Fosca Bincher, Libero 16/12/2010, 16 dicembre 2010
LA STORIA DI BOCCHINO CE LO CONFERMA I PRIMI A TRADIRE SONO GLI ADULATORI
Quando ha terminato il suo intervento sulla mozione di sfiducia a Silvio Berlusconi, Italo Bocchino si è conquistato solo gli applausi di due gruppi parlamentari: una parte del suo (l’altra ha colto l’occasione per fuggire a gambe levate dal partitino di Gianfranco Fini), e quello di Antonio Di Pietro. Non è stato un caso perché a molti gli interventi sono parsi la fotocopia l’uno dell’altro. Bocchino ha descritto non foga i due fallimenti imputati a Berlusconi: quello del centro-destra e quello del governo da lui presieduto. Illustrava una mozione di sfiducia e non poteva essere riverente, ma i toni di Bocchino sono andati molto sopra le righe e sentendolo la maggioranza dell’aula è restata esterrefatta. Eppure doveva esserci abituata, perché in quell’aula non era la prima volta che Bocchino prendeva la parola con foga. Era accaduto decine di volte dall’inizio della legislatura alla fine del 2009. Solo che sosteneva con la stessa foga e passione del giorno della sfiducia l’esatto opposto. Tanto che non pochi deputati l’avevano soprannominato “Lecchino”, ascoltando in molte occasioni panegirici sul premier e sulla sua attività di governo che nemmeno Emilio Fede avrebbe osato.
BIANCO O NERO
Ci sono oratorie che non ammettono il grigio o i toni pastello: o bianco o nero. Che poicome nel caso di Bocchinoquel bianco il giorno dopo venga visto nero è puro artifizio retorico, forse dettato dalla convenienza temporanea. L’importante è bandire le mezze tinte, che non fanno emergere dalla mediocrità. Così fu proprio quel Bocchino che ha preparato la sfiducia impugnando nell’ultimo mese il trattato Italia-Libia e la politica estera di Berlusconi, a prendere la parola sullo stesso trattato per decantarne le virtù a nome di tutto il Pdl. Non era un secolo fa, ma il 20 gennaio 2009: «Oggi l’approvazione di questo Trattato», declamava Bocchino, «è una cosa delicata ed importante sia per chiudere una vicenda storica, che è stata delicatissima e molto complessa per l’Italia e per la Libia, sia per ragioni contingenti, di questo periodo, sia ancora per ragioni di politica estera, perché abbiamo il dovere di dialogare con grande attenzione con i Paesi arabi proprio in questo momento, in cui si rischiano conflitti dall’altra sponda del Mediterraneo; inoltre, un accordo con la Libia ci aiuta ad essere più efficaci nel contrasto all’immigrazione clandestina, che è uno dei grandi temi su cui ci confrontiamo quotidianamente e che, come tutti sappiamo, fa parte di uno dei punti cardine del programma di Governo». E aggiungeva: «Vi è il problema enorme del contrasto all’immigrazione clandestina che, purtroppo, non funziona fin quando non avremo un trattato forte con la Libia e non saremo messi in condizioni di cooperare per il controllo del mare che ci divide dalla Libia e che genera quel meccanismo di immigrazione clandestina che, poi, genera tutte le questioni che conosciamo». D’altra parte trattavasi dello stesso Bocchino che a proposito del decreto sicurezza si esaltò il 15 luglio 2008:
«Questo decreto risponde ad esigenze chiare dei cittadini». Nemmeno sulla giustizia mezze misure. Ecco il prode Bocchino in prima fila a incensare il lodo Alfano (9 giugno 2009): «Perché questo Paese ha bisogno di una norma come il cosiddetto lodo Alfano? Per una ragione semplicissima, perché in un Paese normale cari amici e colleghi della sinistra non ci sarebbe bisogno di questa norma. Ce n’è bisogno in Italia perché negli ultimi anni vi è stato un uso politico della giustizia che è innegabile ed è documentato da quello che è accaduto nel nostro Paese». E giù botte sulla anomalia della eccessiva indipendenza dei pm: «Noi siamo per l’autonomia e l’indipendenza dei pubblici ministeri: è un grande valore, ma ricordatevi che è anche una grande anomalia. Non esiste Paese al mondo
dove il pubblico ministero è libero, autonomo e indipendente come in Italia». Con le agenzie si pavoneggiava ancora di più nei panni dello strenuo difensore del premier.
SUL LODO MONDADORI
Arriva il 5 ottobre 2009 la botta del lodo Mondadori? C’è Bocchino-Lecchino a fare da body guard a Berlusconi: «è inquietante la tempistica con cui si è giunti alla sentenza. C’è da chiedersi se rendere note oggi motivazioni così violente verso il presidente Berlusconi non abbia come vero obiettivo quello di condizionare i giudici della Corte Costituzionale che domani saranno chiamati ad esaminare il lodo Alfano». Lodi senza misura perfino all’editoriale in materia fatto dal direttore del Tg1, Augusto Minzolini: «Ha fatto un atto legittimo e coraggioso». E il giorno dopo l’onorevole Bocchino rubava perfino il posto a Daniele Capezzone, informando la stampa: «L’umore del premier? È alle stelle, così come i sondaggi». Berlusconi deve essersi incorniciato una sua personale bocchineide, perché un entusiasmo come quello non l’ha mica trovato da altre parti. Dove mai c’era uno come lui in grado di mettere in riga Anm e Di Pietro in un colpo solo: «Anm e Di Pietro ricordino che la riforma della giustizia è compito del Parlamento e quindi della maggioranza che sostiene Berlusconi e che è stata scelta dalla maggioranza degli elettori»? (21 agosto 2008) O che a proposito di Gheddafi cantava: «L’intesa con la Libia è l’ennesimo tassello di una autorevole politica estera che vede l’Italia protagonista» (30 agosto 2008)? Non ce ne è uno come Bocchino in grado di sostituire perfino l’avvocato Nicolò Ghedini quando scoppia il caso Patrizia D’Addario: «L’inchiesta di Bari non ha nulla di politicamente interessante, né di penalmente rilevante: Noi chiediamo alla procura un atto di lealtà,e cioè che chiarisca presto che non c’è nulla di penalmente rilevante che riguardi il presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi». (19 giugno 2009). C’era pure il Bocchino economista: «diciamo con chiarezza che ci troviamo per la prima volta davanti a una manovra finanziaria rivoluzionaria» (5 agosto 2008). E quello difensore della costituzione materiale: «La politica è andata avanti rispetto al parlamentarismo paludato previsto dalla Costituzione formale. Oggi è normale che chi ha la maggioranza dei voti degli italiani, direttamente con il proprio nome scritto nel simbolo stampato sulla scheda, ha la necessità di dare delle risposte al Paese in tempi molto brevi». Si potrebbe andare avanti all’infinito. Ma la morale è una sola: leader politici, non fidatevi mai dei lecchini. Vivono con la bava alla bocca.