Francesco Grignetti, La Stampa 18/12/2010, pagina 9, 18 dicembre 2010
Finisce in tribunale l’assalto del Pdl al patrimonio di An - È giunto il tempo delle carte bollate tra gli ex camerati di Alleanza nazionale
Finisce in tribunale l’assalto del Pdl al patrimonio di An - È giunto il tempo delle carte bollate tra gli ex camerati di Alleanza nazionale. Come in ogni divorzio che si rispetti, finiranno presto in tribunale le prosaiche questioni legate alla cassaforte, agli immobili e al quotidiano «Il Secolo d’Italia». Sono finite malissimo, infatti, le riunioni del Comitato dei garanti dell’associazione An, erede del partito che fu e anticamera della fondazione che avrebbe dovuto essere. All’ordine del giorno c’era la sostituzione degli amministratori Enzo Raisi (per il quotidiano) e Donato Lamorte (per gli immobili): un passaggio cruciale per estromettere i due esponenti finiani e sostituirli con dei berlusconiani. Entrambi però venderanno cara la pelle. Ma l’attacco ai beni è solo il primo degli assalti al fortino finiano. Il secondolo conduce Silvano Moffa, ormai ex alleato, che lavora apertamente a sottrarre un gruppo di deputati dal Fli e a costituire un proprio gruppo parlamentare, distinto dal Pdl ma nel perimetro della maggioranza. «Sto lavorando - dice - alla costruzione di un punto di riferimento parlamentare al di là dell’attuale appartenenza ai gruppi, che unisca chi ha particolare attenzione nei confronti dei temi etici, come la difesa della vita, e che allo stesso tempo chieda al governo di lavorare alle politiche di rilancio dell’economia». Sarebbero ben otto i parlamentari del Fli, a sentire Berlusconi, che pencolano. Ma dall’altra parte non ci credono. «Propaganda». «Per le nostre questioni societarie si va in tribunale», dice intanto Raisi. «Sì, si va in tribunale», conferma Pierfrancesco Gamba, uno dei Garanti, ma di area berlusconiana. Nel mezzo rischia di rimanere schiantato il giornale, tribuna preferita dei finiani, che come tutti gli organi di partito è in perenne deficit e avrebbe bisogno di un’amministrazione stabile. «Per fortuna - dice ancora Raisi - nelle settimane scorse ho ottenuto un prestito ponte di trecentomila euro e tre giorni fa sono arrivati i soldi dello Stato. Ora “Il Secolo d’Italia” ha in cassa 2,8 milioni di euro e con questi fondi può pagare i creditori e gli stipendi fino a metà del 2011. Per i prossimi sei mesi il giornale è salvo. Dopo, non so. Anche perché è evidente l’intenzione degli “altri” di chiudere quello che è l’unico giornale di destra con posizioni dissonanti dal coro». Procedono infatti come schiacciasassi, quelli del Pdl. Dapprima hanno sostituito il senatore Francesco Pontone, l’ex tesoriere finiano, che era il gestore unico del patrimonio, ma ha mollato sotto l’incalzare dello scandalo di Montecarlo. Al suo posto c’è il senatore Franco Mugnai, area berlusconiana. Prossimo passo, è previsto l’insediamento di un cda al posto dei due amministratori unici scelti da Gianfranco Fini. Sia Lamorte che Raisi, però, prendono tempo. E quindi ecco le conclusioni di Pierfrancesco Gamba, Pdl: «Si rassegnino. Le loro eccezioni sono strumentali. Alla fine, anche passando per un ricorso al giudice, otterremo un cda in capo alla società editrice e un altro per la società immobiliare». Finché non si era arrivati allo scontro incandescente dell’altro giorno, un filo di dialogo tra i Garanti era sopravvissuto. In nome del passato comune, a novembre era arrivato il prestito di trecentomila euro al giornale ed era stato anche cancellato un debito di 193 mila euro nei confronti di An, il che ha permesso di riportare in parziale equilibrio il bilancio della società editrice. Per il 2010, almeno, è stato scongiurato il fallimento del quotidiano. Ma ormai le strade di Pdl e Fli si sono separate e quindi da ora in poi sarà guerra.