MATTIA FELTRI, La Stampa 14/12/2010, pagina 7, 14 dicembre 2010
Nella ridotta berlusconiana tra urla, insulti e svenimenti - Il dio delle piccole cose illumina questa grande aula quando parla Saverio Romano, 46 anni, democristiano da ragazzo, cresciuto casiniano, ora inventore e membro di NoiSud
Nella ridotta berlusconiana tra urla, insulti e svenimenti - Il dio delle piccole cose illumina questa grande aula quando parla Saverio Romano, 46 anni, democristiano da ragazzo, cresciuto casiniano, ora inventore e membro di NoiSud. Il nome al partito glielo diede Silvio Berlusconi, però: «Come si chiama il gruppo di Adriana Poli Bortone?». «IoSud». «Bene, chiamatelo NoiSud». Ecco, sta parlando Romano, ha da dire cose fondamentalissime e altrettanto incomprensibili a proposito di don Sturzo. Il presidente Gianfranco Fini scampanella da un po’, il tempo è finito, e Romano avanza la preghiera: «Presidente, mi dia trenta secondi dell’onorevole Iannaccone (pure di NoiSud, ndr), il collega è d’accordo». Va bene, dice Fini. Romano ricomincia, e quando conclude Fini rialza la testa dai suoi fogli: «Onorevole Romano, qui non c’è nessuno Iannaccone iscritto a parlare...». Il miserabile colpo di genio, e la solita figura dell’evidentemente raggirabilissimo Fini, sono il presepio di questo Parlamento, per Berlusconi una specie di ridotta di Valtellina con la sola differenza che il Cavaliere non sta ducescamente fuggendo. Ma ormai ce li ha tutti addosso, e altro che Comitato di liberazione nazionale: qui ci sono i sinistri e i destri, e naturalmente i cattolici. E’ impressionante, se non inedito, vedere iscritti a parlare nel medesimo giorno e sul medesimo argomento Massimo D’Alema, Piero Fassino e Walter Veltroni. E tutta questa schiera di leader e semileader che hanno tarscorso le più gloriose giornate in testa alla cavalleria berlusconiana: naturalmente i finiani. Naturalmente quelli dell’Udc. In mattinata, al Senato, era intervenuto persino l’ex presidente Marcello Pera. Muto da lustri, era riemerso dall’esilio per offesa al suo talento e aveva offerto, magnanimo, minuti di saggezza. Il tono filosofale cammuffava argomentazioni cruente: Fini è un inaffidabile, uno specioso, un attentatore delle prerogative istituzionali, e tu caro Silvio non hai mantenuto una promessa che è una e per cui ti do la fiducia, ma per disperazione. E, guarda un po’, di rispondere a Pera si era incaricato Gaetano Quagliariello, che di Pera fu allievo e servitore,eadessodiceva che non si sarebbe fatto incantare dai «pifferai della rivoluzione liberale». Dietro Romano, medagliad’argentoaQuagliariello. E così Berlusconi si è dovuto ingollare questa interminabile duplice apnea, prima al Senato, dopo pranzo alla Camera, e a soli due mesi e mezzo dall’ampia fiducia sui cinque punti ottenuta il giorno del settantaquattresimo compleanno. Stavolta i margini sono affare ben più complicato. Sin dall’alba i parlamentari contano e ricontano, e una volta Berlusconi è sopra di cinque, l’altra è sotto di due, si aggiornano i pronostici sull’ultimo comunicato, e sulla tenuta delle tre deputate in procinto di partorire. Comunque vada, se anche Berlusconi passasse di un paio di voti - lo dicono tutti mettendo le mani avanti - sarebbe una vittoria con la faccia della sconfitta. Per Berlusconi, per Fini, per tutto il centrodestra. Ed è una triste fine piena di orazioni funebri, il tal senatore Fantetti che ringrazia Berlusconi per avere dato credibilità «a decine di milioni di italiani all’estero»; l’onorevole Francesco “Pastone” Pionati, segretario di Alleanza di Centro, che grida: «Presidente! Noi siamo con te!». E’ una giornata che scivola via malinconica. Lui, il grande imputato, rimane curvo al banco, immerso nelle carte. Non guarda nessuno. Né i suoi né gli avversari. Non guarda Buttiglione che cita il Declino dell’Occidente di Oswald Spengler, non guarda Luca Barbareschi che piagnucola perché da due anni gli chiede vanamente audizione. Non guarda Piero Fassino, il quale finisce per litigare con Alessandra Mussolini («il ministro Carfagna l’ha già definita egregiamente», e cioè vajassa) e, alla reazione di stampo genetico della signora, l’ultimo segretario dei Ds ha un moto di terrore. Non guarda nemmeno D’Alema, costretto alle solite raffinate insolenze, e giusto una gli strappa un sorriso, quando l’ex premier diessino definisce calcistici più che politici i sentimenti suscitati dal presidente del Consiglio. Non è nemmeno battagliero, Berlusconi. Si concede qualche imtemperanza in chiusura dell’impegno senatoriale, e non le replica a Montecitorio, dove fa il segno di mordersi la mano quando la pattuglia d’opposizione lo sbertuccia. Lo hanno avvertito, dicono i sodali, che tutto si gioca sul capriccio dell’ultimo onorevole. E magari proprio Paolone Guzzanti, che potrebbe dar la fiducia in cambio di un ciccioso piano di privatizzazioni che, chissà, Guzzanti medesimo ha ricevuto su email la notte scorsa. L’equilibrio è tale che i più fantasiosi immaginano una scena che sarebbe l’apoteosi dell’assurdo contemporaneo: Fini che al termine della conta, e sul pareggio assoluto, abbandona l’altissimo scranno per andare a depositare il fatale voto, e la traduzione del labiale sarebbe «sai che c’è? Ti caccio io...». Magari. Un ultimo atto di disfacimento wagneriano. Invece già Pierferdinando Casini ha bocciato la fantasmagorica mossa: «Non si fa, per nessun motivo». E soprattutto c’è la prevalenza della tarantella, o della polentata, vedete voi. C’è il leghista Alessandro Montagnoli felice perché, testuale, «non abbiamo messo le tasche nelle mani degli italiani». C’è Nunzia De Girolamo che non regge all’emozione e si accascia a metà discorso. C’è Domenico Scilipoti, ex dipietrista, che svolazza davanti ai tavoli del governo sinché non stringe la mano a Gianni Letta. C’è Pancho Pardi che definisce «fallocratica» la retorica berlusconiana. C’è il pidiellino Guglielmo Picchi che darà la fiducia perché ne va dell’esistenza stessa dell’euro. C’è il radicale Maurizio Turco che solca le epoche e non darà la fiducia per chiudere un regime sessantennale. E c’è lo psichedelico Mario Pepe il quale, sentendosi minacciato dalle procure, chiede per oggi una seduta segreta. «Ci penserò», promette Fini. E invece sarà ancora show en plein air.