Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2010  dicembre 14 Martedì calendario

I finiani pentiti salvano il governo Rebus elezioni - La giornata Berlusconi la scampa per un soffio, raccatta i voti per sopravvivere, ora deve trovarne altri (parecchi altri) per governare

I finiani pentiti salvano il governo Rebus elezioni - La giornata Berlusconi la scampa per un soffio, raccatta i voti per sopravvivere, ora deve trovarne altri (parecchi altri) per governare. Gli resta un mese di tempo, prima che Bossi perda la pazienza e gli stacchi la spina. Se non altro, il Cavaliere è in condizione di provarci. Qualora la Camera gli avesse negato la fiducia, addio Silvio: sarebbe salito al Colle per dimettersi, invece nel pomeriggio è andato da Napolitano ancora in sella. Fini voleva disarcionarlo, ha fallito. Adesso è Gianfranco a vedersela brutta, tanto da presidente della Camera (un coro «dimissionidimissioni» è partito dai banchi di Lega e Pdl) quanto da leader di un Fli che perde i pezzi. Molto meglio se la passa Casini, più dentrale che mai, mentre il vertice Pd vede avanzare il fantasma delle elezioni a marzo, domenica 27 per la precisione. Il conto finale La mozione di sfiducia alla Camera non passa per 4 voti, finisce 314 a 311 (in caso di pareggio Berlusconi si sarebbe salvato comunque). Determinanti risultano tre «colombe» Fli che durante la notte volano nell’altro campo. Sono la Polidori e la Siliquini, più Moffa il quale se ne va dall’Aula al momento di votare. Ma non erano 317, sulla carta, i firmatari contro Berlusconi? Oltre ai tre già citati, saltano il fosso due dipietristi di cui molto s’era parlato (Scilipoti e Razzi), più il liberal-democratico Grassano. Di qui il sorpasso. Altrettanto importante, forse addirittura di più, è quanto accade in Senato. Dove la maggioranza ottiene 162 voti contro i 135 dell’opposizione, dunque lo scarto è notevole. Con la Camera Alta saldamente in pugno al premier, sfuma la speranza di governi tecnici o di transizione. D’Alema insiste a predicare il contrario, ma è l’unico (per quanto autorevole). Ciò significa che, se Berlusconi cadesse, si andrebbe diritti alle urne. Fli sotto choc Per i «tradimenti» ancor più che per la sconfitta. Nessuno si aspettava di prendere gol in contropiede. Fini riconosce «la vittoria numerica di Berlusconi resa ancor più dolorosa dalla disinteressata folgorazione sulla via di Damasco», da notare l’amaro sarcasmo, «di tre esponenti Fli». Si ostina tuttavia a negare che il Nemico prevalga in termini politici: il perché «sarà chiaro in poche settimane». Scopre le carte Della Vedova. Per 48 ore «il problema sarà nostro», urge assorbire il colpo e tutto il resto, «poi tornerà a essere un problema di Berlusconi» alle prese con altre votazioni importanti su Bondi, su Calderoli, ma soprattutto sul decreto dei rifiuti in Campania. Verrà tritato. Per non dire di ciò che aspetta il premier nelle varie Commissioni legiferanti: con Futuro e libertà di traverso, lì si blocca tutto. Sennonché pure Fini è nei guai. Non si dimetterà da presidente della Camera «salvo si dimostri la sua mancanza di imparzialità», fa sapere. Però è sotto tiro. E deve stare molto accorto perché altre defezioni potrebbero assottigliare il Fli. Le carte del premier In apparenza punta ad agganciare i contristi. Gesti plateali, come quello di omaggiare in aula Casini, e dichiarazioni pubbliche spinte al punto da prefigurare una crisi di governo «pilotata» (cioè dall’esito positivo garantito) pur di succhiare nuova linfa. Bossi gli dà corda, per la prima volta bofonchia: «Non c’è veto all’Udc». Casini incassa l’apertura senza lasciarsi commuovere. Per lui Silvio resta «catacombale», il passato. Risponde: «Ha preso i voti, ora governi», cioè si arrangi. Anche lui calcola che tra qualche settimana il Cavaliere sarà alla canna del gas, le dimissioni a quel punto inevitabili e definitive. Solo questione di tempo. Ma Berlusconi progetta altre mosse. Visto che lo shopping funziona, proverà a insistere. Il suo braccio operativo Verdini conserva una lista di cani sciolti da ricontattare. Berlusconi lancia ami perfino ai «cattolici che militano nel Pd», prendendo spunto dal disagio di Fioroni. Ma il vero «cibo» del Tirannosauro sono i finiani. Avvalendosi di Augello come prezioso «scout», Berlusconi proverà a infilarsi nelle contraddizioni «futuriste», dove rimane un’ala sofferente che fa capo a Viespoli. Ha tempo fino all’11 gennaio, quando la Corte costituzionale deciderà sul legittimo impedimento. Dopodiché, se non avrà trovato numeri sufficienti per evitarsi (come teme Maroni) «la fine di Prodi», provvederà Bossi a spegnere le luci.