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 2010  dicembre 16 Giovedì calendario

Padrone è il lettore - Giulio De Benedetti – che diresse La Stampa per vent’anni, fino al dicembre del ‘68 – arrivava al giornale a mezzogiorno

Padrone è il lettore - Giulio De Benedetti – che diresse La Stampa per vent’anni, fino al dicembre del ‘68 – arrivava al giornale a mezzogiorno. Entrava di buon passo nel suo ufficio in via Roma, con le tende sempre tirate («La penombra, diceva, favorisce la concentrazione») e si sedeva alla scrivania illuminata solo da una lampada. Poi chiamava il capocronista, Ferruccio Borio, per informarsi su fatti e umori della città. La mattina del 16 dicembre 1955 – ha raccontato Borio – De Benedetti gli fece vedere un pacco di lettere. «Anche oggi tanti lettori ci hanno scritto – gli disse –. Voglio aprire un angolo sul giornale dove chi ci legge si senta padrone. Una cosa piccola nella Cronaca di Torino, la pagina più letta». «Il titolo?» chiese il capocronista. Il direttore – dopo una pausa ad arte, come se fosse in cerca della scintilla di un’idea che in realtà aveva già in testa – rispose sicuro: «La chiameremo Specchio dei tempi». La rubrica uscì il giorno dopo, un sabato, con quel titoletto «egiziano corsivo» che sarebbe sopravvissuto alle bufere delle numerose riforme grafiche. Ospitare le opinioni dei lettori fu un’intuizione coraggiosa e straordinaria per quegli anni in cui anche le firme dei giornalisti comparivano raramente. E forse neppure De Benedetti immaginava che la sua creatura sarebbe diventato un fenomeno editoriale destinato a durare nel tempo. Le due lettere pubblicate il giorno del battesimo furono il segnale che «Specchio dei tempi» sarebbe stato la voce di chi vuole affidare al suo quotidiano delusioni e denunce, suggerendo le soluzioni per porvi rimedio. La prima è di un pensionato – Michele Chiola – mutilato di una gamba dall’età di sette anni. «Quando incominciai a lavorare da sarto ero dodicenne – scrive – e ho continuato finché la debolezza visiva me lo ha impedito». Ora non ce la fa più a campare perché la pensione è troppo misera. E conclude sconsolato: «Se noi pensionati siamo foglie secche, portateci in piazza e fate un bel falò, così non dovremo più tirare avanti con 150 lire al giorno». L’altra è di un operaio di Moncalieri che «con un grosso prestito» era riuscito a realizzare il sogno di una casetta tutta sua. Ora, invalido e con una piccola pensione, è in ristrettezze. Ed ecco che l’ufficio delle imposte gli chiede all’improvviso di pagare arretrati per 7.800 lire. «È quasi un mese di pensione – lamenta – Dovrò stare senza mangiare?». Due lettere che potrebbero essere riproposte oggi. «Specchio dei tempi» voleva essere lo specchio di un Paese in profonda trasformazione. De Benedetti leggeva la posta durante lunghe passeggiate nei boschi che circondavano la sua abitazione di Rosta. Quando rientrava aveva scelto le lettere da pubblicare, senza commento. La risposta era nel titolo che doveva «riassumerne il senso senza offendere la sensibilità del lettore». E che la formula fosse giusta lo testimonia il successo che ha subito accompagnato «Specchio dei tempi» e non è mai venuto meno in 55 anni. Da allora sono state pubblicate circa centomila lettere. Politici e amministratori hanno arricchito il confronto di idee con tanti comuni cittadini. Sono intervenuti leader come Palmiro Togliatti, Giulio Andreotti, Emilio Taviani, Lina Merlin, Giovanni Malagodi, Virginio Rognoni. Scrittori e uomini di cultura come Primo Levi, Arturo Carlo Jemolo e Giulio Einaudi. E molti altri. Certo non sono mancati i detrattori che hanno battezzato la rubrica un «angolo degli sfoghi» o peggio uno «strumento di organizzazione del consenso». Dimenticando che i veri padroni sono e continuano a essere i lettori. E sono stati proprio loro a scegliere «Specchio dei tempi» per lanciare le tantissime sottoscrizioni a favore di chi era colpito da calamità. A partire da quella a favore degli aviatori massacrati a Kindu nel 1961 mentre portavano viveri alla popolazione del Congo da poco indipendente, fino agli aiuti alla gente di Haiti di recente colpita da un terribile sisma.