Eduardo Camurri, Il Riformista 14/12/2010, 14 dicembre 2010
L’ENCICLOPEDIA È UN PAMPHLET COSÌ LA TRECCANI FINISCE SOTT’OLIO
Fate attenzione alla bava; ricordatevi dei cuccioli di Pavlov.
Messi dinanzi all’opera di Benedetto Marcucci, stiano buoni i sapientoni, non strepitino, non agitino troppo la coda i cari rappresentanti del ceto medio riflessivo, le ubique professoresse: questi barattoloni d’olio con dentro la Treccani possono essere troppo allettanti. Appuntate le domande che vi vengono in mente (poi riguardatele e ridete di voi stessi): Marcucci intende conservare la cultura, tutelare il sapere? Ma l’olio non rovina tutto questo? Allora Marcucci intende dire, un po’ come Platone nel Timeo, che l’intero sapere è destinato all’oblio perché non è possibile preservarlo? Oppure, come un nichilista della domenica, Marcucci suggerisce che dobbiamo sbarazzarci di ogni conoscenza perché non esiste alcuna conoscenza? La sua è una velata polemica contro internet? Chissà cosa penserà Marcucci di Wikipedia? E della televisione?
Avvertenza: fate attenzione, perché la vera opera d’arte potreste essere voi che guardate i barattoloni e vi fate queste domande. Voi tutti agitati. Voi che, neanche troppo nascostamente, chiudete brillantemente il sillogismo e vi fate l’idea di essere i prossimi, eternizzati come tonni, a finire intrappolati dentro un barattolo pieno d’olio.
Ecco, secondo me Benedetto Marcucci ha in mente una cosa del genere. Lo vedo appiccicato al vetro, con la vista deformata dallo spessore dell’olio e dalla curvatura del vetro, tra le pagine gonfie di un volume, a scrutarvi come future prede. Meraviglia di safari.
Foste voi, cari critici e caro pubblico, a diventare la prossima opera di Marcucci, io ne sarei entusiasta.
È infatti a gente come voi (prendetelo pure come un complimento) che Marcucci ha pensato come suo pubblico ideale. Siete voi che potreste essere accusati di concorso esterno in associazione enciclopedica. Voi col vostro modo di – parolone – concepire il sapere.
Un po’ di storia: nei Luigi di Francia, Carlo Emilio Gadda, in un capitolo intitolato “I filosofi dell’Enciclopedia” scrive: «L’anticlericalismo piccolo borghese ha inizio (…) in quegli anni. (…) Anche, di quegli anni, è la grande offensiva dell’enciclopedia contro la religione. E l’Enciclopedia, come già il dizionario di Bayle, sarà sminuzzata agli uccellini: se ne caveranno idee da allegare alla polemica, discussioni corazzate, volumi, volumetti. Il Dictionnaire historique et critique di Pietro Bayle era stato stampato a Rotterdam nel 1697. Tutta la polemica del secolo decimottavo contro Dio e i preti è già contenuta in quell’opera, di cui i Gesuiti avevano subito denunciato l’empietà».
Insomma, l’enciclopedia, nonostante la mole, è da sempre pamphlet. È cioè da sempre legata al presente, a un presente da sminuzzare, da ridurre a briciola. Se avesse una psicologia, l’enciclopedia sarebbe come quel topo che si crede elefante o, meglio, sarebbe come un elefante con la personalità di un topo. Grande e grossa ha l’anima di un volumetto tascabile.
E in questo, caro pubblico, l’enciclopedia, ammettetelo, vi assomiglia ancora.
L’enciclopedia, spiega sempre Gadda, nasce (un po’ come voi) polemicamente, non solo per registrare il sapere raggiunto in un dato momento dall’umanità, ma anche e soprattutto per entrare in battaglia, per dare una lezioncina all’oscurantismo e alla superstizione. L’enciclopedia è un atto politico legato alla contingenza del presente. Non è quello che sembra, ma è feuilleton, aspira al colpo di scena. Non guarda al passato, ma punta all’oggi e, dalla qualità dell’oggi, ovviamente, viene condizionata.
Se Diderot, quando compose la sua Enciclopedia, era circondato da una certa nobiltà degli eventi, nobiltà che infatti vi si riflette e che rende la sua opera ancora oggi fondamentale (e che infatti non è più letta come enciclopedia), non si può dire altrettanto della nostra attualità, attualità che ritroviamo miseramente rispecchiata nelle enciclopedie ridotte ormai a essere vendute come allegati di quotidiani e settimanali.
L’enciclopedia, la filosofia da enciclopedia, è esattamente questa: la pretesa di accumulare tutto il sapere umano fino all’ultimo minuto e di ordinarlo non secondo importanza ma seguendo l’ordine alfabetico e l’urgenza del momento.
L’enciclopedia vi assomiglia, gentile pubblico, perché stabilisce il principio del pessimismo della ragione, della sfiducia nel sapere inteso come sophia. Storicizza e il suo messaggio è chiaro: visto che non è possibile raggiungere la conoscenza universale, l’unica soluzione è quella di proporre, di volta in volta, nel suo farsi, la storia dello spirito umano; almeno fino a smentita successiva (non è un caso che uno dei richiami pubblicitari che l’enciclopedia utilizza maggiormente sia quello dell’aggiornamento, dove si dà per scontato che più aggiornamento c’è meglio è). (Nota: Quando Hegel pubblicò “L’enciclopedia delle scienze filosofiche” aveva in mente ben altra cosa. Era convinto che l’umanità avesse raggiunto il compimento definitivo, che non c’era più nulla di importante da sapere perché ormai si sapeva già tutto; riteneva insomma che agli studiosi non restasse altro da fare che aggiustare i particolari, mettere in ordine tra le nozioni e che quindi, in un certo senso, fosse proprio necessaria un’enciclopedia. Ma era per l’appunto lavoro postumo, da archivista, perché nulla di nuovo poteva capitare che mettesse in discussione l’impianto dello spirito umano. Hegel ragionava come un medievale e assomigliava a Raimondo Lullo, l’inventore di una tavola rotante in grado, a seconda delle varie combinazioni che potevano uscire dal movimento delle tessere presenti, di poter dimostrare ogni cosa, in primo luogo l’esistenza di Dio. L’enciclopedia, presa sul serio, e presa sul serio come facevano questi medievali, è disciplina da cabalisti, da maghi, da sacerdoti. Non da visitatori di mostre d’arte contemporanea.)
Ma a forza di aggiornarsi, si diventa irrilevanti. Ed è questo il vostro destino, caro e gentilissimo pubblico pensante, il destino che Benedetto Marcucci, come in un rito voodoo, ha preparato con i suoi barattoloni-feticcio che state erroneamente ammirando.
Benedetto Marcucci è fin troppo elegante nel prepararvi un funerale come questo.