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 2010  dicembre 14 Martedì calendario

Il pm: 16 anni per l’ad della Thyssen - «Ben sette lavoratori sono morti, ben sette famiglie sono inguaribilmente colpite

Il pm: 16 anni per l’ad della Thyssen - «Ben sette lavoratori sono morti, ben sette famiglie sono inguaribilmente colpite. Il fatto è stato enorme e le responsabilità gravissime. Non meno significativa è stata la sofferenza provocata da questo dibattimento in cui si è evidenziata la capacità di delinquere, pur di risparmiare, di una multinazionale, non di un mulino. E in cui taluni suoi esponenti si sono impegnati a influenzare testimoni per condizionare l’esito del processo. Una cosa mai vista». Il pm Raffaele Guariniello parla con stanchezza - prima dell’udienza ha seppellito l’amatissima mamma Giovanna, scomparsa sabato a 99 anni - ma i contenuti dell’atto finale di una requisitoria di 70 ore distribuite in 12 udienze sono durissimi. E’ stato il primo in Italia a trascinare di fronte ad una corte d’assise un amministratore delegato con l’accusa di omicidio volontario con dolo eventuale. Si fatica a distinguerne il profilo e ad afferrarne il senso. Ma lui, di fronte al rogo che tre anni fa, alla Thyssen di Torino, avvolse sette vite, ha inteso costruire un’accusa esemplare, sapendosi fermare lì. «Perché le pene che abbiamo chiesto non sono esemplari». Sedici anni e mezzo per l’ad Herald Espenhahn la richiesta di condanna più elevata. Nove anni la più bassa, per il dirigente Daniele Moroni, «il solo che abbia espresso una condotta processuale ispirata alla collaborazione». Mentre l’ad, per Guariniello e le colleghe Laura Longo e Francesca Traverso, ha avuto «un non pessimo comportamento processuale». Gli altri quattro imputati meritano per l’accusa 13 anni e mezzo: sono i restanti componenti del board di Ast (ThyssenKrupp Italia) Gerald Priegnitz e Marco Pucci, i «gradini bassi» della gerarchia aziendale Raffaele Salerno, direttore dello stabilimento torinese, e Cosimo Cafueri, suo sottoposto come responsabile della sicurezza. Questi ultimi due, prima del processo, avevano chiesto di patteggiare 3 anni. Contro di loro Guariniello si scaglia sul finire della requisitoria indicandoli come coloro che «il giorno dopo il devastante incendio chiamarono in fabbrica le imprese che facessero urgentemente pulizia e verificassero il funzionamento degli estintori». E’ sempre a loro, in particolare a Cafueri, che Guariniello si riferisce evocando una «strategia protrattasi per mesi, nella sacralità del dibattimento, e finalizzata a coinvolgere il massimo numero di testi». Guariniello ricorda di aver indagato per falsa testimonianza 12 testimoni della difesa e chiede ora alla Corte d’Assise di trasmettergli gli atti processuali per altri 3, fra cui Arturo Ferrucci, già capo del personale di Thyssen a Torino, ora di Terni. Vuole anche procedere per omissione dolosa di misure di sicurezza, incendio e 7 omicidi colposi contro l’ing. Berardino Queto, consulente della difesa ma anche autore del contestatissimo documento di valutazione del rischi. «Vi scrisse che il pericolo d’incendio era di media gravità - hanno rilevato i pm Longo e Traverso - quando la fabbrica torinese era sottoposta al regime della Legge Seveso, il più severo, e ciò nonostante non ci si era preoccupati di avere il certificato di prevenzione incendi. Anzi, si chiese ai vigili del fuoco una proroga a fine 2007, sapendo che a breve era prevista la chiusura dello stabilimento». L’inedita contestazione di omicidio doloso all’ad passa per la descrizione di una fabbrica moribonda, in cui non si faceva più manutenzione vera su linee pericolose come la 5, quella del rogo. «In cui erano particolarmente a rischio i circuiti oleodinamici in pressione. Uno di quei flessibili si ruppe e provocò il devastante fire flash. Ma, c’è di più, c’è la consapevolezza di Espenhahn di quella pericolosità dopo un analogo incendio nello stabilimento di Krefeld, a giugno 2006. In seguito al quale il board della multinazionale stanziò 45,7 milioni per mettere in sicurezza proprio quel tipo di impianti e rispondere così alle richieste di Axa che aveva deciso di raddoppiare a 100 milioni di euro la franchigia assicurativa su quelle linee. Per l’Italia ne furono destinati 16,7. Espenhahn scelse di non investire sulla sicurezza di Torino - abbiamo le sue mail - pur chiedendo produzione e qualità di prodotto, assai a rischio in condizioni di abbandono. Non si acquistarono neppure estintori carrellati che avrebbero evitato ai lavoratori di esporsi a meno di un metro dalle fiamme. Così bruciarono vivi in sette».