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 2010  dicembre 18 Sabato calendario

Cento miliardi di biro posson bastare - Compie 60 anni ora, allo scadere del primo decennio del nuovo secolo, e ha venduto 100 miliardi di pezzi

Cento miliardi di biro posson bastare - Compie 60 anni ora, allo scadere del primo decennio del nuovo secolo, e ha venduto 100 miliardi di pezzi. La biro, come tanti altri oggetti minimi, è stata una delle grandi invenzioni che hanno cambiato la nostra quotidianità e la nostra calligrafia. Da quando esiste quella cannuccia trasparente che depone l’inchiostro sulla carta con dolcezza, senza bisogno di ricariche, il gesto dello scrivere è diventato più semplice, più rapido, più lindo, persino più democratico. La sua supremazia su fogli e quaderni si è notevolmente ridotta, intaccata dalle sorelle più giovani a pennarello, ma il mito no. Vi sono biro nei maggiori musei al mondo, esposte come esempi perfetti di tecnologia e design, dal Pompidou di Parigi al Moma di New York. Ci sono artisti che la usano come unico strumento di pittura, e statisti che firmano trattati, sedotti dalla sua spartana efficienza. Per miliardi di persone la biro è sinonimo di un marchio, Bic, l’azienda che la produce dal 1950. L’origine però è più antica, fu inventata da un geniale bohémien ungherese che si chiamava László Bíró (il cognome significa «giudice») e traboccava di sogni in ogni campo. S’era iscritto a medicina, perché quello era uno dei mestieri più amati dalla borghesia ebrai- Nate negli Anni 40 funzionavano solo se tenute in verticale ca di inizio secolo. Ma il suo ingegno era troppo multiforme per fermarsi all’anatomia e ai malanni dell’uomo. Bíró non si laureò mai, preferiva cimentarsi nell’ipnotismo, gareggiava in auto su una Bugatti e ideò un cambio automatico, lavorò in un’industria di petroli, fece il giornalista era compagno notturno degli scrittori gaudenti (era amico di Molnár, «I Ragazzi di via Pál»), progettò una macchina lavatrice domestica, scolpiva e dipingeva. Alla fine della guerra, secondo la leggenda, osservò ragazzini di strada che giocavano a biglie, e seguendo le tracce che le palline lasciavano sul suolo bagnato pensò di usare una piccola sfera per deporre anche l’inchiostro. Per chi viveva di scrittura, vergava risme di fogli ai tavolini di un caffè, sarebbe stato certo molto comodo eliminare calamai e pennini. Bíró ci mise l’intuizione e il fervore, suo fratello György, un chimico, studiò nuove formule di inchiostro più fluido. Speravano di ricavarne grandi soldi, ma quando l’antisemitismo ammorbò l’Ungheria, emigrò in Francia e in Sudamerica con il prototipo della penna a sfera in valigia. In Argentina, nel ‘43, grazie ai finanziamenti di un inglese, lanciò sul mercato il primo modello, la Stratopen. Anche se gli aviatori della Raf la usarono nelle missioni, non era praticissima, perché se non stava in posizione perfettamente verticale l’inchiostro si bloccava, fuoriusciva a singhiozzo, esplodeva in piccoli tsunami di macchie, e costava parecchio, anche 20 dollari. Ovviamente fu un fiasco. La strada d’inchiostro però era tracciata. Un francese di origine torinese, Marcel Bich, comprò il brevetto ungherese, lo migliorò con Edouard Buffard e nell’azienda di Clichy creò la «bic», così come la modernità la voleva. Pratica, leggerissima, ecologica (impiega meno di 6 grammi di plastica), e soprattutto economica. L’inventore Bíró morì quasi in miseria, Bich, tolse l’«h» dal cognome per farne un brand, fondò un impero e diventò barone. Dopo le biro licenziò i rasoi di plastica, gli accendini, e altri microggetti per semplificare la vita quotidiana. Tutti low cost, e usa e getta. Il binomio vincente del commercio moderno. E forse qualcosa di più, perché come ha detto Umberto Eco, la biro è stato l’unico, fortunato esempio di socialismo realizzato: «ha annullato il diritto alla proprietà e tutte le distinzioni sociali». Bastava una biro per scrivere il mondo, e si poteva farlo senza patemi, perché nessuno si preoccupava più di perderla, lasciarla incustodita sulla scrivania, farsela fregare dal solito collega cleptomane. Anche questa, una piccola grande liberazione per l’umanità scribacchina. *** L’HO SEMPRE IGNORATA - Uso la stilografica da qualche cinquantennio. Cominciai ad usarla nel 1938; la Biro (dal nome dell’inventore) comincia il suo viaggio trionfale nel mondo alfabetizzato, se non sbaglio, una decina d’anni dopo. Non l’ho né amata né detestata; l’ho ignorata. Il motivo, forse, è che pur essendo fatta per scrivere la biro sia qualcosa di estraneo del tutto a ciò che è scrittura. Naturalmente, in circostanze gravissime (come dover tappare un messaggio in una bottiglia da una zattera dove non ci sono che un foglio di taccuino, una biro e io solo) non avrei scrupoli a tracciare il mio S.O.S. con la biro, ultima frontiera prima di farsi un’incisione e scrivere col sangue. Ci sono diavoli tradizionalisti che non vogliono saperne di rinunciare nei loro patti alla firma cruenta. Ma sempre più numerosi, mi dicono, sono i diavoli che accettano firme improprie eseguite con penne a sfera, e addirittura il fax. GUIDO CERONETTI