Marco Moussanet, Il Sole 24 Ore 16/12/2010, 16 dicembre 2010
ITALIA SUL PODIO PER PRESSIONE FISCALE
La crisi ha colpito duro, con un doppio impatto sul calo delle entrate fiscali, dovuto al rallentamento dell’economia, e sulla disoccupazione giovanile, che aumenta a ritmi doppi rispetto a quella media. In due rapporti, presentati ieri a Parigi e Bruxelles, l’Ocse ha fatto il punto sul duplice aspetto della recessione, avanzando alcune raccomandazioni.
In quota percentuale sul pil le entrate fiscali nei paesi membri dell’organizzazione sono passate dal 35,4% del 2007 al 34,8% del 2008 e al 33,7% del 2009, tornando sui livelli dei primi anni 90. In Spagna e Islanda, due dei paesi economicamente più in difficoltà, la flessione tra il 2007 e il 2009 è stata superiore a cinque punti: dal 37,3% al 30,7% nel primo caso; dal 40,6% al 34,1% nel secondo. Grecia e Irlanda hanno fatto segnare un arretramento superiore al 3 per cento.
Sui 28 paesi i cui dati 2009 sono definitivi e quindi utilizzabili, 19 hanno fatto segnare un calo e nove una progressione. Tra questi c’è l’Italia, che fa parte del ristretto gruppo con una pressione fiscale superiore al 40%, dove la quota delle entrate sul pil è passata dal 43,3% al 43,5 per cento. Aumento che porta il nostro paese dal quarto al terzo posto della classifica, superando il Belgio (che dal 44,2% è sceso al 43,2%). Davanti all’Italia ci sono Danimarca (48,2%) e Svezia (46,4%).
In cifra assoluta le entrate fiscali calano in quasi tutti i paesi, con l’eccezione di Lussemburgo, Svizzera e Turchia. In termini di quota sul pil l’incremento maggiore è di Lussemburgo (dal 35,5% del 2008 al 37,5% del 2009) e Svizzera (dal 29,1% al 30,3%).
L’Ocse si raccomanda, qualora alcuni paesi dovessero decidere un inasprimento fiscale per risanare i conti pubblici, di fare attenzione a non prendere decisioni che potrebbero frenare una ripresa già lenta e debole, intervenendo sulla fiscalità relativa a consumi e immobiliare e non su quella diretta che colpisce persone fisiche e società.
Tra il secondo trimestre 2009 e lo stesso periodo 2010 la disoccupazione giovanile (15-24 anni) nell’area Ocse è salita di sei punti, oltre il doppio rispetto a quella media (+2,5%). Solo la Germania ha fatto segnare un lieve calo. L’aumento maggiore è stato registrato in Spagna, seguita da Irlanda, Slovacchia, Grecia e Islanda.
E se la Spagna veleggia alla testa di questa classifica in negativo (con più del 40% di giovani disoccupati) altri sei paesi dell’Ocse sono oltre quota 25%: Finlandia, Irlanda, Svezia, Grecia, Slovacchia e Italia. In otto paesi (Austria, Germania, Corea, Giappone, Norvegia, Messico, Olanda e Svizzera) i giovani disoccupati sono sotto il 10 per cento.
L’Italia è lontana dalla media Ocse. Pur in calo rispetto a quello di 10 anni fa, il tasso di disoccupazione giovanile è al 25,4% (la media è del 18%), mentre il tasso di occupazione, sceso di quasi sei punti in dieci anni, è del 21,7%, rispetto a una media del 40,2 per cento. E la quota di lavoro temporaneo e precario sul totale è salita in dieci anni dal 26,2% al 44,4%, mentre la media Ocse è passata dal 31,9% al 35,8 per cento.
L’Ocse, preoccupato che una parte importante di un’intera generazione rimanga ai margini del mercato del lavoro, sollecita politiche proattive, con un rafforzamento dei meccanismi di apprendistato e formazione, anche in alternanza, e agevolazioni fiscali alle assunzioni di giovani, più forti in caso di minore qualificazione.
L’Ilo, l’ufficio internazionale del lavoro, ha dal canto suo segnalato la crescente incidenza dei salari bassi in due terzi del mondo.