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 2010  dicembre 15 Mercoledì calendario

L’EUROPA, LA GERMANIA E LA TIRANNIA DEL BREVE TERMINE

Il Consiglio europeo, che si riunisce domani, varerà un meccanismo per tutelare la stabilità finanziaria dell’eurozona, a complemento di un nuovo sistema che mira a rafforzare la governance economica, attraverso una più rigorosa vigilanza. Sono, questi, importanti passi in avanti. Il nuovo sistema di governance, tuttavia, presenta una serie di limiti, che dovranno essere affrontati celermente, se si vorrà evitare che il nuovo sistema sia affetto da quello stesso male che i politici stanno cercando di estirpare dai mercati: la tendenza a guardare al breve termine. La tendenza al breve termine nell’esercizio della disciplina? Non è una contraddizione in termini? No, anzi l’abbiamo vista all’opera agli esordi del patto di stabilità. Quando questo fu negoziato nel 1996, si poneva un imperativo a breve termine: rassicurare l’opinione pubblica tedesca che l’euro sarebbe stato altrettanto forte quanto il marco, anche nel caso vi partecipassero paesi con una tradizione di indisciplina finanziaria. Se il patto fosse stato economicamente più fondato, ma meno rassicurante a prima vista, forse non sarebbe stato possibile superare le preoccupazioni tedesche e l’euro non esisterebbe. Ma quando la nuova moneta raggiunse il suo quinto compleanno, i suoi «genitori» furono colti da qualche ripensamento sul patto di stabilità. Nel 2003 la Germania e la Francia fecero pressione congiuntamente sul Consiglio Ecofin affinché non venissero applicate nei loro confronti le procedure sanzionatorie che la Commissione aveva proposto, in base al patto. Come la Cancelliera Angela Merkel ha francamente ammesso la primavera scorsa in un’intervista al Corriere, quell’intervento franco tedesco minò la credibilità del patto di stabilità, incoraggiando così vari paesi a non prenderlo troppo sul serio. Oggi -alla luce della crisi greca e irlandese -è ben comprensibile che l’opinione pubblica tedesca sia ansiosa di rassicurazioni riguardo una maggior disciplina. Ma le autorità tedesche, e quanti in Europa condividono le loro preoccupazioni, corrono di nuovo il rischio di dare priorità a tale obiettivo chiave, ma di breve termine, a scapito di un obiettivo ancora più importante, e di molto, quello di mettere in opera un sistema che porti ad una disciplina sostenibile, che possa essere fatta rispettare anche nelle fasi più difficili. Per più di trent’anni ho condiviso e sostenuto, in Italia e in Europa, le posizioni delle autorità tedesche. Oggi auspico che queste siano in grado di mostrare una forte leadership sul piano interno ma anche -secondo la loro migliore tradizione dagli anni Cinquanta in poi -nell’indurre l’Europa ad adottare politiche strutturalmente corrette e orientate a lungo termine, anziché politiche ispirate da preoccupazioni a breve termine. A tale fine, mi pare che occorra apportare al sistema cinque miglioramenti. 1) Un’applicazione meno «politica» delle regole. Il ruolo della Commissione a questo riguardo dovrebbe essere aumentato, più di quanto si faccia nella proposta di nuovo sistema. La sede nella quale l’applicazione delle misure tende a essere distorta dalle pressioni nazionali non è la Commissione, come lascia intendere la proposta, bensì il Consiglio stesso. 2) Maggiore disciplina a lungo termine. Anche sanzionatorie che la Commissione aveva proposto, in base al patto. Come la Cancelliera Angela Merkel ha francamente ammesso la primavera scorsa in un’intervista al Corriere, quell’intervento franco tedesco minò la credibilità del patto di stabilità, incoraggiando così vari paesi a non prenderlo troppo sul serio. Oggi -alla luce della crisi greca e irlandese -è ben comprensibile che l’opinione pubblica tedesca sia ansiosa di rassicurazioni riguardo una maggior disciplina. Ma le autorità tedesche, e quanti in Europa condividono le loro preoccupazioni, corrono di nuovo il rischio di dare priorità a tale obiettivo chiave, ma di breve termine, a scapito di un obiettivo ancora più importante, e di molto, quello di mettere in opera un sistema che porti ad una disciplina sostenibile, che possa essere fatta rispettare anche nelle fasi più difficili. Per più di trent’anni ho condiviso e sostenuto, in Italia e in Europa, le posizioni delle autorità tedesche. Oggi auspico che queste siano in grado di mostrare una forte leadership sul piano interno ma anche -secondo la loro migliore tradizione dagli anni Cinquanta in poi -nell’indurre l’Europa ad adottare politiche strutturalmente corrette e orientate a lungo termine, anziché politiche ispirate da preoccupazioni a breve termine. A tale fine, mi pare che occorra apportare al sistema cinque miglioramenti. 1) Un’applicazione meno «politica» delle regole. Il ruolo della Commissione a questo riguardo dovrebbe essere aumentato, più di quanto si faccia nella proposta di nuovo sistema. La sede nella quale l’applicazione delle misure tende a essere distorta dalle pressioni nazionali non è la Commissione, come lascia intendere la proposta, bensì il Consiglio stesso. 2) Maggiore disciplina a lungo termine. Anche nel nuovo sistema, la governance continua a basarsi in larga parte sull’assunzione che tutta la spesa pubblica, anche quella che consiste in genuini investimenti pubblici che aumentano il potenziale di crescita, sia di per sé negativa e non debba essere finanziata con debito, mentre tutta la spesa privata, anche quella di consumo, sia di per sé positiva e possa essere finanziata con debito. Questo non è un criterio ragionevole, specie per l’UE, che aspira a salvaguardare gli interessi delle generazioni future. Quando venne formulato il patto di stabilità, in seno alla Commissione sostenni -ma senza successo -che occorreva riconoscere il ruolo degli investimenti e che era necessario concordare definizioni rigorose dell’investimento pubblico, mentre il tetto al disavanzo pubblico dovuto alla spesa corrente, poteva essere fissato a zero. Il nuovo sistema di governance introduce qualche aggiustamento, ma non è ancora adeguato. 3) Rapporto debito pubblico/prodotto interno lordo. Nel nuovo sistema viene giustamente ribadita con forza l’esigenza di ridurre il rapporto debito/pil, e non solo di contenere il disavanzo. La traiettoria di rientro per ciascun paese dovrà però essere disegnata in modo da mantenere la pressione ad adottare misure strutturali nel bilancio, senza tuttavia che essa sia così pronunciata da innescare una contrazione nei paesi interessati, e quindi indirettamente in tutta l’UE. 4) Gli eurobond per rafforzare la disciplina di mercato. Per promuovere una disciplina efficace e sostenibile, l’emissione congiunta di eurobond a nome dei governi dell’area euro produrrebbe vari effetti positivi, tre dei quali dovrebbero risultare particolarmente graditi alla Germania. La Germania stessa non sarebbe costretta a rinunciare al vantaggio di cui gode, in termine di minor costo dei finanziamenti in confronto ai paesi meno virtuosi. Lo schema incrementerebbe l’effetto disciplinante dei mercati su questi paesi. Infine, la Banca Centrale Europea potrebbe metter fine ai suoi generosi interventi a sostegno degli Stati in difficoltà, interventi non proprio in linea con il suo mandato. 5) La disciplina esige crescita. Il pilastro economico -la «E» della UEM, unione economica e monetaria -ha due componenti: l’unione economica, che dovrebbe essere la base dell’unione monetaria; e la governance delle politiche economiche, diverse dalla politica monetaria che spetta alla Banca Centrale Europea. Il nuovo sistema mira per l’appunto a fornire la governance economica, ma trascura l’unione economica. Allo sviluppo insufficiente e diseguale del mercato unico, non ancora realmente integrato, sono da attribuire in larga misura le divergenze di competitività e l’inadeguata performance economica dell’UE, in particolare dell’eurozona. Le iniziative volute dal presidente della Commissione sul mercato unico danno la possibilità di rendere il pilastro economico assai più robusto, il che consentirà all’unione monetaria di produrre migliori performance economiche. Queste iniziative dovrebbero ricevere il sostegno politico convinto da parte del presidente del Consiglio europeo, con l’auspicio che la Germania sia un fattore di spinta in questa direzione.
Mario Monti