Donatella Stasio, Il Sole 24 Ore 16/12/2010, 16 dicembre 2010
FATECI RESTARE IN CARCERE: LA LIBERTÀ CI TOGLIE IL LAVORO
Giuseppe, Salim, Anna non ne vogliono sapere di tornare a casa. Preferiscono restare in galera. Non è uno scherzo, accade a Bollate, carcere alla periferia di Milano immune da sovraffollamento, celle aperte fino a sera, con 1.110 detenuti, metà occupati a lavorare, dentro o fuori il muro di cinta, metà impegnati nello studio, in attività culturali, sportive, giuridiche, musicali. Giuseppe, Salim e Anna sono 3 dei 35 "fortunati" che, grazie alla legge «svuota carceri» da oggi in vigore, potrebbero consumare il resto della condanna in «detenzione domiciliare». A casa. Hanno le carte in regola: meno di 12 mesi da scontare per reati gravi (omicidio, spaccio) ma non gravissimi; un’abitazione «idonea»; non sono delinquenti incalliti, non c’è rischio che scappino. Eppure, vogliono restare "dentro". E così altri 9 detenuti. Possibile? A Bollate - spiegano - hanno un lavoro ben pagato, sono indipendenti, aiutano la famiglia, misurano la propria capacità di fare. Ed escono in permesso. Giuseppe fa l’operatore ecologico a 850 euro al mese; Salim tratta l’amianto e guadagna 500 euro; Anna lavora in sartoria. Con la detenzione domiciliare perderanno lavoro, soldi, autonomia e possibilità di uscire, se non da evasi. Meglio Bollate, dicono. Paradossi da galera, di quella che funziona.