Claudio Del Frate, Corriere della Sera 16/12/2010, 16 dicembre 2010
IL RECORD DEL PADRE CORAGGIO. PRIMO NELLA RACCOLTA FONDI —
La capitale italiana della generosità è un paesino di 2 mila abitanti arrampicato sulle montagne alle spalle di Lecco. Il suo uomo simbolo è un ex operaio metalmeccanico la cui vita è stata segnata da due episodi chiave: la scoperta di avere un figlio malato di distrofia muscolare e un viaggio in India. Ci volevano la tempra dell’operaio lombardo abituato a piegare i metalli e la profondità spirituale degli ashram indiani per creare il miracolo di Monte Marenzo: facendo leva attorno a questo micro comune Lecco è la provincia italiana che, nel 2009, ha battuto tutte le altre in fatto di raccolta di fondi a favore di Telethon. «È un record di cui dobbiamo vantarci fino a un certo punto: altre città più grandi di noi dovrebbero batterci» si rammarica un poco l’ex operaio Gerolamo Fontana, 60 anni, il protagonista della storia che andiamo a raccontare. Oggi riprende la maratona di Telethon e Fontana è di nuovo in prima fila per risvegliare la generosità dei suoi concittadini. Nel ’ 92, primo anno in cui sistemò il banchetto sulla piazza di Monte Marenzo, vennero raccolti 7 milioni di lire; l’anno scorso il paesino lecchese se n’è trascinati appresso altri 65 e ha messo a disposizione della ricerca 223 mila euro. Il tutto con la strategia della formica: nessuno stacca assegni pieni di zeri, tutti versano la loro briciola partecipando alle iniziative che Gerolamo e i suoi collaboratori propongono instancabilmente. «La gente è buona di natura, basta che si dia loro la possibilità di dimostrarlo» racconta più grandi di noi dovrebbero batterci» si rammarica un poco l’ex operaio Gerolamo Fontana, 60 anni, il protagonista della storia che andiamo a raccontare. Oggi riprende la maratona di Telethon e Fontana è di nuovo in prima fila per risvegliare la generosità dei suoi concittadini. Nel ’ 92, primo anno in cui sistemò il banchetto sulla piazza di Monte Marenzo, vennero raccolti 7 milioni di lire; l’anno scorso il paesino lecchese se n’è trascinati appresso altri 65 e ha messo a disposizione della ricerca 223 mila euro. Il tutto con la strategia della formica: nessuno stacca assegni pieni di zeri, tutti versano la loro briciola partecipando alle iniziative che Gerolamo e i suoi collaboratori propongono instancabilmente. «La gente è buona di natura, basta che si dia loro la possibilità di dimostrarlo» racconta Fontana nel salotto della sua casa mentre nella stanza accanto il figlio Fabrizio, 26 anni, scarica musica al computer muovendosi sulla sedia a rotelle. Ogni anno Monte Marenzo— in occasione della maratona di Telethon — diviene l’epicentro di un terremoto della solidarietà dove si susseguono concerti, vendite benefiche di panettoni, manifestazioni di folclore e sport al termine delle quali 85 euro su 100 finiscono nelle casse della ricerca. «Un intero territorio è coinvolto in un progetto trasparente e concreto — dice ancora Fontana — dagli adulti ai bambini delle elementari: l’anno scorso un alunno di una scuola in cui ero andato a parlare, per giorni si è piazzato dentro il bar sotto casa sua e a tutti quelli che entravano a bere il caffè raccontava dei bambini meno fortunati di lui. E puntualmente riscuoteva l’obolo per Telethon» . Perché si arrivasse a questo è stato necessario che Gerolamo Fontana salisse fino in cima al suo personale Calvario. «Nell’ 87 vengo chiamato dalla maestra dell’asilo dove andava Fabrizio che mi dice: "Come mai suoi figlio non riesce a salire le scale?". Il primo medico che lo visitò ipotizzò subito il nome di una malattia che nemmeno avevo sentito nominare e che mi appuntai su un ritaglio di giornale: distrofia muscolare» . La diagnosi è purtroppo esatta e per la famiglia Fontana comincia l’ingresso nel tunnel: «Commisi l’errore che fanno tutti all’inizio, quello di chiudermi nel mio dolore» . È un errore che perdura fino a quando Gerolamo, stanco di se stesso e della sua vita, compie un viaggio in India. «Laggiù ho percepito una parola che mi è arrivata dritta al cuore e che mi ha cambiato la vita: accettazione. Da quell’istante la malattia di Fabrizio ha smesso di essere una maledizione ma qualcosa da accettare e affrontare: accettare di cambiare casa e macchina per venire incontro a mio figlio, accettare la sfida che la scienza aveva lanciato alla distrofia» . Ed è stato questo che ha portato l’ex operaio saldatore di Lecco a confrontarsi con il Nobel Renato Dulbecco, con i ricercatori italiani («I più bravi del mondo, ma hanno bisogno del nostro aiuto perché quello dello Stato non basta), con i campioni dello sport, i volti dello spettacolo, i capitani d’industria spesso a fianco di Gerolamo nelle sue iniziative. «Quest’anno abbiamo in programma anche un’asta che mette in palio la cravatta di Montezemolo, quella di Fabrizio Frizzi, maglie e palloni regalateci dal Milan, dall’Inter, dall’Atalanta» . Fabrizio si muove tra la sua stanza e il caminetto mentre il papà lo segue con lo sguardo premuroso. «Tutto questo lo faccio naturalmente per lui, ma anche per i genitori del bambino che tra cinque giorni nascerà malato di distrofia. Non devono più vivere quello che ho vissuto io».
Claudio Del Frate