Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2010  dicembre 15 Mercoledì calendario

LA PAURA DI PERDERE IL PADRONE

Fare il cane di bordo è un mestiere antico, e lo stesso vale per il gatto. Sulle navi ce ne son sempre stati e ce ne sono ancora. Facevano la guerra ai topi e ai ratti, talora (i cani) facevano anche la guardia. E poi si sa, i naviganti spesso soffrono di solitudine, di nostalgia, e dunque quei collaudati amici dell’uomo facevano, a modo loro, e ancora un po’lo fanno, gli animali da compagnia. E questo è sicuramente quello che ha fatto, seguendo la sua indole, Athos, cane corso di bordo che, a modo suo, ha voluto andare a morire sulla nave che, in un certo qual modo, era la sua casa. Ed è anche vero, per certi aspetti la storia del povero cane richiama quella di Novecento, il pianista che volle finire la sua esistenza sulla nave dove aveva trascorso, essendovi nato, tutta la vita. Però io la conosco la mente dei cani, e così so, o credo di sapere, che quando Athos, divincolandosi da chi lo tratteneva, s’è buttato in mare per tornare alla sua nave, non l’ha fatto perché quella era la sua casa, la sua patria, il suo territorio. No, non è cosa da cani quella, non può essere stato così. Per i cani infatti il vero attaccamento non si identifica con un luogo fisico. Il vero attaccamento è per la famiglia. È, se vogliamo identificarla con un’unica persona, per il padrone. E a questo punto faccio un esercizio azzardato e mi metto nella testa (nel bel crapone) di Athos. E penso così: non vedendo, nel gran trambusto, l’unico vero punto di riferimento affettivo, appunto il padrone, Athos, sbagliando, s’è buttato per raggiungerlo dove pensava che fosse. Soltanto a quello mirava, perché il cane può andare dovunque e non gli importa niente. Ma in quel dovunque dev’esserci il padrone. Certo, se Athos fosse stato un gatto, sarebbe stata tutta un’altra storia.
Danilo Mainardi