FABIO MARTINI, La Stampa 14/12/2010, pagina 3, 14 dicembre 2010
Presiedere e convincere le colombe - C’è qualcosa di comico nell’avvio di dibattito alla Camera, con gli oratori che si rivolgono al premier («E’ facile per lei», «mi faccia dire che
Presiedere e convincere le colombe - C’è qualcosa di comico nell’avvio di dibattito alla Camera, con gli oratori che si rivolgono al premier («E’ facile per lei», «mi faccia dire che...») ma lui, Silvio Berlusconi, non c’è. Finalmente, alle 16,29, a seduta iniziata oramai da mezz’ora, il capo del governo entra in aula e in quel preciso istante Gianfranco Fini - che sta presiedendo la seduta - afferra il telefono e digita un numero. Chi starà chiamando, proprio mentre il suo rivale si sta accomodando? Una cosa è certa: nessuno sta rispondendo a Fini. Il presidente della Camera abbassa la cornetta, chiama un commesso e gli bisbiglia qualcosa. Quello attraversa l’aula, si precipita da Italo Bocchino e gli sussurra all’orecchio. Il presidente dei senatori del Fli torna di corsa al suo posto, tira su il telefono e si mette la mano destra davanti alla bocca. Curiosamente sulla poltrona più alta della Camera, quella del Presidente, anche Fini fa lo stesso gesto, per impedire a telecamere indiscrete di decifrare il labiale. E’ molto probabile che il capo e il suo delfino in quel momento si stiano parlando, sta di fatto che appena la breve telefonata finisce, Bocchino ridiscende le scale e va a parlare con l’uomo del giorno, Silvano Moffa. Solamente uno sketch curioso? All’età di 58 anni, Gianfranco Fini è arrivato ad un tornante decisivo della sua vita. Dopo un ventennio alla guida dell’Msi e di An, dopo aver fatto il ministro degli Esteri, il vicepremier e il presidente della Camera, Fini ha deciso di puntare tutte le sue fiches sulla caduta di Berlusconi. Una «sfida all’” Ok Corral», come dice lui stesso. E proprio nella sequenza dentro l’aula di Montecitorio, in quell’incrocio di telefonate e di sguardi, si condensano fatiche e contraddizioni del personaggio. Anzitutto il suo plateale sdoppiamento di ruoli. Mentre presiedeva una seduta così importante, Fini ha coordinato le manovre per favorire una maggioranza nel ramo parlamentare da lui guidato. Lo ha fatto con altre telefonate in corso di seduta e, in mattinata, con diversi incontri nel suo studio. Abboccamenti nel corso dei quali ha cercato di convincere gli incerti, il giornalista Paolo Guzzanti, l’ex leader repubblicano Giorgio La Malfa, ma soprattutto un uomo che Fini conosce dagli Anni Settanta, Silvano Moffa. Cinquantanove anni, una giovinezza da militante missino nella corrente dura e pura di Pino Rauti, una maturità segnata dal pragmatismo e dal buonsenso dopo il quinquennio da presidente della Provincia di Roma, Silvano Moffa (capofila dei moderati finiani) è diventato l’architrave di tutte le macchinazioni da quando 48 ore fa aveva fatto sapere di essere tormentato dall’incertezza. Fini prova a convincerlo. Non deve essere così persuasivo, tanto è vero che Moffa viene sottoposto ad un trattamento “speciale”. Per un’ora si dedica a lui un personaggio defilatissimo come Alessandro Ruben, un ebreo romano di 44 anni che è anche lo sherpa di tutte le missioni internazionali di Fini, a cominciare da quelle in Israele e negli Stati Uniti. Ruben, un uomo pacifico, che in qualsiasi discorso mette sempre al primo posto gli «interessi del Paese», fa una breccia nel cuore di Moffa. Un recupero affannoso che potrebbe essere vanificato da un forfeit in zona Cesarini: in serata, quando i parlamentari finiani confluiscono in una unica assemblea per l’ultima “registrata” in vista delle votazioni di oggi, manca Maria Grazia Siliquini, avvocatessa torinese di 62 anni, data per pencolante, nonostante un colloquio di mezzora con Fini. Eppure in serata, il presidente della Camera, di nuovo incline a sorrisi e battute, è apparso ai suoi più rilassato. Oramai il giorno del giudizio è arrivato. Dopo un agosto per lui terribile - con la campagna martellante del “Giornale” che mixava illazioni, pezzi di verità e accuse di tradimento sulla casa di Montecarlo - già da cento giorni Fini ha deciso che c’era un’unica battaglia che valesse la pena combattere: quella per “uccidere” politicamente il suo rivale. Anche se questo, ha confidato qualche settimana fa, «comporterà un combattimento all’ultimo sangue».