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 2010  dicembre 17 Venerdì calendario

“NOI, I NUOVI CONTESTATORI”

Roma, Palazzo di Giustizia. Quelli del G8 sono liquidati come «attempati». E il rapporto fra la rivolta di quei giorni a Genova e gli scontri di Roma di tre giorni fa è descritto in maniera lapidaria.
AGenova ci fu un solo tentativo di assalire una camionetta della polizia e ci scappò il morto, Carlo Giuliani. A Roma non solo una camionetta è stata assalita, ma dentro c’erano addirittura tutti i finanzieri».

Il tempo, nell’orizzonte dei movimenti, è un fattore insieme mobilissimo ed eterno. L’ultima volta che Piazza del Popolo, il salotto di Roma, dunque e forse il salotto del mondo, si è illuminata delle fiamme degli scontri, era il marzo del 1977. Trent’anni e passa fa, ma solo ieri, in un certo senso, per il movimento, perché quell’episodio è una pietra miliare, un metro di misurazione dell’alluvione degli umori che solo due volte in questo ultimo mezzo secolo è riuscita a violare quella piazza. La memoria vicina è invece più vaga - già il G8 è roba un po’ passata, nell’accavallarsi di ondate di giovani e scontento.

Nel tempo di attesa del processo per direttissima a 23 arrestati negli scontri di martedì (saranno fra poche ore rilasciati), non c’è molto altro da fare che valutare, spiegare e in parte ricordare. Il presidio che sfida il freddo a Piazzale Clodio, davanti al Palazzo di Giustizia della Capitale, non è enorme - ed è anche questo un segno della scarsa «politicizzazione» del movimento: «La giustizia è già un livello più complesso di partecipazione», spiega infatti uno dei leader già sperimentati del movimento, un universitario che si dice lui stesso per molti versi sorpreso di chi ha visto in piazza il 14.

Quella data, vista da dentro le file di chi è sceso per le strade, sembra si stia avviando infatti a segnare un balzo avanti della protesta giovanile. Nell’estrema mobilità del movimento (di cui si diceva), la data del 14 pare abbia indicato l’arrivo nell’area della contestazione al sistema di una leva nuova di giovani, decisamente mai vista prima, che secondo alcuni ha fatto di colpo invecchiare tutti quelli che finora si conoscevano.

Una giovane donna che da anni segue il movimento, sia come militante che come giornalista alternativa, racconta così questo sviluppo: «La novità si è vista, come spesso accade in queste situazioni, in quello che è successo nel momento di scontro con la polizia: per la prima volta da anni non c’è stata una netta divisione fra quelli che queste cose le fanno quasi di mestiere e quelli che non c’entrano nulla e di solito si dileguano al primo botto».

Potremmo girare queste parole dicendo che nell’arte della guerra si formano le leadership, ma questo è il linguaggio di noi vecchi. Il ricordo sul filo del racconto di questa ragazza fornisce però un efficace riassunto di quello che abbiamo vissuto in questi ultimi anni. «Cominciamo dal G8. Lì i protagonisti furono i black bloc, davvero». I veri black bloc, sarebbero? «Quelli che per Genova vennero da ogni parte d’Europa, i tedeschi, gli olandesi, tutti i gruppi che queste cose le fanno di mestiere. Gli italiani fecero da rete per tutti loro, li invitarono, li ospitarono, e poi, certo, si presero anche il merito della guerriglia di quel giorno, ma insomma, se si parla di chi fu protagonista degli scontri, gli italiani possiamo dire che fecero da gestori dei Bed e Breakfast per questi ospiti».

Quello che si vuole dire è che «a dispetto di tutto quello che scrive la stampa di sistema, gli italiani non hanno mai davvero avuto una forte capacità militare sul terreno». Tant’è che il G8 prese nella sua spirale tanti ragazzi che negli scontri le presero, più che darle.

Sono valutazioni che certo fanno sobbalzare tutti gli altri osservatori del movimento: dire che gli italiani non sono mai stati davvero «capaci da molti, molti anni di tenere la piazza» va contro tutte le parole che abbiamo scritto in questi anni, e contro tutte le relazioni scritte dal ministero degli Interni, ma quel che conta in questo momento è anche capire come il movimento vede se stesso al suo interno. È la sua valutazione che cerchiamo davanti al Palazzo di Giustizia di Roma, e secondo questa opinione interna, «da tempo, dopo il G8, si è vissuto per fasi, a volte efficaci, a volte meno». Una sorta di fenomeno periodico, in cui le varie azioni andavano in calo, per poi essere riprese da una prossima ondata di protesta. «I giornali parlano tanto, ma sempre a sproposito, di black bloc, di centri sociali; la realtà è che i centri sociali ci sono, ma sono i più diversi, dai più duri ai più fighetti, e di black bloc c’è spesso solo il nome, come dicevo, perché non c’è mai stato in Italia davvero un fenomeno del genere».

Quel che è successo il 14 è stata dunque, come a volte è successo anche in passato, un’eruzione imprevista, per lo meno nelle dimensioni. «Questa è stata la novità, per me, quando i pochi che sanno fare gli scontri hanno cominciato le azioni di dimostrazione, la maggior parte del corteo non si è squagliato, non si è defilato, ma si è buttato dritto dritto in mezzo alle fiamme».

Una nuova leva, dunque. Nuova di sicuro rispetto a quelli del G8, ormai già considerati anziani, e nuova rispetto anche all’Onda, e a tutti gli altri collettivi nati nelle università in questi anni, secondo quella legge del veloce ricambio e consumo che vige nel mondo della protesta sociale. «Davvero, abbiamo visto ragazzi mai visti prima», confermano altri dei collettivi universitari della Sapienza, che è stata in questi anni passati il centro di ogni protesta. «Di solito il movimento pesca moltissimo nelle scuole del centro, che sono le più rappresentate, dove ci sono i figli di papà intellettuali di sinistra, ma stavolta abbiamo cominciato a vedere anche quelli delle scuole di periferia». Ragazzi per i quali «le manifestazioni sono solo una delle molte modalità con cui si scarica la protesta giovanile». Per esempio? «Per esempio c’erano in corteo tanti con sciarpe dei club sportivi, della Roma o della Lazio». La differenza, dicono, in fondo è già livellata dalla crisi.

Questa miscela, dunque, di nuovo e di vecchio, di ricordo del passato, un’altra piazza eppure sempre la stessa Piazza del Popolo, un altro movimento ma sempre lo stesso movimento che si stratifica, e si ricarica con sempre nuove leve negli stessi filoni, ha dato un impatto quale nessuno si aspettava agli scontri. «È una generazione che da questo punto di vista è diventata molto internazionale; è gente che è venuta qui e ha fatto quello che ha visto fare ai francesi, ai greci, agli inglesi». Stando a questo quadro sarebbe nata dunque a Roma, il 14 di dicembre, una internazionalizzazione della protesta estrema? «No, direi piuttosto un’internazionalizzazione dello scontento».