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 2010  dicembre 15 Mercoledì calendario

Kellermann David

• agosto 1967, Reston (Stati Uniti) 22 aprile 2009. Chief Financial Officer di Freddie Mac (colosso paragovernativo dei mutui) • «La moglie l’ha trovato prima dell’alba in cantina, impiccato. A differenza di qualche altro personaggio del mondo della finanza che si è suicidato perché era andato in rovina, David Kellermann non ha retto alla tensione dopo essere finito nel mirino degli investigatori e anche della stampa. [...] E i giornalisti avevano preso ad appostarsi davanti alla sua bella casa nella contea di Fairfax, in Virginia, a poche mi glia da Washington, dopo che il manager aveva “fatto notizia” per aver ricevuto un corposo “bonus” (800 mila dollari), nonostante le gigantesche perdite denunciate dalla sua società. Per difendere la sua “privacy”, Kellerman si era rivolto a un’agenzia privata di sorveglianza, ma ad angosciarlo erano soprattutto le indagini giudiziarie [...] era stato nominato direttore finanziario di Freddie Mac solo nel settembre 2009. Ma aveva alle spalle già 15 anni di lavoro (prima con ruoli minori, poi come capo della contabilità) nella società mista pubblico-privata che, insieme alla “ge mella” Fannie Mae, è titolare di oltre metà dei mutui concessi ai proprietari di case negli Usa. [...]» (Massimo Gaggi, “Corriere della Sera” 23/4/2009) • «[...] volto banale e molto “all american”, da figlio del Midwest quale era e da giocatore di football quale sognava di essere alla sua Università del Michigan, non era un Bernie Madoff, il supermagliaro di New York, e neppure un Kenny Lay, il pirata dell’energia elettrica che aveva costruito sul ricatto e sull’amicizia politica con la banda texana dei Bush e con Cheney il castello della Enron che lo travolse fino alla condanna a 60 anni di carcere e all’infarto fatale. E neppure su di lui ci saranno i misteri che per sempre circonderanno un altro celebre impiccato, Guido Calvi, o la morte del numero due della Enron, Cliff Baxter, ucciso proprio il giorno prima della sua deposizione davanti al magistrato. David Kellerman era un nome oscuro, poco più di un dirigente d’azienda fra i tanti che lavorano in questa mostruosa società semigovernativa dal nome impossibile compresso nell’acronimo di “Freddie Mac” e che per mandato pubblico acquista, garantisce e poi rivende i mutui immobiliari nei portafogli delle banche. Dalla sua laurea nel Michigan, celebre per la quantità di giocatori di football che sforna e dai corsi post laurea nella George Washington University della capitale, Kellerman era entrato a 25 anni nel ventre di “Freddie” e aveva cominciato la scalata dal cubicolo dell’impiegato fino ai piani alti. Una carriera qualsiasi, ma soltanto fino all’8 settembre del 2008, quando la montagna di debiti garantiti, rivenduti, rimpacchettati, frullati che la sua società rilevava, controllando la metà dell’intero portafoglio dei muti americani, si rivelò un massiccio di panna montata. E le agenzie di rating, quelle che dovrebbero verificare e classificare la solidità di una “corporation” prima, e non dopo i disastri, abbassarono il voto della “Freddie Mac” dall’ A1, che significa solidità d’eccellenza, al B3, poco più che spazzatura. Fu allora che il governo Bush, boccheggiando nel naufragio della finanza che avrebbe divorato la Bear Stearns, la Lehman Brothers, la Merril Lynch e portato le grandi banche come la Citi e la Bank of America a un passo dalla bancarotta, decapitò le due società più esposte, e più responsabili del “boom and bust” immobiliare, la “Fannie Mae” e la "Freddie Mac", che dal loro compito istituzionale di garanti si erano trasformate, con la complicità della politica riccamente lubrificata senza distinzione di partiti e di nomi, nei massimi speculatori d’azzardo sulla trave portante della vita nazionale: la casa. Kellerman fu sparato alla seconda poltrona, di fatto quella più importante, all’incarico di tesoriere e responsabile finanziario. Gli fu messo in mano un assegno da 60 miliardi di dollari firmato dal governo con l’incarico di tamponare, bonificare e poi riavviare quella società senza la quale l’intera circolazione sanguigna del credito s’infarta. [...]» (“la Repubblica” 23/4/2009).