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 2010  dicembre 15 Mercoledì calendario

CALEARO: «HO IL CELLULARE INTASATO DAI “GRAZIE” DEGLI IMPRENDITORI»

È un clamoroso gioco degli specchi. Che finisce soltanto quando Gianfranco Fini annuncia il risultato finale: 314 a 311, mozione di sfiducia respinta. Ed è un gioco degli specchi talmente complicato che, a conti fatti, c’è anche chi cambia idea all’ultimo secondo soltanto perché la partita è già decisa.
All’una di notte di martedì 14 dicembre, oltre ventiquattr’ore fa, al contrario del pallottoliere del «313 pari con Guzzanti in bilico», circolano altre cifre. Berlusconi, ad esempio, alla fine della cena coi deputati del Pdl confida: «Moffa e altri due finiani non voteranno la sfiducia. E, soprattutto, potete giurarci, Guzzanti sta con noi». Tecnicamente, il pronostico è sballato. Visto che Moffa non voterà e Guzzanti voterà addirittura contro.
Ma nulla è come sembra. Montecitorio, interno giorno, ore 10. Il governo di Silvio sembra traballare. E infatti Guzzanti si presenta alla Camera annunciando le sue dimissioni da vicesegretario del Pli, il partito che gli aveva chiesto di votare la sfiducia. Pochi minuti topo, i giornalisti intercettano un faccia a faccia tra il premier e il fustigatore della «mignottograzia» nel corridoio attiguo all’emiciclo.
Nel frattempo, però, la situazione artimetica dell’esecutivo volge al sereno. Le futuriste Polidori e Siliquini si spostano sul fronte «pro Silvio», tradendo Fini. Allo stesso modo, il tridente Calearo-Cesario-Scilipoti conferma la scelta di votare contro la sfiducia. Morale della favola? Il voto di Guzzanti diventa inutile. E infatti «Paolo», che persino nella dichiarazione di voto lascia qualche margine alla possibilità di astenersi («Non posso che prendere atto dell’impossibilità di votare la fiducia al Governo»), tiene in ballo baracca e burattini. Salvo poi votare la sfiducia tra i sorrisetti ormai tranquilli dei peones berlusconiani.
La sfiducia è ormai archiviata quando il fior fiore della «responsabilità nazionale», e cioè i deputati del neonato movimento omonimo, fanno sfoggio di sé in Transatlantico. «Non ho visto Berlusconi e non ho niente da spartire. Il mio è stato un voto politico», spiega l’ex dipietrista Scilipoti. «Ho il cellulare intasato dai “grazie” degli imprenditori», scandisce l’ex democratico Calearo. Fa di più l’ex demo-rutelliano Bruno Cesario, addirittura «orgoglioso di essere stato determinante».
Dal falò delle vanità calciomercatiste si tiene alla larga solo il prode Antonio Razzi, che passerà alla storia come l’uomo del mutuo. Del deputato eletto all’estero nelle liste dell’Italia dei valori, oggi in forza al gruppo Noisud-Popolari per l’Italia di domani, ieri c’è traccia soltanto nel «no» che pronuncia all’indirizzo della presidenza al momento di optare per la salvezza del governo. Tanto basta perché il plotone di onorevoli berlusconiani subissi di applausi l’incedere elegante dei suoi baffetti verso l’uscita dell’emiciclo.
Comprati e venduti, traditori e traditi, grassani e scilipoti, caleari e cesari. Carneadi che hanno rivisto al rialzo il «quarto d’ora di celebrità» di cui parlava Andy Warhol. Eppure c’è anche chi, quel posto al sole dei riflettori, ha deciso di mancarlo. Si chiama Antonio Gaglione, cardiologo pugliese, recordman di assenze a Montecitorio. È stato eletto col Pd, da cui è fuggito nell’ottobre del 2009, poco prima di essere “processato” per aver marcato visita al voto sullo scudo fiscale.
Gaglione, da allora, è quasi scomparso dalla Camera. Ma, in vista dell’appuntamento della sfiducia, è tornato ad essere corteggiato. Ieri mattina l’ha chiamato Massimo D’Alema, che è riuscito a convincerlo a non votare a favore del governo. Dopo il colloquio con l’ex premier, però, Gaglione è stato raggiunto anche dal corregionale ministro Raffaele Fitto. Prima che il cardiologo assenteista potesse prendere la decisione finale, la sua presenza è diventata irrilevante. Da qui la decisione di non rispondere all’appello del voto. Rispettando alla lettera il testo della quasi omonima canzoncina di Carosone: «E passa e spassa sotto a stu balcone / ma tu si’ Gaglione...».
T. L.