Filippo Facci, Libero 16/12/2010, 16 dicembre 2010
FINALMENTE DI PIETRO PAGA I SUOI PECCATI
Se tutti prima o poi lo mollano, lo tradiscono, se tutti gli mettono un piede in testa e lo usano come appoggio per passare oltre, beh, forse è anche perché Di Pietro raccoglie ciò che ha seminato. Lui, ora che gli onorevoli Domenico Scilipoti e Antonio Razzi gli hanno fatto marameo, finge autocritica e butta lì una delle sue frasi contraddistinte inesorabilmente dalla congiunzione «ma»: «Sento in me la responsabilità politica di due onorevoli che hanno tradito il partito,
ma...». Ma? «Ma sono convinto che qualcosa di traumatico e dirompente sia successo». Seguiva il solito bigino di storia contemporanea: Berlusconi come Noriega dopo esser stato Hitler, Videla, Dracula, Nerone, Pilato, Erode, Vanna Marchi, nazista, fascista, razzista, naturalmente piduista e ancora antisemita, mafioso, stupratore della democrazia e serpente a sonagli. Il celebre «ma» di Antonio Di Pietro è in grado di far impallidire i più noti «ma anche» di Walter Veltroni. «Non posso nascondermi dietro un dito», dice ora Di Pietro: e poi lo fa. Si nasconde. Infatti il solo vero problema ha detto sul Corriere della Sera di ieri è «il mandante piduista che ha organizzato la compravendita», null’altro. Il compare Luigi De Magistris un altro che il tradimento ce l’ha scritto in faccia, lo dicono tutti, chissà perché ha chiesto una cabina di regia per la selezione di candidati dell’Idv. Ma secondo Di Pietro non c’è un problema politico al vertice dell’Italia dei valori: «Con il congresso tutti i problemi politici sono stati risolti». Ah, ecco.
Ecco perché è così lungo l’elenco di quelli che l’hanno abbandonato: era mancato un congresso. Avvertite Pietro Mennea, l’ex fidatissimo Elio Veltri, l’ex deputato Valerio Carrara, l’ex avvocato della Rete Rino Piscitello, e Federico Orlando, Milly Moratti, il mitico onorevole Sergio De Gregorio, e persino, a fasi alterne, Paolo Flores D’Arcais, oltre a qualche centinaio di piccoli e grandi amministratori locali che hanno usato il suo partito come una porta girevole. «Gente che ha capito il personaggio e ha preso le distanze» ebbe a commentare Elio Veltri. E non abbiamo menzionato neppure menzionato Walter Veltroni e perché no, Massimo D’Alema, colpevole della malsana idea di candidare Di Pietro nel 1997 al Mugello. Ma ora, avverte Di Pietro, il problema politico è stato risolto.
Quello che non è stato risolto è semplicemente il problema dei candidati mediamente impresentabili dell’Idv: questione macroscopica che anche la sinistra stile Rebibbia (Il Fatto, Micromega) gli ha rimproverato di continuo. Gente che però portava voti, maledetti e subito: Tonino non è mai andato troppo per il sottile, è un fatto. Così capitano gli incidenti. In Calabria gli capitò di fare due comizi assieme a un personaggio già allora indagato per brogli elettorali e condannato per abuso, poi riarrestato con l’accusa di aver ricevuto aiuti elettorali dalla ‘ndrangheta alle regionali del 2005, infine in attesa di giudizio per concorso esterno in associazione mafiosa. L’ex sodale di Tonino, sempre Veltri, ha raccontato che in occasione di una consultazione europa fu contattato da tre candidati dell’Italia dei valori di Barletta che gli chiesero dei soldi in cambio di voti. L’episodio è raccontato tra molti altri anche ne Il Tribuno di Alberico Giostra (Castelvecchi 2009) al pari dello sconcertante elenco di precedenti penali di alcuni candidati del centrosinistra alle comunali di Foggia, lista appoggiata dall’Italia dei valori: Riccardo Leone, candidato al consiglio comunale dello Sdi, aveva condanne definitive per ricettazione, rapina continuata, resistenza a pubblico ufficiale, violenza privata, furto continuato e furto in concorso, evasione, danneggiamento continuato e violenza privata continuata; si era fatto due anni di manicomio giudiziario e al momento della candidatura a suo carico esistevano tre procedimenti penali pendenti. C’era poi un altro candidato appoggiato da Di Pietro, Domenico Padalino, con condanne definitive per furto, oltraggio a pubblico ufficiale, inosservanza dei provvedimenti dell’autorità e resistenza a pubblico ufficiale. Al momento della candidatura era indagato per porto abusivo d’armi. Un paio di settimane fa, del resto, Libero ha raccontato che la parlamentare dipietresca Anita Di Giuseppe è indagata per associazione per delinquere assieme ad altri esponenti dell’Italia dei Valori: l’accusa è di aver favorito l’imprenditore campano Francesco Moccia il quale denoterebbe secondo la Guardia di Finanza «stretti legami familiari e di affari con Angelo Marrazzo, coinvolto in vicende giudiziarie del gruppo camorristico dei Casalesi capeggiati da Francesco Schiavone, detto Sandokan». Sciocchezze anche queste. Tanto, con il Congresso, tutti i problemi politici sono stati risolti.