Fulvio Panzeri, Avvenire pag. 25 17/12/2010, 17 dicembre 2010
IL «GATTOPARDO» DEI POVERI
La cultura italiana, in questi ultimi trent’anni di abitudine all’usa e getta letterario, non ha fatto distinzioni tra buoni libri e opere sopravvalutate. Ha permesso che, indistintamente, venisse cancellato il valore della memoria, lasciando cadere nel dimenticatoio, molti autori che hanno segnato un punto fermo, non solo nel nostro percorso letterario, ma anche nei termini di una dimensione di etica civile e di rilettura del presente alla luce della realtà storica. Così a farne le spese non sono stati solo autori, già ’isolati’ in vita, ma anche scrittori molto letti, nelle scuole, come Carlo Levi e Ignazio Silone, che ora sono meno citati, studiati e ricordati di quanto non lo fossero anni fa.
A volte però ritornano, perché è la forza delle loro opere a riportare in luce in luce i libri e i loro autori. Così mentre Carlo Levi è stato ’riproposto’, anche negli aspetti più inediti, alcuni anni fa da Donzelli, ecco che ritrovano un posto in libreria Ignazio Silone, con un libro tutto da rileggere, a cinquant’anni dalla sua pubblicazione, La volpe e le camelie per le edizioni L’ora d’oro, in un’edizione egregiamente curata da Andrea Paganini e soprattutto viene resa giustizia al troppo dimenticato Francesco Jovine: tutti autori che ci hanno raccontato aspetti della questione meridionale, tutti scrittori di forte levatura etica e di chiara impronta educativa.
Mentre di Levi e di Silone, per varie ragioni, spesso si discute ancora, l’esperienza di Jovine sembra scomparsa nel nulla per la cultura italiana. Lo mette in rilievo Goffredo Fofi che è da sempre un suo sostenitore e introduce, in occasione dei sessant’anni dalla morte dello scrittore, avvenuta nel 1950, la nuova edizione, per Donzelli (pagine 224, euro 23,00) di
Signora Ava, romanzo uscito nel 1942, che darà notorietà a uno scrittore che ci racconta il ’suo’ Molise, da una prospettiva non certamente ’borghese’, ma contadina, lui che è stato maestro elementare e che aveva a cuore un’impostazione di lettura e studio della realtà, legata agli aspetti educativi. Fofi, nel caso di Jovine, parla di «lunghi decenni di trascuratezza e di oblio», imperdonabili se si pensa che fino agli anni Settanta era pubblicato da Einaudi ed era scrittore, se vogliamo non popolare ma conosciuto, visto che anche la Rai dei grandi sceneggiati in bianco e nero, ne aveva tratto uno da Le terre del Sacramento , il romanzo che uscirà postumo, nel 1950, pochi mesi dopo la sua morte.
Ripartiamo quindi alla scoperta di uno scrittore di razza, dalla vita breve (48 anni) visto che era nato a Guardialfiera, in provincia di Campobasso, che ha sempre parlato in nome della sua gente, dei suoi contadini, delle loro lotte e difficoltà, tanto che Giose Rimanelli, negli anni Cinquanta, ricorda che «fu scrittore, e quindi ’uomo di scienza’, per i contadini del suo paese, prima di esserlo veramente. Don Ciccio (così veniva chiamato) rappresentò qualcosa per la sua gente prima ancora di rappresentare qualcosa per se stesso».
Il modo migliore per riscoprirlo è quello di leggere Signora Ava, un romanzo che regge la forza d’urto del tempo e che si pone come un piccolo e prodigioso capolavoro che mette in scena il Risorgimento, visto attraverso le vicende di un paese del Molise tra il 1859 e il 1860, alla vigilia dell’Unità d’Italia e della fine del Regno Borbonico. Protagonista è Pietro Veleno, che poi diventerà brigante, nel tragico momento di trapasso dalla monarchia borbonica a quella sabauda, con la sua tormentata storia d’amore con Antonietta. Un romanzo che dal racconto, tra mito e memoria, di un paese, con i suoi personaggi simbolici, dai proprietari terrieri ai contadini, dal maestro al curato, racconta l’irrompere della Storia, con i suoi protagonisti da Garibaldi ai Vittorio Emanuele II fino alle violenze e alle razzie delle truppe dei vincitori.
Goffredo Fofi lo indica come uno dei testi cruciali da leggere in occasione di un anniversario che ci si appresta a ricordare. Scrive infatti che «questa nuova edizione di Signora Ava cade alla vigilia di un anno particolare, quello in cui si celebrano i 150 anni dell’Unità d’Italia. Spero fortemente che il romanzo di Francesco Jovine possa trovare in quest’occasione nuovi lettori».
Particolarmente interessante è il confronto che propone tra il romanzo di Jovine e Il Gattopardo di Tomasi di Lampedusa. Fofi è tutto, giustamente, dalla parte di Jovine e spiega: « Il Gattopardo è più noto e apprezzato di Signora Ava (che a me, semplicemente, piace molto di più e che credo reggerebbe a un confronto serrato contro il potente rivale), perché Il Gattopardo parla di nobili dalla parte dei nobili, mentre Signora Ava parla di cafoni dalla parte dei cafoni.
Questo è il suo pregio che dovrebbe essere evidente ai detrattori di un tempo: Jovine proviene dalla cultura contadina che rievoca e descrive, e sa bene, che la distinzione tra natura e cultura è difficile da stabilire per un contadino, come quella tra storia e fiaba, memoria e mito».
Del resto i due grandi ’ispiratori’ del romanzo sono Verga e Manzoni e anche la figura del curato, Don Matteo, il prete povero, «su cui si esercita - come sottolinea Francesco D’Episcopo - felice e bonaria, la sperimentata ironia di Jovine», ci riporta alla memoria, in un altro contesto, l’effigie di Don Abbondio e che ben rappresenta questa realtà che si nutre di una sua religione legata alla natura, ai suoi miti, in quella che sempre D’Episcopo definisce la costante e aspra «dialettica tra Dio e demonio, tra Dio e destino» che attraversa il romanzo.