Paolo Iorio, Il Riformista 16/12/2010, 16 dicembre 2010
RIVOLTE D’EUROPA AD ATENE PESTANO UN DEPUTATO
Tutti i voli e tutti i collegamenti per le isole annullati. Trasporti in tilt, scuole chiuse, ospedali al minimo, migliaia di persone in piazza a manifestare nel centro di Atene, auto bruciate e scontri con la polizia. Vittima della rabbia è anche un ex ministro dei trasporti conservatore, Costis Hadzidakis, ferito dalla folla al grido di «Ladri! Ladri!» mentre usciva dal Parlamento. Il clima in Grecia si mantiene tesissimo, torrido, dopo uno sciopero generale, quello di ieri - il settimo in questo 2010 - che arriva al culmine di giorni e giorni di proteste settoriali.
E il futuro per i lavoratori greci appare ancora più nero di quanto non lo sia questo già tragico presente: il 14 dicembre il governo del socialista Georgos Papandreu ha approvato un nuovo taglio del 10-25% ai salari, oltre a regole più semplici per favorire i licenziamenti.
Gliel’hanno ordinato Fmi, Ue e Bce per accedere al prestito da 110 miliardi di euro. In cambio di quei soldi la Grecia ha di fronte a sé anni e anni di recessione. E non è l’unica.
Quelle di Atene sono infatti solo le urla più forti. Proteste ieri anche in Francia, Spagna, Portogallo, Repubblica Ceca, Danimarca, Lussemburgo, Galles e Svizzera. E a Bruxelles, dove la Ces - la Confederazione dei sindacati europei - e le sigle sindacali belghe hanno organizzato una manifestazione simbolica anti-austerità, provando a stringere in una cintura umana il Berlaymont, la casa di Barroso, il Palazzo della Commissione europea. Alla fine c’era solo un centinaio di persone e l’azione, che voleva simbolizzare la cura dimagrante a cui sono stati obbligati gli europei, non è andata a buon fine.
Rimane il messaggio: «Dopo la Grecia – afferma John Monks, Segretario generale della Ces - l’austerità toccherà tutti gli altri paesi della Ue. Già la vediamo in Irlanda, Portogallo, Spagna, ma poi si farà sentire anche altrove, il tutto per risanare dei conti pubblici affossati dalla crisi delle banche». «Ci attende - ha detto ancora Monks guardando al 2011 - un anno miserabile: disoccupazione soprattutto giovanile, tagli ai salari e alle pensioni, licenziamenti...non possiamo continuare così, è necessario attuare misure sociali».
Monks pensa agli eurobond, «che possono permetterci di rafforzare i debiti e frenare la specualazione». Di eurobond, una proposta recentemente rilanciata dal lussemburghese Juncker - Presidente dell’Eurogruppo - e da Tremonti, parleranno forse i capi di stato e di governo oggi al vertice Ue. Ma c’è il rischio che si tratti di fiato sprecato, visto che la strada è già stata chiusa dal no perentorio di chi comanda oggi in Europa, ossia della Merkel e, in seconda battuta, di Sarkozy. Una negativa che rischia di ampliare il fossato tra la leadership europea e i cittadini del vecchio continente, colpiti più o meno ovunque da tagli, contrazioni dei diritti e recessione.
«I leader della Ue hanno colpito l’obiettivo sbagliato – riflette Carola Fischbach-Pyttel, Segretario generale dell’Epsu, la Federazione europea dei sindacati del servizio pubblico. Fanno pagare al lavoratore pubblico una crisi che non hanno creato loro: non è stato l’infermiere romeno, il pompiere ceco o l’assistente sociale spagnolo a creare la crisi finanziaria. Negli ultimi due anni – insiste la Fischbach Pyttel - abbiamo speso per riscattare gli istituti di credito tanto quanto costano le foreste, le autostrade, le ferrovie, le infrastrutture europee. E contemporaneamente migliaia di dipendenti pubblici sono stati licenziati, sono stati tagliati i salari, le pensioni».
Secondo la Ces il 50% dei lavoratori europei dipende direttamente o indirettamente dalla spesa e dagli investimenti pubblici, entrambi sotto pesante cura dimagrante. Per tale ragione, gli effetti di queste politiche di austerità «non produrranno altro che un diffuso impoverimento della classe media e l’ulteriore precarizzazione di chi è più debole», avverte Anne Marie Perre, presidente dell’Epsu.
I sindacati europei e nazionali provano a dire la loro, ma la partita è tutta in salita. La grande euromanifestazione del 29 settembre era stata un successo di pubblico e una sconfitta politica, incapace di bloccare le politiche pro-austerità dei 27. Ieri erano solo i greci ad alzare la voce e oggi i leader europei non faranno altro che proseguire sulla stessa via. Da Atene, nelle ultime ore, un gruppo anarchico invitava allo «sciopero generale indefinito in tutta Europa», come unico modo per far cambiare idea ai leader del vecchio continente. Per la Ces è però una via impraticabile: «ci sono culture e leggi troppo diverse nella Ue, è impraticabile uno sciopero generale europeo», ha spiegato Monks.
Il sindacato appare impotente, il rischio è che la protesta e la rabbia popolare esplodano senza incanalarsi in opzioni politiche. Anche in questo la Grecia potrebbe fare scuola.