Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2010  dicembre 14 Martedì calendario

Mai esagerare con i colpi di testa - Immaginate di essere in piedi e vedervi arrivare dall’alto un corpo tondeggiante di 70 centimetri di circonferenza dal peso di 450 grammi che viaggia ad una velocità tra 50 e 80 km l’ora e che possiede un’energia cinetica - vale a dire la massa moltiplicata per la velocità al quadrato, diviso per due - pari a un peso di circa 80 kg

Mai esagerare con i colpi di testa - Immaginate di essere in piedi e vedervi arrivare dall’alto un corpo tondeggiante di 70 centimetri di circonferenza dal peso di 450 grammi che viaggia ad una velocità tra 50 e 80 km l’ora e che possiede un’energia cinetica - vale a dire la massa moltiplicata per la velocità al quadrato, diviso per due - pari a un peso di circa 80 kg. Se tentaste di fermarlo, vi rendereste subito conto che pesa molto di più delle poche centinaia di grammi che possiede da fermo. L’impatto dipende non solo dal peso e dalla velocità dell’oggetto, ma anche dal momento in cui avete iniziato il tentativo di fermarlo e dal momento del suo arresto, cioè dalla decelerazione. E’ ciò che accade, in termini di fisica, in tutte le partite, quando un calciatore blocca e rilancia con un colpo di testa un pallone in arrivo, per esempio, dall’altra metà campo. Se si pensa che un professionista colpisce la palla di testa in media 5 volte per partita, e fino a oltre 250 durante una stagione, non vi stupitereste del fatto che diversi studi norvegesi abbiano dimostrato che il 35% tra i 70 giocatori della nazionale rivela un elettroencefalogramma e una Tac cerebrale anormale, con segni di cambiamento dei ritmi normali e di atrofia cerebrale, mentre molti calciatori norvegesi non più attivi presentano una riduzione della corteccia cerebrale, accompagnata da severi disturbi cognitivi. E a risultati simili sono arrivati anche altri studi sulle squadre nazionali di calcio olandesi e americane. I giocatori che più di frequente ricorrono ai colpi di testa, come gli stopper e i centravanti da sfondamento, sono i più soggetti a problemi neurologici, come disturbi della memoria e della percezione visiva. Tra i giocatori olandesi, attivi e in «pensione, oltre un terzo presenta sintomi neurologici quali mal di testa, capogiro, irritabilità. Secondo il neurologo olandese Eric Matser dell’Universita di Amsterdam fermare con un colpo di testa una palla che viaggia a 65 km l’ora equivale allo scontrarsi con un’auto in movimento a 50 km l’ora: i singoli microtraumi prodotti dall’impatto sul cervello - talvolta non rilevabili con la Tac - sono deleteri, perché si ripetono nel tempo, rappresentando così, di fatto, delle vere e proprie commozioni cerebrali lievi. Ma nel 90% dei casi non sono oggetto di controlli. Il cervello è un corpo di consistenza molle e gelatinosa sospeso in un fluido, il liquido cefalo-rachidiano, che serve, tra l’altro, ad assorbire e ad attutire le sollecitazioni meccaniche esterne come un colpo di testa. Il cranio osseo, quindi, rappresenta solo una protezione parziale e la sua parete interna irregolare può danneggiare la fragile massa interna, quando, in seguito a un impatto, si sposta con movimenti ad alta accelerazione da una parte all’altra della scatola cranica. Ne conseguono non solo edemi e minute emorragie, ma danni diretti alle cellule nervose della corteccia, come quelli rilevabili nei pugili dopo un k.o. In questi sportivi i problemi maggiori si possono evidenziare a distanza di anni, soprattutto quando i colpi vengono ripetuti nel tempo. Classico è l’esempio della demenza, classificata dai neurologi come «demenza pugilistica». Non è un caso che gli allenatori tengano un registro dei k.o. di ogni pugile dopo un incontro e spesso sanno fare una diagnosi di pugile «suonato» meglio di uno specialista. Analogamente, due studi - il primo in Norvegia su 535 calciatori e il secondo in Svezia su 44 calciatrici - hanno riscontrato un aumento nel sangue di alcune proteine caratteristiche dei danni cerebrali. Nella ricerca svedese l’aumento di queste sostanze era proporzionale al numero dei colpi di testa o dei traumi cranici subiti durante le partite. Se nel calcio il numero e l’entità di contusioni e commozioni cerebrali lievi per partita o stagione non sono facilmente elaborabili, alcune statistiche condotte negli Usa in un arco di 10 anni hanno evidenziato 87 mila casi di traumi cranici, mentre nel football americano si sale a 204 mila e nell’hockey si è a 17 mila. E’ significativo, però, che nel calcio i problemi siano del 200% più gravi. Sulla base di ulteriori studi la federazione calcistica olandese ha quindi proibito i colpi di testa per i calciatori di età inferiore a 16 anni, sia in partita sia in allenamento. Esistono buone ragioni per ritenere che il cervello ancora in fase di sviluppo sia particolarmente sensibile. Sarebbe quindi una buona norma proibire i colpi di testa a tutti i giovani calciatori europei, come già viene fatto nelle scuole elementari statunitensi, tenendo conto anche degli allarmi per il numero sempre più elevato di traumi cranici nel football americano: dalla scorsa estate la «National footbal league» degli Usa ha diffuso un poster che viene esposto in tutti gli spogliatoi: attenzione alle contusioni alla testa - spiega -: possono avere gravi effetti a lungo termine. La delicatezza del problema è stata sottolineata da un articolo nella rivista «Lancet Neurology»: molti neurologi americani, studiosi di Alzheimer, hanno chiesto l’introduzione massiccia di nuove misure di prevenzione, come i caschi protettivi già in uso nei club giovanili dei college e nel calcio professionista femmminile. La possibilità che i traumi cerebrali ripetuti rappresentino un rischio per lo sviluppo di gravi malattie neurodegenerative quali Parkinson e Alzheimer - hanno spiegato - rappresenta una questione reale.