IRENE BIGNARDI, la Repubblica 17/12/2010, 17 dicembre 2010
AMMANITI: "QUELLA CANTINA CHE MI UNISCE A BERTOLUCCI"
L´ha annunciato a sorpresa Bernardo Bertolucci da New York, dove in questi giorni il MoMa lo sta celebrando con una grande retrospettiva. Un annuncio molto atteso, da molto tempo. «Torno a fare cinema». La sorpresa è che Bertolucci torna al cinema con un film "piccolo" (in contrapposizione al grande progetto annunciato tempo fa su Don Gesualdo da Venosa), da un libro "piccolo" per dimensioni (poco più di cento pagine) e grande per successo di critica, di pubblico, di vendite: cinque edizioni, 500 mila copie vendute in soli due mesi. Io e te di Niccolò Ammaniti, la storia del ragazzino infelice che finge di partire per la settimana bianca e invece, di nascosto dai genitori, si chiude nella sua solitudine in cantina, diventa dunque un film diretto da Bernardo Bertolucci. La generazione dei padri adotta una storia d´oggi, una storia della generazione dei figli. «Quando il libro è uscito - racconta Ammaniti in viaggio verso Londra, dove si sta trasferendo per due mesi con la moglie Lorenza e i cani - l´ho fatto avere a Bernardo, che un po´ conoscevo e ora conosco meglio. Mi ha mandato un messaggio dicendomi che gli era piaciuto e che sperava di incontrarmi. Abbiamo cominciato a parlarne. Ed eccoci qui».
A dispetto della differenza generazionale si intravedono molti temi in comune tra il cinema di Bertolucci e il suo libro.
«Mi sembra che Bernardo Bertolucci negli ultimi film si sia abbandonato molto più liberamente all´aspetto intimista della sua arte e della sua personalità. Penso alle storie e alle atmosfere di un film come "L´assedio", che ho molto amato e che non ha avuto il successo che si meritava, un film fatto con pochi mezzi, contenuto, in uno spazio chiuso. O a "The Dreamers", dove si sentiva una dimensione protetta, casalinga, con dei personaggi tutti giovani. E proprio perché il protagonista di Io e te è un adolescente, e un adolescente a disagio ho pensato che potesse essere una storia che interessasse Bertolucci».
Lei ha detto spesso che detesta i bambini.
«Verissimo. Non ho un rapporto facile con i ragazzini perché mi metto al loro livello e li sento come dei despoti, perché bisogna dargli sempre attenzione. Al contrario i bambini e gli adolescenti timidi ed introversi mi piacciono - anche se ne incontro pochi - forse perché assomigliano a me quando ero piccolo».
Di Ammaniti si sa che, quando scrive, tende a nascondersi, a rinchiudersi da qualche parte. Bertolucci fa una vita molto ritirata. È anche il gusto per la reclusione a unirvi?
«Sì, penso che il gusto per la reclusione sia nelle sue corde e lo è certo nelle mie. E molto. Ho sempre avuto la passione per qualsiasi cuccia. Anzi, l´idea della settimana bianca passata in cantina nasce dalla cantina che avevamo quando vivevo con i miei genitori, e che non era bella come quella del libro, ma piena di vecchi oggetti e di avanzi e di libri con cui mi divertivo a costruire le mie casette-cuccia. Era una situazione che sollecitava in me la fantasia molto di più di quando mi muovevo nel mondo vero. Mi è capitato anche di fare dei lunghi viaggi in treno, in cuccetta, facendomi la mia casetta con i libri, con la musica, isolato dall´esterno».
Un personaggio, quello del suo protagonista, che in qualche misura dunque le assomiglia.
« Un personaggio recluso è molto più libero di un personaggio che si può muovere. E le situazioni di reclusione portano a delle ipotesi sulla vita, a riflettere su quello che si potrebbe fare. Ho sempre amato moltissimo Gordon Pym che si chiude dentro la stiva della nave. Mi ha affascinato Il gioco di Gerard, di Stephen King, con quella donna legata a un letto dopo un gioco sessuale con il marito morto accanto e con una storia che si sviluppa tutta nella testa. Sono situazioni che permettono allo scrittore di usare al massimo la fantasia».
Lei ha avuto rapporti con il cinema in vari ruoli. Da Branchie è stato tratto un film di Ranieri Martinotti. Ha pensato Io non ho paura come soggetto cinematografico prima che diventasse un romanzo. Per L´ultimo capodanno ha lavorato fianco a fianco con Marco Risi. Ha recitato in Cresceranno i carciofi a Mimongo. Ha scritto il soggetto per Il siero della vanità di Alex Infascelli. Come Dio comanda è diventato anch´esso un film. È stato giurato in molte giurie. Cosa cerca e cosa le piace nel cinema?
«Non le stesse cose che mi piacevano all´inizio della mia vita di spettatore, quando mi impressionavano soprattutto la confezione, la bravura tecnica. Ora cerco la tensione emotiva, mi interessano le sceneggiature capaci di far sentire le cose emotivamente».
Appunto, le sceneggiature. Lei collaborerà con Bertolucci alla stesura di quella tratta da Io e te.
«Sì, e scrivere per il cinema è anche una delle cose che mi piacciono di più. Un gioco, per me, quasi adolescenziale, come quando facevo le ricerche di scienze, il pomeriggio, dopo la scuola, con i miei amici. Quando scrivi senti la solitudine della scrittura. Quando si sceneggia è molto divertente. Sarà un piacere lavorare con Bertolucci. Ha un atteggiamento distaccato e divertito allo stesso tempo, lontanissimo dall´essere paterno o paternalistico, ma sempre generoso nel trasmettere le sue storie. Mi spiace solo che, a un certo punto, dovrò sparire dalla scena per un mese».
E perché?
«Da tempo ho organizzato un viaggio in India per girare un documentario sui fricchettoni che sono partiti negli anni ´70 e che non sono più tornati. Sono curioso di scoprire come vivono, cosa ricordano dell´Italia, cosa registra la loro memoria congelata, cosa gli manca. Insomma, cosa ha significato l´unica emigrazione italiana non legata al bisogno e ai soldi».