ENRICO CURRò, la Repubblica 17/12/2010, 17 dicembre 2010
NESTA: "DORMIVO PER TERRA DAL DOLORE ADESSO NON VOGLIO PIÙ SMETTERE"
Nesta, ovvero: come passare in un anno e mezzo dalla paura di dovere smettere alla gloria.
«Ho temuto di non potere più giocare. Ernia del disco, sollevando mio figlio. Avevo fatto tre preparazioni diverse e tante terapie conservative, ma il dolore alla schiena era insopportabile. A volte, dal male, dormivo per terra. Per fortuna quella paura è durata una settimana. Poi ho deciso di operarmi, anche se esisteva il rischio teorico di non riprendermi mai più».
Invece a 35 anni si può essere ancora indispensabili?
«Alla mia età si è già imboccata la parabola discendente, dal punto di vista fisico. Solo che, avendo meno energie, uno evita di correre a vuoto».
In sua assenza il Milan capolista ogni tanto traballa.
«Io ormai mi sono rotto proprio tutto: spalle, mani, piedi, ginocchia, muscoli».
Galliani le proporrà almeno un altro anno di contratto.
«Non ho fretta. L´appuntamento per chi va in scadenza a giugno è a febbraio-marzo. Io vedo come continua la stagione. Se mi sento bene, come ora, e la società mi propone di restare, resto».
A Lippi, per il Sudafrica, lei disse no.
«A parte il fatto che poi mi sono infortunato ancora, l´addio alla Nazionale l´avevo già dato nel 2007, sempre per ragioni fisiche. Non era giusto tornare. Quando fai una scelta, poi non ti puoi svegliare la mattina e dire che hai cambiato idea».
Si è risparmiato la figuraccia di Ellis Park.
«Anche a me i Mondiali hanno dato più delusioni che gioie. Nel ‘98 mi sono spaccato un ginocchio. Nel 2002 mi sono fratturato un piede. E nel 2006 mi sono strappato una coscia, la sofferenza più grande. Capivo che la squadra poteva finalmente vincere e io non c´ero. Ho provato a recuperare per tre volte e mi sono fatto ancora più male».
In Sudafrica c´è stato il picco della crisi del calcio italiano?
«Scindiamo. Il campionato paga questioni economiche. Girano meno soldi, molti campioni non vengono più e il livello generale ne risente. La Nazionale, invece, è in una fase di cambio generazionale».
Tutto qui?
«Anche noi faticammo a raccogliere l´eredità dei campioni che ci avevano preceduto. I giovani bravi ci sono. Diamogli il tempo di crescere».
Secondo Cannavaro, ai ragazzi non si insegna più a marcare.
«Ha presente Italia-Cile del Mondiale ‘98? Zamorano e Salas fecero neri me e Fabio, giovincelli. Due anni dopo quasi vincemmo l´Europeo. Io scommetto su Ranocchia».
Alla prima maglia azzurra ha citato lei come idolo.
«L´ho conosciuto in clinica, a Villa Stuart. È serio e molto forte».
Nel Milan il suo erede è Thiago Silva?
«Per ora Thiago è il mio partner e me lo tengo stretto: per velocità e forza fisica, nel calcio di oggi è preziosissimo. Come Ibrahimovic, un attaccante che non fa solo gol, ma anche tanti assist. Tu lanci il pallone dalla difesa e lui lo tiene lì: è il prototipo del centravanti nel gioco moderno, anche se il più forte che io abbia mai visto in campo resta Ronaldo».
Non quello visto al Milan.
«A Parigi, nella finale di Coppa Uefa tra Lazio e Inter, giocai contro un fenomeno nel vero senso della parola, uno della categoria dei Pelé».
Questo Milan di Allegri in quale categoria sta?
«Il mio Milan più forte è quello del primo anno qui, nel 2002. Sarà perché eravamo più giovani, ma ho il nitido ricordo di una squadra fantastica, spettacolare, fresca, anche se Kakà non era ancora arrivato, con un Pirlo impressionante. Era più tecnica. Questa è più fisica. Ciò non toglie che sia molto forte».
Con 7 italiani su 11 e una grande attenzione alla fase difensiva, vi sentite un po´ il baluardo di una scuola sotto accusa?
«Sinceramente non sento questo tipo di competizione, per il semplice fatto che non vedo che cosa abbiamo da invidiare noi - Pirlo, Gattuso, Ambrosini, Zambrotta, io e gli altri - agli inglesi o ai tedeschi: per quello che abbiamo vinto e per il nostro gioco. Se mi si parla degli spagnoli, di Xavi, Iniesta & C, mi levo il cappello. Ma solo davanti a loro».
Com´è Milan-Roma di domani, vista dall´ex capitano della Lazio?
«Un duello per lo scudetto, come un Milan-Juve. Resto un romano, orgoglioso delle sue otto stagioni alla Lazio e di avere realizzato il suo sogno di bambino: vincere lo scudetto con la squadra del cuore. Totti è rimasto, io sono stato costretto ad andarmene. E il primo anno è stato difficile l´adattamento a Milano. A Roma si vive di calcio trenta giorni al mese, qui un derby dura cinque ore».
Ma poi?
«Poi ho vissuto altri otto anni bellissimi, che non avrei mai immaginato lontano dalla mia città. Non so ancora dove vivrò a fine carriera».
Con uno scudetto o con una Coppa campioni in più?
«Ci proviamo. Se c´è necessità, giocando anche tre partite alla settimana».
E con un Cassano in più?
«Il giocatore non si discute. Ma la domanda va girata alla società».