Claudio Marincola, Il Messaggero pag. 2 16/12/2010, 16 dicembre 2010
«NEL ’77, ARMATI FINO AI DENTI, SIAMO STATI FERMATI PRIMA»
C’è una data che i più esperti frequentatori di cortei romani non dimenticheranno mai: il 12 marzo 1977. Giorno di totale devastazione, assalti alle armerie, guerriglia urbana, ambulanze, sirene, colpi di pistola, città messa a ferro e fuoco. Nella storia del Movimento quel giorno rimane forse come il più violento, il più “militante” in assoluto. Eppure quei manifestanti, benché armati fino ai denti, non riuscirono ad arrivare così vicino al Palazzo come è successo martedì scorso al corteo dei “pischelli”.
Pino M. quel 12 marzo di 33 anni fa c’era. Racconta: «Il momento clou fu a Piazza Venezia: il nostro servizio d’ordine anziché forzare e attaccare la polizia che impediva l’ingresso in via del Corso deviò verso Botteghe Oscure. Ricordo 20 minuti di tensione allo stato puro. Nessuno di noi parlava, non si urlavano neanche più gli slogan. Poi il corteo girò a sinistra in via del Plebiscito, verso Piazza del Gesù e la sede della Dc dove cominciarono a volare le molotov. Se fossimo andati dritti qualcuno di noi avrebbe sicuramente sparato, penso che ci sarebbero stati morti e feriti: la storia di quegli anni avrebbe preso un’altra direzione».
Quel corteo era armato fino ai denti. Non solo gli uomini, ma anche alcune “compagne” avevano una pistola sotto l’eskimo. Il giorno prima c’erano stati a Bologna gravi scontri di piazza tra studenti di Comunione e Liberazione e giovani della sinistra extraparlamentare, la città governata allora da Zangheri, uno del Pci.
Un ragazzo di Lotta Continua, Francesco Lorusso fu ucciso da un proiettile che non venne mai trovato. Un carabiniere che quel giorno aveva esploso sei colpi di pistola fu accusato e successivamente prosciolto. «Partimmo da Piazza Esedra, c’era una pioggia battente, tutte le luci erano spente», prosegue Pino M. che qualche anno dopo, come Oreste Scalzone, l’ex leader di Potop si sarebbe rifugiato in Francia per chiedere asilo politico.
Comitati Comunisti, via dei Volsci, Autonomia operaia. Piazza Igea, e tanti orfani di Potere Operaio e Lotta continua confluiti nel Movimento del ’77. Parola d’ordine: alzare il livello dello scontro. Persino quelli de ”il Manifesto”, legati a Pintor, Magri, Natoli e alla Rossanda, qualche giorno prima avevano lanciato le loro prime molotov a Piazza Verdi. Erano i “moderati”. Gli altri manifestavano con la “baiaffa”e indicavano con le tre dita il simbolo della P38. «Gridavamo: “compagni in libertà o bruciamo la città”; sfilavamo dietro un grande striscione con scritto “Paolo e Daddo liberi”». Un giovane salì a bordo del “64” e lo mise di traverso a Ponte Vittorio prima di darlo alle fiamme.
Fuoco ieri. Fuoco oggi. «Non c’è nessun rapporto, la manifestazione di martedì scorso è un’altra cosa - boccia qualsiasi paragone Claudio Dag, un altro che quel 12 marzo c’era - il corteo dell’altro giorno era formato da giovani studenti e da universitari. Le analogie riguardano solo il percorso. La giornata era nata in un altro modo. Si pensava ad una festa di piazza. Poi, all’altezza di via Cavour, è arrivata la notizia sul voto alla Camera E qualcuno ha iniziato a gridare “venduti! venduti!”. E i black bloc? E i centri sociali? «Quelli dei centri sociali li ho visti con i miei occhi mentre tentavano di far allontanare da Piazza del Popolo i giovani del corteo. Ma i ragazzi non se ne andavano, forse è scattato qualcosa che solo chi conosce la “piazza” può capire».
Gianni Borgna, oggi presidente dell’Auditorium, all’epoca era uscito dalla segreteria nazionale della Fgci ed era un giovane capogruppo del Pci alla Regione Lazio: «Certe immagini possono sembrare simili e riportarci indietro nel tempo, ma solo epidermicamente, solo se le decontestualizziamo. Non c’è nessun paragone con quel 12 marzo. Quelli furono gli anni di Piombo, del terrorismo. Ma la tensione e il malessere crescono e il dubbio che questa volta ci sia stata una regìa esterna e occulta rimane».