angela Merkel ha fornito al vertice dei Ventisette una nuova prova della sua determinazione.
E anche del suo potere, dal momento che nel varo del nuovo meccanismo permanente salva-Stati, previsto per il 2013, tutto è andato come la Germania voleva. Si farà l’emendamento al Trattato di Lisbona. Il futuro strumento di mutuo soccorso entrerà in campo soltanto «se sarà indispensabile» . Banche e fondi privati parteciperanno alle perdite in caso di default pilotato. Le risorse del fondo di sostegno attualmente esistente non saranno per ora aumentate. Nein alla proposta di Tremonti e Juncker, sostenuta ieri da Berlusconi ma anche da altri, di far ricorso all’emissione di eurobond. La Merkel, insomma, non si è mossa di un centimetro. Intendiamoci, le misure gradite a Berlino non sono certo «contro» la difesa dell’euro e il contenimento del contagio debitorio nell’eurozona. Ma è difficile non scorgere, nell’agenda del Cancelliere, il tentativo di conciliare due volontà: primo, rassicurare l’elettorato tedesco stufo di «pagare per gli altri» ; secondo, contenere i mercati, la speculazione e le agenzie di rating Usa in quello che somiglia sempre più a un vero e proprio assalto all’euro. Primo e secondo, nell’ordine. Con il risultato di lanciare ai medesimi mercati che si voleva placare un segnale di perdurante vulnerabilità dell’eurozona almeno fino alla fine del 2013. Torna così ad emergere, in maniera sempre più evidente, una «questione democratica» che pone in oggettiva I rotta di collisione gli interessi elettorali della Merkel e quella che secondo molti potrebbe essere da subito la più efficace difesa dell’euro. A ben vedere l’Europa che esce da Bruxelles è prigioniera di un paradosso. Frau Merkel ha bisogno di parlare oggi ai suoi elettori, per avere il tempo di assecondare il loro umore in vista delle urne nazionali che si apriranno proprio a fine 2013, e anche perché nel 2011 dovrà affrontare ben sette elezioni regionali e locali. Sarkozy la segue scontando una evidente subordinazione, perché per l’Eliseo si vota nel 2012 di gruppo di Stato e di governo posano la foto di gruppo durante summit Ue ieri: Berlusconi è il primo da sinistra e i l Presidente non vuole apparire isolato. Ma, ecco il paradosso, tanta rigidità potrebbe addolcirsi dopo le verifiche elettorali francese e tedesca, perché la Merkel avrà allora un margine di manovra meno condizionato da interessi di potere oppure perché altri, molto critici della sua politica, avranno conquistato la cancelleria. Mantenendo l’essenziale dell’accordo concluso ieri nulla vieta che ad esso possano allora affiancarsi nuovi strumenti, compresa quella emissione di eurobond che è ormai per l’Italia un cavallo di battaglia. Ma tenere lo sguardo fisso sul dopo 2013, come hanno fatto ieri i «ventisei più uno» , potrebbe rivelarsi presto una strategia miope e pericolosa. Le ratifiche nazionali dell’emendamento al Trattato di Lisbona, per quanto «leggere» , potrebbero comportare sorprese paralizzanti. Nel corso del 2011 i Paesi dell’eurozona dovranno rifinanziare un ammontare record di debiti sovrani, il più alto da quando è stata creata la moneta unica. Il Portogallo viene considerato una vittima quasi sicura, la Spagna una vittima possibile (l’Italia per fortuna è ancora al di là dell’orizzonte, ma per quanto?), e tornano a crescere le preoccupazioni per le «salvate» Irlanda e Grecia. La crisi debitoria che scuote l’euro, insomma, non ha lo stesso scadenzario della Merkel e dell’opinione pubblica tedesca. Il problema è tutto qui, perché non poche delle posizioni di Berlino appaiono giuste in linea di principio. E non si può far carico soltanto ad Angela Merkel, al di là del suo interessato nazionalismo odierno, della più generale ri-nazionalizzazione delle politiche che da anni caratterizza tristemente la UE. Oggi fa orrore al Cancelliere e al suo elettorato che «venga trasmessa a tutti la debolezza di alcuni» (con gli eurobond). Forse dopo il 2013 questo orrore potrà essere superato da una più lungimirante leadership politica, forse si potrà discutere allora — è stata la stessa Merkel a farlo intendere — di una vera politica economica comune. Ma chi specula sull’euro azzoppato non ha alcun motivo per concedere una tregua in attesa di tempi migliori per l’Europa. Il che spiega l’amara ironia di un diplomatico francese: «Questa è una linea Maginot e rischia di fare la stessa fine, ma i tedeschi stavolta scopriranno di essere dalla nostra stessa parte» .
Franco Venturini